Trattamento farmacologico delle patologie da dipendenza
Revisione scientifica: Dott.ssa Marina Caligara, Tossicologo Forense, Responsabile Analisi e Qualità, Sezione Autonoma di Tossicologia Forense, Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche ed Odontoiatriche, Università degli Studi di Milano.
Executive summary
Secondo la relazione annuale sullo stato delle tossicodipendenze in Italia dell’anno 2012, i soggetti con dipendenza da sostanze (tossicodipendenti con bisogno di trattamento) risultano essere circa 520.150, mentre i soggetti affetti da alcolismo, secondo le attuali stime, sono circa un milione e mezzo.
Grazie alle continue ricerche sui disordini da dipendenza è stato possibile identificare le cause principali di tale condizione, ossia l’ereditarietà, un difetto nel sistema di ricompensa cerebrale, un difetto nel sistema della memoria e lo stress.
Queste quattro cause contribuiscono allo sviluppo della dipendenza non tanto singolarmente quanto nel loro complesso.
Sono numerosi gli ostacoli da superare per poter attuare un trattamento efficace di una dipendenza. Innanzitutto si presenta il problema di convincere il tossicodipendente a iniziare un programma di trattamento.
Scopo dell’attività
Rivedere le cause, i cambiamenti neurobiologici e i farmaci utilizzati nel trattamento dei disturbi legati all’uso e alla dipendenza da sostanze.
Obiettivi formativi
Dopo aver completato la seguente monografia di aggiornamento, il Farmacista dovrebbe essere in grado di:
- identificare le caratteristiche della dipendenza;
- descrivere gli obiettivi del trattamento e gli ostacoli alla sua efficacia;
- identificare i trattamenti farmacologici per il trattamento dei disturbi legati all’uso e alla dipendenza da sostanze;
- fornire ai pazienticonsigli utili circa i farmaci usati nel trattamento dei disturbi legati all’uso e alla dipendenza da sostanze.
Introduzione
Secondo la Relazione annuale sullo stato delle tossicodipendenze in Italia dell’anno 2012 a cura del Dipartimento per le Politiche Antidroga, i soggetti con dipendenza da sostanze (tossicodipendenti con bisogno di trattamento) risultano essere circa 520.150 (562.400 nel 2010) e rappresentano il 13,1/1000 residenti di età compresa tra i 15 e i 64 anni. Di questi, 193.000 risultano dipendenti per oppiacei (4,9/1000 residenti), circa 136.750 per cocaina (3,4/1000 residenti) e circa 190.400 per cannabis (4,8/1000 residenti). I soggetti che hanno richiesto per la prima volta un trattamento sono stati 33.679, l’età media dei quali è 31,6 anni. Le sostanze primarie maggiormente utilizzate dagli utenti in trattamento risultano essere eroina (69,3%), cocaina (15,3%) e cannabis (9,2%). Le sostanze secondarie maggiormente utilizzate sono state la cannabis (30,9%) e la cocaina (30,1%). Il totale delle persone in trattamento presso i Servizi per le Tossicodipendenze (Ser.T.) sono stati 172.211 nel 2011 e 176.430 nel 20101.
Si stima che attualmente un milione e mezzo di italiani soffra di alcolismo, di cui appena 100.000 seguono un programma di trattamento. I costi diretti e indiretti derivanti dall’alcolismo, come mortalità, disabilità, costi sanitari, perdita di produttività, assenteismo, disoccupazione e altri, sono circa € 53 miliardi/anno.
Negli USA, secondo le stime del Substance Abuse and Mental Health Services Administration (SAMHSA), nel 2009 a circa 22,5 milioni di individui è stata diagnosticata una dipendenza o un abuso da sostanze. Fra questi, 15,4 milioni presentavano esclusivamente una dipendenza da alcol, 3,9 milioni una dipendenza da droghe illecite mentre a 3,2 milioni di individui è stata diagnosticata una dipendenza o un abuso di entrambe le categorie2.Le droghe illecite con il maggiore tasso di abuso nel 2009 erano la marijuana, gli analgesici e la cocaina, con valori pari rispettivamente a 4,3, 1,9 e 1,1 milioni di persone utilizzatrici. Rispetto alle stime del 2002 si sono osservati un aumento dell’abuso e della dipendenza da analgesici, limitato allora a 1,5 milioni di persone, una mancanza di variazione nell’uso di marijuana e una diminuzione dell’assunzione di cocaina, che nel 2002 interessava 1,5 milioni di individui2. Il costo annuo stimato relativo all’abuso di sostanze supera i 600 miliardi di dollari. Questo comprende la produttività, la cura sanitaria, i costi relativi a crimini associati alle droghe illecite (181 miliardi US$), tabacco (193 miliardi US$) e alcol (235 miliardi US$). Queste stime non comprendono gli effetti sui singoli individui e sulle famiglie, come ad esempio la perdita dell’impiego, la violenza domestica, l’abuso sui minori, le disfunzioni e i problemi di apprendimento3.
Attualmente, ci sono solo cinque farmaci approvati per il trattamento della dipendenza da alcol e da oppiacei.
