Gli integratori alimentari nella donna

Autore: dr.ssa Laura Iorio,S.S Nutrizione e Dietetica Clinica, ICP-CTO, Milano

Revisore scientifico: Prof. Paolo Magni, Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari, Facoltà di Scienze del Farmaco, Università degli Studi di Milano, Milano

 

Scopo dell’attività

Fornire al farmacista informazioni riguardo le specifiche necessità nutrizionali della donna in ogni fase della vita e le conseguenti possibilità di integrazione.

Obiettivi formativi

Al termine del presente modulo didattico il farmacista dovrebbe essere in grado di:

  • conoscere le necessità nutrizionali specifiche della donna in relazione ai cambiamenti fisiologici;
  • elencare gli ambiti di intervento del farmacista;
  • riconoscere le patologie per le quali è necessario l’intervento medico.
  • Le donne rappresentano il 51% della popolazione italiana.
  • Nel corso della vita la donna subisce cambiamenti fisiologici durante i quali è necessario prestare una maggiore attenzione alla copertura delle necessità nutrizionali per mantenere uno stato di benessere.
  • Durante l’accrescimento, il calcio e la vitamina D sono essenziali per lo sviluppo scheletrico e la costituzione del picco di massa ossea, fondamentale nella prevenzione dell’osteoporosi.
  • Il ciclo mestruale predispone la donna a un’elevata incidenza di anemia sideropenica (30,2%).
  • La gravidanza determina cambiamenti fisiologici, anatomici, psicologici che richiedono maggiori fabbisogni di macro e micronutrienti.
  • Evidenze scientifiche hanno dimostrato il ruolo protettivo di alcune supplementazioni alimentari nei confronti di complicanze gravidiche per la futura mamma (anemia, ipertensione arteriosa, diabete gestazionale) e il nascituro (basso peso alla nascita, disturbi del tubo neurale).
  • Dopo la menopausa, le modifiche ormonali e le conseguenze del processo d’invecchiamento determinano cambiamenti importanti che richiedono specifici interventi di supporto.

Executive Summary

 

Introduzione

 

In Italia, secondo i dati ISTAT relativi all’ultimo censimento della popolazione, le donne rappresentano il 51% della popolazione, pari a circa 30 milioni di persone. Quasi metà delle donne lavora e pur a fronte di una maggiore flessibilità nel lavoro (spesso part-time), che apparentemente consente di meglio conciliare vita professionale, vita privata e familiare, la donna di oggi ha uno stile di vita che la espone a fattori di rischio importanti: stress, alimentazione irregolare, limitata attività fisica, fumo (quasi una donna su cinque è fumatrice abituale). È indubbio che il mantenimento di uno stato di benessere nel corso della vita passi proprio attraverso queste variabili:

  • equilibrio nell’alimentazione,
  • regolare esercizio fisico,
  • cura della propria persona sotto il profilo mentale e psichico.

 

Vi sono tuttavia fasi della vita della donna dove il cambiamento fisiologico e psicologico è particolarmente delicato ed è quindi necessario prestare una maggiore attenzione alla copertura delle necessità nutrizionali per mantenere uno stato di benessere: il rapido sviluppo dell’adolescenza e la comparsa del ciclo mestruale; il periodo della gravidanza e dell’allattamento; la delicata fase della menopausa. 

Secondo quanto definito dalle Linee Dietetiche nazionali e internazionali, le donne dovrebbero consumare sempre una dieta varia, in grado di soddisfare le esigenze nutrizionali specifiche. Attualmente i riferimenti sono dati dalla Dose Giornaliera Consigliata (Recommended Daily Allowance, RDA) e dai Livelli di Assunzione giornalieri Raccomandati di Energia e Nutrienti (LARN) pubblicati nel 1996 e attualmente in corso di revisione.

Gli studi sugli apporti nutrizionali evidenziano spesso nelle donne una carenza cronica di alcuni elementi – in particolare ferro, acido folico, calcio – durante la giovinezza e in età adulta. Le diete a basso apporto calorico e quelle dimagranti, i disordini alimentari e la scelta di regimi vegetariani rendono le donne ancora più esposte a rischi di squilibri nutrizionali.