Dipendenza come patologia
Attualmente si tende sempre di più a considerare la dipendenza da droghe e da alcol una vera e propria patologia4. In genere uno stato patologico si sviluppa seguendo un chiaro modello che prevede che una deficienza a carico di un organo produca segni e sintomi. Ad esempio, in caso di ictus cerebrale, un vaso sanguigno cerebrale (organo) presenta un’anomalia (coagulo) che a sua volta produce segni e sintomi (disartria, stato confusionale, intorpidimento e debolezza alle estremità). Anche nel caso dell’alcolismo, il cervello (organo) presenta un’anomalia (cambiamenti a livello neurobiologico) che produce segni e sintomi (craving, cioè ricerca compulsiva; nel caso di sostanze alcoliche, consumo eccessivo di bevande alcoliche e steatosi epatica).
Grazie alle continue ricerche sui disordini da dipendenza è stato possibile identificare le cause principali di tale condizione ossia l’ereditarietà (genetica), un difetto nel sistema di ricompensa cerebrale (che interessa il neurotrasmettitore dopamina), un difetto nel sistema della memoria (che coinvolge il neurotrasmettitore glutammato), lo stress (con implicazioni sul fattore di rilascio della corticotropina, CRF, Corticotropin-Releasing Factor)4.
Le quattro cause sopra descritte contribuiscono allo sviluppo della dipendenza non tanto singolarmente quanto nel loro complesso. Inoltre a tale condizione patologica vengono associati diversi disturbi psichiatrici coesistenti, fra i quali il deficit di attenzione e il disturbo bipolare. Gli specialisti del settore sono concordi nell’affermare che la dipendenza da droghe e/o da alcol non è essenzialmente una questione di forza di volontà5. Nel presente articolo l’uso della parola droga riferita all’abuso di sostanze stupefacenti include anche l’abuso di alcol se non altrimenti specificato.
Eziologia della dipendenza
Il consumo di droghe viene classificato in base a cinque diversi livelli: uso sperimentale, uso sociale-ricreativo, abitudine, abuso e dipendenza (vedi Tabella 1)6. In molti casi, all’origine della dipendenza si trova la ricerca del piacere o il desiderio di alleviare un dolore fisico o un disagio psicologico. Si ricerca una sostanza o un’attività in grado di attenuare una particolare sofferenza o il senso di vuoto emozionale. Tuttavia la sostanza assunta porta a un sollievo di breve durata mentre le ragioni sottostanti al disagio restano. Ne consegue, quindi, che occorre assumere di nuovo la sostanza in questione per ottenere un ulteriore sollievo. Questo ciclo implica un continuo passaggio da un livello all’altro. I singoli individui sviluppano caratteristiche comportamentali differenti rispetto all’uso di droghe e la dipendenza non è necessariamente una conseguenza obbligata. Durante questo processo, è possibile attraversare diversi stadi (vedi Tabella 2). Si inizia con la tolleranza, uno stato nel quale è necessaria l’assunzione di dosi sempre maggiori di una data sostanza per ottenere l’effetto prodotto dalla dose iniziale. Alcuni farmaci che producono tolleranza sono gli oppiacei, le amfetamine e l’alcol. Il passo successivo alla tolleranza è la dipendenza fisica che può essere descritta come un adattamento fisiologico all’uso cronico di una sostanza con conseguente sindrome di astinenza in caso di sospensione improvvisa dell’utilizzo della droga. L’assunzione continuativa di droghe produce cambiamenti fisiologici, o più propriamente neurochimici, nel cervello, che deve necessariamente adattarsi alla sostanza abusata. Ciò significa che la sospensione o la semplice riduzione della dose normalmente assunta causa una sindrome sostanza-specifica che induce disagi clinicamente significativi quali il disturbo d’ansia, il disadattamento sociale o lavorativo o problemi in altre importanti aree di vita7. Questi problemi spaziano dalla “semplice” cefalea causata da astinenza da caffeina a oltre 20 diversi disturbi, come ad esempio la diarrea, la rinite, i crampi muscolari e molti altri in caso di crisi di astinenza da oppiacei. La dipendenza fisica impone un continuo uso di droghe al fine di evitare l’insorgere di una crisi da astinenza. Il terzo stadio è la dipendenza psicologica che può essere descritta come una condizione nella quale l’individuo sviluppa una preoccupazione emotiva e mentale per la sostanza e un desiderio compulsivo di assumerla al fine di raggiungere il massimo livello di efficienza e una profonda sensazione di benessere. La persona affetta da dipendenza psicologica è convinta di aver bisogno della sostanza in questione per poter svolgere le normali attività della vita quotidiana.
Fra le droghe da abuso, la maggior parte provoca tolleranza, quasi tutte producono una dipendenza fisica (la marijuana e gli allucinogeni, come ad esempio l’LSD, sono fra le poche eccezioni) e tutte portano a una dipendenza psicologica. Inizia così a svilupparsi un craving neurologico, che deve essere soddisfatto indipendentemente da ciò che questo comporta. Questo forte impulso unito alla tolleranza e alla necessità di prevenire la sintomatologia astinenziale spingono l’individuo in una spirale discendente che porta inevitabilmente alla dipendenza. Con l’aumento del consumo di droghe si instaura un deterioramento delle relazioni sociali, delle condizioni finanziarie, lavorative o di salute. Tuttavia l’abuso di droghe non si interrompe: questa è la natura della dipendenza.