 

Dall’infanzia all’età adulta

La pubertà è il periodo che segna il passaggio dall’infanzia all’età adulta, durante il quale si raggiungono la maturità sessuale e la capacità riproduttiva. Nella donna questo cambiamento così delicato della vita si manifesta con la comparsa dei caratteri sessuali secondari, ovvero coincide con le grandi trasformazioni fisiche. Questi cambiamenti di solito avvengono tra gli 8 e i 13 anni e la prima mestruazione (menarca), che arriva in media intorno ai 12 anni, ne segna il coronamento. Il menarca è determinato dai cambiamenti della superficie interna dell’utero (endometrio) indotti dagli ormoni ovarici che hanno preparato l’utero ad accogliere l’ovulo fecondato. Soprattutto nei primi due anni dopo l’inizio delle mestruazioni i cicli, che normalmente si presentano ogni 28 giorni, possono essere alterati (periodi più brevi o più lunghi) per assestamenti ormonali che avvengono fisiologicamente.

L’assenza dei cambiamenti del corpo sopra descritti, nelle adolescenti, viene definita pubertà ritardata. Un controllo medico per valutare i livelli ormonali, la crescita ossea, le condizioni genetiche o le patologie tiroidee può essere utile per escludere diverse patologie quale causa di tale ritardo.

Quando la metamorfosi fisica si manifesta prima degli otto anni si parla di pubertà precoce.In caso di crescita del seno o di peluria pubica in una bambina di età inferiore agli otto anni è importante consultare subito il pediatra.

Durante la pubertà le ragazze sono solitamente scontente del proprio aspetto fisico: si sentono più goffe, timide ed insicure. Spesso i cambiamenti corporei sono associati a un aumento del peso che induce le ragazze a diete anche drastiche. Patologie come l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa possono manifestarsi molto frequentemente in questo periodo caratterizzato spesso da insicurezza. L’anoressia nervosa è un disturbo del comportamento alimentare caratterizzato dal rifiuto nel mantenere il peso corporeo al livello minimo normale per l’età e la statura o al di sopra di esso e dalla paura ossessiva di ingrassare. La ragazza anoressica ha un’immagine distorta del proprio corpo che percepisce come inadeguato e in costante condizione di sovrappeso nonostante il sottopeso. La comparsa di tale patologia è più comune nelle ragazze tra i 12 e i 25 anni. La bulimia consiste, invece, in un’incontrollata necessità di ingerire grandi quantità di cibo alternata a condotte eliminatorie quali vomito autoindotto, uso di clisteri, lassativi o altri farmaci per evitare l’aumento del peso. Questa patologia insorge generalmente più tardi, intorno ai 18-19 anni, e può passare inosservata per molto tempo in quanto non influisce sull’aspetto esteriore, come invece avviene per l’anoressia.

Mangiare poco e male ha conseguenze negative per l’organismo in crescita: le mestruazioni e la crescita possono arrestarsi anche in modo molto rapido determinando conseguenze significative per tutta la futura vita della donna (irregolarità del ciclo mestruale, disturbi della sessualità, depressione, osteoporosi).

 

Esigenze nutrizionali durante l’accrescimento

Calcio e Vitamina D. Il calcio è il minerale più abbondante nell’organismo umano e risulta essenziale in diversi processi fisiologici inclusi lo sviluppo scheletrico, la contrazione muscolare e il mantenimento di funzioni enzimatiche e ormonali. Lo riscontriamo principalmente nel tessuto osseo, che è caratterizzato da un elevato turnover fisiologico (rimozione e deposizione dipendente rispettivamente dall’attività osteoclastica e osteoblastica) particolarmente veloce nel bambino, nel quale tutta la componente minerale viene rinnovata nel giro di un anno. L’apporto deve essere adeguato fin dall’infanzia, come indica anche il Ministero della Salute nelle Linee guida per la prevenzione dell’osteoporosi.

La maggior parte della massa ossea viene accumulata entro i 18-20 anni. Un individuo che non raggiunge un picco ottimale di massa ossea durante l’infanzia e l’adolescenza potrà quindi sviluppare osteoporosi senza che vi sia una accelerata perdita ossea in età adulta. Pertanto, nello sviluppo dell’osteoporosi, la crescita ossea sub-ottimale nelle prime fasi della vita deve essere considerata importante tanto quanto la perdita di massa ossea che si verifica in età adulta. Quando l’assunzione di calcio con gli alimenti non è adeguata al fabbisogno, l’organismo utilizza il calcio depositato nello scheletro per mantenere i livelli circolanti, con conseguente demineralizzazione ossea, minore spessore dell’osso e trabecole più sottili e di numero ridotto, con aumento del rischio di osteoporosi.