Ereditarietà
La predisposizione di un individuo alla dipendenza può avere origini genetiche. Sono stati identificati geni multipli con effetto sui recettori, sui fattori di trascrizione, sugli enzimi e i neuropeptidi che possono essere correlati alla dipendenza da droghe e alcol. La predisposizione alla dipendenza è strettamente connessa al genotipo che un individuo possiede8. L’allele A1 del gene per il recettore della dopamina D2 (DRD2A1), che si associa a una riduzione del numero dei recettori della dopamina, è stato associato all’alcolismo, alla dipendenza da cocaina e al consumo di più sostanze contemporaneamente. Il polimorfismo CYP450 2D6 (CYP2D6) viene invece associato alla dipendenza da oppiacei6.
Stress
Le influenze ambientali, e in particolare lo stress, nei primi 20 anni di vita influiscono in modo determinante sullo sviluppo dei circuiti cerebrali modificando la reazione del cervello agli stimoli esterni. Le esperienze vissute nel primo decennio di vita hanno in genere un’influenza determinante sul comportamento futuro; tuttavia, la maturazione della corteccia prefrontale, che svolge funzioni deputate alla decisione e al controllo degli impulsi, si completa solo dopo i 20 anni di vita. La codifica neurochimica degli eventi, soprattutto se emotivamente intensi e ripetuti (stress), crea dei ricordi molto forti che possono essere facilmente rievocati. Questi ricordi comprendono anche i meccanismi di coping (fronteggiare situazioni) e comportamenti controattitudinali che i bambini sviluppano in risposta a un dolore psicologico, allo stress o a un abuso9. Lo stress causa il rilascio di CRF che, in caso di cronicizzazione, riduce il numero dei recettori della dopamina (D2)4. A questo punto è possibile che, una volta assunta la sostanza da cui si è dipendenti, il piacere che ne deriva risulti essere inferiore10.
Effetti sulla gratificazione
L’uso di sostanze psicoattive stimola il circuito di gratificazione cerebrale attraverso il rilascio di dopamina, glutammato, acido gamma-aminobutirrico (GABA, Gamma-Amino Butyric Acid) e altri neurotrasmettitori. Questi circuiti sono coinvolti nei meccanismi della ricompensa e della motivazione, della memoria e dell’apprendimento oltre che nel controllo inibitorio sul comportamento. Un maggiore rilascio di dopamina e di altri neurotrasmettitori porta a sensazioni di euforia. È stato recentemente definito che la dopamina, considerata in passato il neurotrasmettitore principale del “liking”, ossia il piacere che si trae dalla sostanza assunta, è in realtà il neurotrasmettitore coinvolto nel sistema del “wanting”, ossia il bisogno compulsivo della sostanza10. Un’esposizione continua alle sostanze psicoattive porta a una diminuzione della produzione di dopamina endogena e dei suoi recettori; ne consegue che per ottenere l’effetto desiderato, occorre aumentare la quantità di sostanza assunta. È ironico notare come, con il passare del tempo, il bisogno compulsivo della sostanza stupefacente (“wanting”) prenda il sopravvento sul piacere indotto dall’assunzione di tale sostanza (“liking”).
Effetti sulla memoria
Quando il sistema di gratificazione viene attivato e si prova un piacere intenso, il cervello registra tale esperienza a un livello primitivo come un evento correlato alla sopravvivenza proprio come il nutrirsi e l’accoppiarsi. L’effetto viene memorizzato e l’individuo è motivato a ripetere tale esperienza. Il glutammato gioca un ruolo preponderante nella codifica delle informazioni ricevute associate all’esperienza gratificante11. Questo spiega perché stimoli droga-correlati, come ad esempio l’odore del fumo di sigaretta, il tintinnio del cubetto di ghiaccio, vedere qualcuno bere o persino parlare di uso di droghe, possano causare un’inevitabile ricaduta persino dopo anni dall’assunzione dell’ultima dose11. La dopamina e il glutammato sembrano agire simultaneamente sul sistema della memoria e della gratificazione.
La dipendenza è una malattia cerebrale cronica. Oltre al craving e alla perdita di controllo, l’individuo affetto da dipendenza tende ad abbandonare le sue normali attività, ad allontanarsi dalle relazioni personali per intraprendere attività volte ad ottenere e utilizzare droghe, nonché a provare di nuovo, dopo una crisi, il desiderio compulsivo di assumere droghe indipendentemente dalle conseguenze negative vissute12. I principali responsabili degli episodi di ricaduta comuni nel processo di recupero sono l’interazione dei neurotrasmettitori, i geni, i fattori ambientali, in modo particolare lo stress, nonché i cambiamenti neurochimici cerebrali. Ecco perché guarire una dipendenza implica un percorso lungo e continuo che può interessare una vita intera.
Trattamento della dipendenza
Sono numerosi gli ostacoli da superare per poter attuare un trattamento efficace di una dipendenza. Innanzitutto si presenta il problema di convincere il paziente ad iniziare un programma di trattamento. Il National Survey on Drug Use and Health del 2009 ha indicato le ragioni che impediscono a un individuo di sottoporsi a tale trattamento pur riconoscendo il proprio bisogno di aiuto e nonostante faccia effettivi sforzi per intraprendere tale programma. La maggior parte delle persone affette da dipendenza da droghe o alcol si giustificano asserendo di non avere una copertura sanitaria adeguata (problema di minore impatto in Italia, dove il SSN assicura un’adeguata copertura assicurativa a tutti) o di non essere pronti a smettere in quel preciso momento1. Altri ostacoli sono la necessità di rispettare i tempi di ricovero previsti dal programma di trattamento (28-180 giorni), l’aderenza al trattamento, compresa l’attività di counseling e la terapia comportamentale, la mancanza di un sistema di supporto e la ricaduta.
Il passo iniziale per intraprendere un programma di trattamento efficace è prendere coscienza di aver bisogno di aiuto e fare quanto possibile per ottenere tale aiuto. Un individuo può arrivare a tale decisione in modo autonomo o essere spinto a tale scelta dalla famiglia, da amici, da un collega, dal proprio datore di lavoro, da un operatore sanitario o dal sistema legale. Una volta che la richiesta di aiuto viene palesata, è possibile sviluppare un piano di trattamento. Esistono diversi metodi per trattare la dipendenza e, di conseguenza, si rende necessario adattare il programma alle specifiche esigenze del paziente.
Il trattamento deve aiutare la persona affetta da dipendenza a interrompere il suo schema comportamentale, riconquistare il controllo della propria vita e imparare ad affrontare il craving e gli stimoli attivanti (trigger) che portano alla ricaduta. Per essere veramente efficace un programma di trattamento dovrebbe comprendere un’attività di counseling, sia individuale sia di gruppo, e una terapia comportamentale. È opportuno prendere in considerazione le diverse necessità dell’individuo e non focalizzarsi esclusivamente sulla sua dipendenza da sostanze. La partecipazione a un programma di disintossicazione noto come “Metodo dei dodici passi” (vedi www.alcolisti-anonimi.it) può essere di grande aiuto per il recupero e la prevenzione di ricadute.
Trattamento della Dipendenza da Oppiacei
Il termine oppiacei (generalmente il più usato) si riferisce agli alcaloidi naturali dell’oppio (codeina e morfina) o i loro derivati semisintetici (es. eroina, idrocodone e ossicodone). Con il termine oppiodi si indicano gli agenti sintetici che esercitano effetti simili a quelli dell’oppio (es. meperidina e fentanyl). In Italia, il termine viene inteso sia per gli alcaloidi naturali, sia per i derivati sintetici.
Sono tre i farmaci approvati per il trattamento della dipendenza da oppiacei (vedi Tabella 3): il metadone, il naltrexone e la buprenorfina. Metadone e buprenorfina possono essere usati durante il processo di disintossicazione e come terapia di mantenimento. Il naltrexone, un antagonista del recettore degli oppioidi, viene impiegato nella terapia di mantenimento per bloccare gli effetti degli oppiacei. Il trattamento della dipendenza da oppiacei va adeguato alle specifiche esigenze di ciascun paziente, con un aggiustamento mirato del dosaggio per prevenire i sintomi di astinenza, il desiderio impulsivo/compulsivo al consumo o craving e le ricadute. In Italia la prescrizione e la distribuzione di metadone per la dipendenza da oppiacei è in carico ai Ser.T.
Metadone: il metadone, un agonista dei recettori µ degli oppioidi, è stato approvato dalla FDA nel 1947. Si tratta di un narcotico inserito nella Tabella 1 del testo unico degli stupefacenti che comprende le sostanze, indipendentemente dalla distinzione tra stupefacenti e sostanze psicotrope, con potere tossicomanigeno e oggetto di abuso. Il metadone è approvato per il trattamento delle sindromi dolorose di entità severa in pazienti che non rispondono più a un trattamento sequenziale con farmaci analgesici, antinfiammatori non steroidei, steroidei o oppioidi deboli e per il trattamento di disassuefazione da stupefacenti narcotici. Questo comprende il trattamento della sindrome acuta da astinenza e la terapia di mantenimento. Il metadone ha un inizio d’azione piuttosto lento, da 30 a 60 minuti dall’assunzione orale, ma lunga durata, con un’emivita che va da 8 a 59 ore. I vantaggi del metadone sono che può essere somministrato per via orale, prevede un’unica assunzione giornaliera e non ha effetti euforici se assunto secondo prescrizione rispetto ad altri agonisti oppioidi. Dal punto di vista clinico si osservano ancora effetti di analgesia, depressione respiratoria, miosi (restringimento delle pupille), motilità intestinale ridotta e dipendenza fisica. Generalmente il paziente sviluppa tolleranza nei confronti di questi effetti indesiderati durante la prosecuzione della terapia. A causa della lunga durata d’azione del metadone, la depressione respiratoria può avere il proprio picco più tardi e durare più a lungo rispetto agli altri effetti collaterali. Il metadone viene metabolizzato a livello epatico principalmente dagli isoenzimi CYP450. Per questa ragione esistono oltre 100 farmaci (induttori ed inibitori del CYP450) che producono un’interazione maggiore/grave con il metadone33. Il metadone viene usato come terapia sostitutiva. A causa della dipendenza crociata indotta dagli oppiacei, la dipendenza fisica viene trasferita dagli oppiacei quali droghe da abuso al metadone. Nel cominciare la terapia va usata cautela nel dosaggio, nella conversione da un oppioide a un altro e nell’uso contemporaneo di sedativi del sistema nervoso centrale (SNC) per evitare disturbi respiratori. Sulla scheda tecnica del metadone sono state introdotte delle avvertenze che riguardano gli effetti cardiaci, la depressione respiratoria e il decesso. Gli effetti indesiderati cardiaci includono prolungamento dell’intervallo QT e torsione di punta, tachicardia ventricolare che può portare a instabilità emodinamica e fibrillazione ventricolare potenzialmente fatale. L’uso concomitante di alte dosi di metadone associate ad altri farmaci psicoattivi, soprattutto cocaina, presenta un aumentato rischio di mortalità da torsione di punta13. Gli effetti collaterali più frequenti osservati con il metadone includono aumento della sudorazione, disturbi del sonno, nausea e altri sintomi astinenziali14.
Il metadone si è mostrato efficace soprattutto quando i pazienti si trovano all’interno di un programma di trattamento. Si stima che il 67% dei pazienti ridurrà l’uso illecito di oppiacei, il 61% diminuirà i comportamenti a rischio correlati all’HIV e il 58% l’attività criminale legata o meno all’uso di stupefacenti15. Il metadone viene usato durante il processo di disintossicazione per controllare i sintomi di astinenza. Il dosaggio andrà calibrato in base alla risposta di ciascun paziente, senza causare sedazione. La lunga emivita del metadone fa sì che non sia possibile raggiungere lo steady state prima di 5 giorni dall’inizio dell’assunzione. Nel corso del trattamento di mantenimento, occorre aggiustare continuamente il dosaggio, in modo da ridurre il craving, bloccare gli effetti euforici derivanti dall’assunzione di qualunque altro oppiaceo e raggiungere una buona tolleranza verso gli effetti sedativi del metadone. Tutto ciò indica la necessità di terapie personalizzate per ciascun paziente e di un monitoraggio continuo. Alcuni soggetti avranno bisogno di una terapia a lungo termine, mentre altri potranno interrompere il trattamento. Prima di poter sospendere del tutto l’assunzione di metadone, occorre scalare gradualmente le dosi e informare adeguatamente il paziente circa la possibilità di incorrere in ricadute.
Buprenorfina:labuprenorfina è un farmaco agonista/antagonista dei recettori degli oppioidi che è inserita nella Tabella 1 del testo unico degli stupefacenti. In commercio in Italia si trovano attualmente tre formulazioni farmaceutiche: compresse sublinguali, cerotti transdermici e soluzioni iniettabili. Le formulazioni transdermiche sono indicate per il trattamento del dolore oncologico di intensità da moderata a grave e del dolore grave che non risponde agli analgesici non oppioidi, mentre le formulazioni sublinguali e iniettabili sono indicate per il trattamento del dolore acuto e cronico di intensità medio-elevata e di intensità elevata di diversa origine e tipo rispettivamente. La formulazione sublinguale è stata inoltre approvata per il trattamento sostitutivo della dipendenza da oppiacei nell’ambito di una terapia medica, sociale e psicologica. In combinazione con il naloxone, la buprenorfina in compresse e film sublinguali (attualmente non in commercio in Italia) ha ottenuto l’approvazione per il trattamento della dipendenza da oppiacei. Le formulazioni attualmente disponibili in commercio in Italia della combinazione buprenorfina/naloxone sono quelle in compresse sublinguali da 2 mg/0,5 mg e 8 mg/2 mg. Il naloxone è un antagonista dei recettori oppioidi e non ha effetti clinici quando assunto per via orale. Tuttavia, se il composto buprenorfina/naloxone viene somministrato per via endovenosa o intramuscolare può indurre astinenza. Come agonista parziale, la buprenorfina ha un “effetto tetto” che porta alla riduzione del rischio di overdose, abuso e tossicità. Gli effetti avversi più comuni correlati alla buprenorfina includono cefalea, dolore, insonnia, sintomi di astinenza, sudorazione, ansia, nausea, depressione, rinite e stipsi17,18. Gli effetti avversi compaiono solitamente durante il trattamento. Nel corso dei trial clinici sono stati rilevati valori elevati nei test di funzionalità epatica, ma il fatto non pareva essere collegato al dosaggio della buprenorfina, ad eccezione dei pazienti con epatite al basale17,18. Altri effetti collaterali correlati all’uso del film sublinguale sono stati ipoestesia orale, glossodinia ed eritema della mucosa orale19.
La buprenorfina è metabolizzata dal sistema CYP450 3A4, i cui induttori (es. fenitoina e iperico) potrebbero portare alla riduzione dei livelli di buprenorfina e a conseguenti, possibili sintomi da astinenza. A causa dell’“effetto tetto” della buprenorfina, gli inibitori del CYP450 3A4 (es. fluconazolo e claritromicina) dovrebbero presentare limitati effetti clinici, a meno che, unitamente alla somministrazione parenterale di buprenorfina non vengano associati sedativi del SNC17. Sia la buprenorfina da sola sia l’associazione buprenorfina/naloxone si sono dimostrati efficaci nel ridurre l’uso di oppiacei. Durante un trial clinico di 4 settimane, il 38,5% dei pazienti trattati con buprenorfina ha presentato campioni di urina negativi agli oppiacei, contro il 5,8% del gruppo trattato con placebo18. Anche il craving per gli oppiacei è stato ridotto nei pazienti trattati con buprenorfina rispetto a quelli trattati con placebo18.
La buprenorfina in monoterapia viene raccomandata nella fase iniziale del trattamento della dipendenza da oppiacei, per ridurre i sintomi astinenziali. La dose iniziale viene somministrata almeno 4 ore dopo l’ultima assunzione di oppiacei o al comparire dei primi sintomi di astinenza. Il dosaggio viene aggiustato per 2 giorni e poi ha inizio la terapia di mantenimento. Se la buprenorfina viene somministrata troppo presto rispetto all’ultima assunzione di un agonista oppioide, oppure se il dosaggio è troppo basso o troppo alto, si possono scatenare i sintomi dell’astinenza. Diventa pertanto cruciale rispettare i tempi di inizio della terapia con buprenorfina. Il composto buprenorfina/naloxone è consigliato come terapia di mantenimento e il dosaggio va calibrato in base alla risposta di ciascun paziente. L’obiettivo è quello di ridurre il craving, eliminare i sintomi dell’astinenza e mantenere il paziente nei programmi di trattamento.
I pazienti che passano dai film sublinguali alle compresse sublinguali andrebbero monitorati per verificare che non si verifichino fenomeni di dipendenza o sovra-medicazione, dovuti alle differenze di biodisponibilità relativa19. I sintomi astinenziali compaiono quando si interrompe la terapia con la buprenorfina. Si raccomanda quindi una diminuzione graduale della dose, sotto stretto controllo medico. Se una ricaduta pare probabile, la terapia non andrebbe interrotta. Per ottemperare a quanto previsto dalle REMS (Risk Evaluation and Mitigation Strategies, Strategie di Valutazione e Riduzione dei Rischi) occorre che a ogni seduta di somministrazione del farmaco venga consegnata una guida al farmaco. Il produttore dei film sublinguali sconsiglia di tagliare i film, perché sulla confezione non sono previsti segni speciali che possano guidare in questa operazione, non è possibile assicurare la stabilità del film una volta tagliato e la chiusura di sicurezza per i bambini di cui è provvisto l’imballaggio diventa inefficace una volta aperta la singola confezione. Se i bambini mettono in bocca il film, occorre rivolgersi immediatamente al pronto soccorso20.
Naltrexone:il naltrexone è un antagonista competitivo dei recettori oppioidi che elimina gli effetti euforizzanti degli oppiacei e pare ridurre il craving. Si pensa che gli oppiacei endogeni e il loro effetto sul sistema della ricompensa mesencefalico, il sistema interno di gratificazione, giochino un ruolo nell’alcolismo. Infatti, l’uso del naltrexone per via orale è approvato per il mantenimento della non dipendenza dagli oppiacei in individui disintossicati ex-tossicodipendenti e per il programma di trattamento globale per la dipendenza da alcol al fine di ridurre il rischio di recidiva, di favorire l’astinenza e di ridurre il bisogno di assumere bevande alcoliche. Attualmente in Italia non esistono indicazioni per le formulazioni iniettabili di naltrexone per il trattamento della dipendenza da oppiacei.
Gli eventi avversi più comuni correlati all’assunzione orale di naltrexone sono nausea, cefalea, vertigini, astenia, vomito, ansia e nervosismo21.Diarrea e cefalea, oltre agli attesi sintomi astinenziali, sono state osservate in pazienti trattati per la dipendenza da oppiacei22. Oltre a queste reazioni, i pazienti in trattamento con il naltrexone per via intramuscolare hanno presentato anche reazioni sul sito d’iniezione, quali dolore, indurimento, infezione e reazioni allergiche.23 Per il naltrexone esiste un’avvertenza relativa all’epatotossicità del farmaco se somministrato a dosi più elevate di quelle raccomandate. Il naltrexone non andrebbe usato in pazienti affetti da epatite acuta o insufficienza epatica. Sebbene il naltrexone per via orale riesca a ridurre l’uso di oppiacei da parte dei pazienti, l’inserimento in un programma di trattamento è visto come un ostacolo a risultati positivi24. In un articolo di revisione della letteratura è stato evidenziato che pazienti con dipendenza da oppiacei trattati con formulazioni iniettabili di naltrexone hanno maggiori probabilità di diminuire il consumo di oppiacei rispetto a quelli trattati con placebo o con naltrexone per via orale23. Questo farmaco provocherà astinenza in quei pazienti che, negli ultimi 7 giorni, abbiano assunto oppiacei a breve durata di azione o oppiacei a lunga durata di azione negli ultimi 10 giorni25. Prima di iniziare la terapia con il naltrexone, quindi, i pazienti dovranno astenersi dall’assumere queste sostanze per 7-10 giorni. La risposta alla dose iniziale andrà monitorata con attenzione per verificare che non si presentino sintomi astinenziali. Eventuali ricadute che seguono il trattamento con il naltrexone presentano un maggior rischio di overdose e morte, a causa della ridotta tolleranza o dell’aumento della sensibilizzazione agli oppiacei.
Trattamento farmacologico della dipendenza da alcol
I farmaci più efficaci per il mantenimento dell’astinenza negli alcolisti sono: il disulfiram, il sale sodico dell’acido-4-idrossibutirrico (gamma hydroxybutyrate, GHB), l’acamprosato e il naltrexone (vedi Tabella 4). In Italia è autorizzato l’utilizzo del disulfiram, del naltrexone e del GHB, mentre negli Stati Uniti, oltre al naltrexone e al disulfiram è ammesso l’acamprosato, ma non il GHB. Il trattamento della dipendenza da alcol può richiedere l’assunzione a lungo termine di farmaci quale terapia di mantenimento. L’uso di preparati farmacologici, combinato con adeguati meccanismi di supporto e counseling, incluso il programma di recupero noto come il “Metodo dei Dodici passi”, possono fornire gli strumenti necessari per prevenire eventuali ricadute.
Disulfiram:il disulfiram, approvato dalla FDA nel 1951 per il trattamento dell’alcolismo, è un inibitore dell’aldeide deidrogenasi. L’etanolo viene metabolizzato prima dall’alcol deidrogenasi in acetaldeide, a sua volta metabolizzata dall’aldeide deidrogenasi in acido acetico. Quando il disulfiram inibisce l’aldeide deidrogenasi, nel siero si accumula acetaldeide. Questo aumento di acetaldeide nelle concentrazioni sieriche produce reazioni avverse, tra le quali palpitazioni, cefalea pulsante, nausea, grave emesi, dispnea, tachicardia, ipotensione, annebbiamento visivo, vertigini e stato confusionale. Le reazioni avverse disincentivano il paziente al consumo di alcol.
A causa della natura degli effetti avversi del disulfiram, è difficile mantenere lo studio clinico in cieco. Le revisioni degli studi sugli esiti del disulfiram hanno riconosciuto questa difficoltà e suggeriscono che gli studi clinici abbiano indicato vari livelli di efficacia26. In una recente review, sei dei 10 studi hanno indicato che il disulfiram aveva un effetto migliore sull’astinenza rispetto al placebo, ad altri trattamenti o ai casi di assenza di trattamento. Gli altri quattro studi non hanno evidenziato altri trattamenti con un effetto significativamente migliore sull’astinenza rispetto a disulfiram. In nove di questi 10 studi, i pazienti sono stati sottoposti a terapia cognitiva volontaria, psicoterapia o counseling26.
Per il disulfiram esiste un’avvertenza speciale che indica di non ingerire il farmaco quando si è intossicati o senza esserne pienamente consapevoli. Viene inoltre specificato che il medico dovrebbe fornire istruzioni ai parenti del paziente. Una revisione della letteratura sulla sicurezza del farmaco, datata 1999, ha concluso che nei pazienti trattati con disulfiram si sono verificati rari casi di epatite fatale (1:30.000 pazienti-anno), problemi neuropsichiatrici (1:15.000 pazienti-anno) e complicazioni cutanee. Stanchezza, cefalea e sonnolenza sono i sintomi riportati come effetti avversi di minore gravità27. Prima di iniziare il trattamento con il disulfiram, i pazienti dovranno essersi astenuti dal consumare alcol per almeno 12 ore. I pazienti non dovranno poi assumere alcol per almeno 2 settimane dopo l’ultima dose di disulfiram.
Il disulfiram è usato come agente repulsivo nel trattamento dell’alcolismo. I pazienti vanno informati accuratamente sugli effetti dell’ingestione di alcol o preparati alcolici durante il trattamento con il disulfiram. L’uso di metronidazolo è controindicato durante la terapia con il disulfiram e per almeno 2 settimane dopo l’ultima dose. È possibile che si sviluppino psicosi acute e stato confusionale, dovuti alla tossicità sul SNC, causati dall’inibizione dell’aldeide deidrogenasi ad opera della combinazione disulfiram-metronidazolo. Si raccomanda di usare il disulfiram con cautela nei pazienti con cirrosi o insufficienza epatica. Nel caso di pazienti che hanno interrotto il trattamento con il disulfiram malgrado gli esiti positivi, potrebbe rivelarsi appropriato ricominciare ad assumere il farmaco associandovi una terapia comportamentale, soprattutto se si prevedono possibili future situazioni stressanti o ad alto rischio di ricaduta. Ciò aiuterà il paziente ad affrontare questi eventi e ad evitare ricadute28.
Acamprosato: l’acamprosato è indicato per il mantenimento dell’astinenza nel paziente alcoldipendente. Deve essere associato a un sostegno psicologico, L’acamprosato pare avere un effetto mediato centralmente di riduzione dell’eccitabilità neuronale. Con il consumo cronico di alcol, si verifica un’up-regulation dei neurotrasmettitori del sistema glutammatergico per contrastare gli effetti sedativi del sistema GABAergico. Quando il consumo di alcol cessa, si verifica uno squilibrio che provoca ansia, insonnia ed ipereccitabilità. L’acamprosato riduce l’iperattività neuronale glutammatergica, aiutando a riequilibrare l’organismo e a restare astinenti. Una ri-analisi di tre studi cardine europei ha indicato che i pazienti trattati con acamprosato avevano triplicato la possibilità di restare completamente astinenti a 13 settimane e avevano 1,8 volte più probabilità di restare completamente astinenti a 52 settimane rispetto a quelli trattati con placebo29.
L’acamprosato non viene metabolizzato dal fegato e viene escreto dai reni in forma immodificata. È sicuro per i pazienti affetti da malattia epatica grave, ma richiede un aggiustamento del dosaggio nei soggetti con moderata compromissione della funzionalità renale e non andrebbe usato nei pazienti con grave insufficienza renale. L’acamprosato pare avere un buon profilo di sicurezza, con la sola diarrea come reazione avversa più comune riportata durante il trattamento30. La terapia con acamprosato viene generalmente avviata 5 giorni dopo l’interruzione del consumo di alcol28. Con un’emivita che va da 20 a 33 ore, l’efficacia piena del farmaco non si avrà prima di almeno 5 giorni. In caso di ricadute, la terapia andrebbe continuata. L’acamprosato è stato usato in combinazione con il naltrexone orale, ma non si tratta di una terapia attualmente approvata. L’acamprosato non influenza i recettori oppioidi e può rivelarsi indicato per i pazienti sottoposti a trattamento della dipendenza da oppiacei28. Se si interrompe la terapia con acamprosato non compaiono sintomi astinenziali e non occorre ridurre gradualmente il dosaggio28.
Naltrexone: come specificato precedentemente, il naltrexone contiene anche un’indicazione per l’uso nel trattamento dell’alcolismo. Si è osservata la necessità di ricovero ospedaliero correlata tanto a ricadute di condizioni di alcolismo quanto a condizioni psichiatriche in pazienti trattati per la dipendenza da alcol21. Gli effetti collaterali e le limitazioni d’uso sono stati discussi in precedenza e vengono elencati nella Tabella 3.
Una revisione comparativa del naltrexone per via orale e in formulazione iniettabile (in Italia attualmente non indicata per il trattamento dell’alcolismo) per il trattamento dell’alcolismo ha rivelato risultati incoerenti in relazione alla riduzione delle ricadute31. Dopo 3 mesi di trattamento, il farmaco per via orale ha riportato tassi di ricaduta significativamente inferiori rispetto al placebo. La formulazione iniettabile non indicava una riduzione significativa delle ricadute a 3 mesi, ma una diminuzione dal 17 al 25% dei giorni di forte consumo di alcol durante i 6 mesi di trattamento31. Un’altra analisi di pazienti rimasti astinenti per almeno 4 giorni prima dell’ingresso nello studio clinico ha rivelato un tasso di astinenza totale pari al 32% per i pazienti trattati con 380 mg di naltrexone iniettabile, rispetto a un tasso dell’11% per i pazienti trattati con placebo dopo 24 settimane di trattamento32. Il trattamento con naltrexone viene generalmente iniziato da 3 a 7 giorni dopo l’ultimo consumo di alcol, per ridurre l’insorgenza di effetti collaterali, soprattutto di nausea28. Ai pazienti andrebbe consigliato di continuare la terapia con il naltrexone nel caso di ricadute, per limitare la gravità delle stesse28. Si raccomanda il trattamento dell’alcolismo per almeno 3 mesi ma può volerci fino a un anno perché la terapia sia efficace.
Sale sodico dell’acido-4-idrossibutirrico (GHB): tale sostanza agirebbe sui recettori GABA (in particolare GABAB) e su recettori specifici per il GHB, inducendo un incremento della concentrazione cerebrale di dopamina e di serotonina, ma sarebbero coinvolti anche altri neurotrasmettitori. Il GHB determina una riduzione del craving da alcol, in quanto ne riproduce gli effetti “gratificanti” diminuendo così anche la frequenza degli episodi di ricaduta. Durante il periodo di trattamento è possibile l’insorgenza di craving per il farmaco e conseguente abuso del farmaco. I pazienti “non responder” al frazionamento convenzionale in 3 dosi giornaliere di GHB (da correlare alla breve emivita del farmaco che è di circa 2 ore) sembrano trarre beneficio dalla suddivisione in 6 somministrazioni giornaliere (ogni 4 ore) dello stesso dosaggio (50 mg/kg/die). Inoltre, un incremento del frazionamento del farmaco sembra essere in grado di determinare una maggiore riduzione del craving, un aumento dell’efficacia terapeutica e una riduzione del rischio di abuso. Recentemente uno studio comparativo tra GHB e naltrexone, condotto da Caputo e coll. (2003), ha evidenziato che il GHB è più efficace del naltrexone se l’obbiettivo considerato è la totale astensione da bevande alcoliche, mentre il naltrexone ha confermato la sua efficacia nel prevenire i fenomeni di ricaduta nella forma di “heavy drinking”. Infine sono da segnalare 2 recentissimi studi che hanno dimostrato l’efficacia dell’associazione di GHB e naltrexone e di GHB, naltrexone ed escitalopram35.
Il ruolo del farmacista
Quali operatori sanitari più facilmente accessibili sul territorio, i farmacisti si trovano in una posizione esclusiva per identificare gli individui cui occorra un trattamento per la dipendenza da sostanze, sia che si tratti di pazienti, sia di collaboratori o dipendenti. I farmacisti devono imparare a riconoscere i segni della dipendenza, ma anche le differenze nei vari livelli di uso di una sostanza psicoattiva. Rivedere il profilo del paziente alla ricerca di segni che possano indicare una potenziale assuefazione e un abuso, quindi incoraggiare il trattamento e fornire attività di counseling può fermare il ciclo della dipendenza. È importante mantenere un profilo farmacologico completo, perché i pazienti spesso ricevono il metadone da strutture esterne di trattamento. Ciò dovrebbe aiutare a ridurre il rischio potenziale di pericolose interazioni tra farmaci. I farmacisti dovrebbero inoltre vigilare sul possibile abuso di agonisti oppioidi impiegati nel trattamento della dipendenza da oppiacei, come il metadone e la buprenorfina. In questo contesto si inserisce il monitoraggio di prescrizioni illegittime di queste sostanze. È importante sapere come contattare gli enti locali disponibili per il trattamento delle dipendenze. Ci si aspetta che i farmacisti forniscano ai propri pazienti informazioni oneste sui farmaci per il trattamento delle dipendenze e sulle reazioni avverse che possono verificarsi. Informarsi sugli sforzi compiuti dai pazienti per guarire e fornire loro supporto emotivo può aiutare i pazienti a continuare il programma di trattamento e portare a più elevate percentuali di successo. Senza alcun intervento o trattamento, la dipendenza da droghe e alcol diventa cronica, progressiva, recidivante e potenzialmente fatale.6
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