Le assunzioni di calcio giornaliere raccomandate corrispondono a 500 mg/die nel primo anno di vita, 800 mg/die tra il primo e il sesto anno, 1000 mg/die tra il settimo e il decimo anno e 1200 mg/die per i soggetti tra gli 11 e i 19 anni (vedi Tabella 1). L’assorbimento intestinale, la mobilizzazione dal tessuto osseo o la deposizione nel tessuto osseo, nonché l’escrezione o il riassorbimento renale del calcio sono regolati dal paratormone (PTH), dalla calcitonina e dalla vitamina D. Il PTH ha un effetto ipercalcemizzante, a differenza della calcitonina che esercita un effetto ipocalcemizzante. Quando si parla di vitamina D si fa riferimento sia alla vitamina D2 (ergocalciferolo) sia alla vitamina D3 (colecalciferolo), che derivano dagli alimenti e dalla sintesi endogena a livello cutaneo, che si verifica mediante esposizione solare.

L’azione più conosciuta della vitamina D (nella sua forma attiva, il calcitriolo) riguarda il metabolismo osseo, con un effetto ipercalcemizzante che si esplica su tessuti diversi:

  • a livello intestinale (intestino tenue prossimale) facilita l’assorbimento del calcio assunto con la dieta;
  • a livello osseo stimola il riassorbimento della matrice organica;
  • a livello renale inibisce l’eliminazione del calcio con le urine.

 

Tuttavia i recettori della vitamina D si trovano anche in altre cellule (ipofisi e cervello, cellule emopoietiche, gonadi, cute, muscoli scheletrici, placenta, cuore, ecc.) dove il calcitriolo sembra essere in grado di esercitare funzioni immunomodulanti, antiproliferative e preventive, come dimostrato da recenti studi (vedi Figura 1 di pag. 4).

Durante il periodo fetale, in cui la crescita è piuttosto rapida, e soprattutto nelle ultime due-tre settimane di vita intrauterina, la richiesta di vitamina D necessaria sia per la costituzione dell’abbozzo scheletrico sia per la formazione dei germi dentari e della dentina è aumentata. Tale richiesta raggiunge livelli elevati durante i primi anni di vita e, in seguito, nella fase di “spurt” di crescita, che avviene circa tra gli 11 e i 14 anni (l’adolescenza). Tra gli eventi biologici durante i quali è richiesto un maggior quantitativo di vitamina D vi sono la formazione dei denti decidui e permanenti e la pubertà. Il deficit di vitamina D nei bambini e negli adolescenti è la causa del rachitismo. Il rachitismo è una malattia derivante da un difetto di mineralizzazione della cartilagine di accrescimento e dell’osso ancora in formazione, prima della fusione definitiva delle epifisi. La presentazione clinica più classica nei soggetti originari dei Paesi industrializzati oggi è molto sfumata, ma può essere presente nei Paesi in via di sviluppo. Il deficit di vitamina D ricorre però spesso nei lattanti, bambini e adolescenti europei sani appartenenti a gruppi a rischio, quali bambini allattati al seno, soggetti emigrati (i soggetti di razza nera e asiatici in particolare) o obesi (essendo una vitamina liposolubile, nei soggetti obesi viene immagazzinata nel tessuto adiposo da cui viene difficilmente rilasciata con conseguente minore biodisponibilità).

Le raccomandazioni relative all’assunzione di vitamina D nei bambini e negli adolescenti emanate dalla European Society for Peadiatric Gastroenterology Hepatology and Nutrition sono:

•   il dosaggio sierico del calcidiolo (25(OH)vitD), permette di riconoscere nella pratica un sufficiente apporto di vitamina D per valori >50 nmol/l e di diagnosticare condizioni di grave deficit vitaminico nel caso di valori

•   tutti i lattanti dovrebbero ricevere una supplementazione orale di vitamina D pari a 400 Unità Internazionali (UI*) al giorno; la supplementazione dovrebbe essere supervisionata dal pediatra o da altre figure sanitarie;

•   in accordo con l’European Food Safety Authority, si pone come limite massimo di sicurezza un’assunzione di vitamina D pari a 1000 UI/die nei lattanti, 2000 UI/die nei bambini di età compresa tra 1 e 10 anni e 4000 UI/die nei bambini e negli adolescenti tra gli 11 e 17 anni;

•   bambini e adolescenti dovrebbero essere incoraggiati a seguire uno stile di vita salutare che permetta loro di mantenere un peso corporeo adeguato all’altezza, di assumere cibi ad elevato contenuto di vitamina D (pesce, uova, latticini, ecc.), di effettuare adeguata attività fisica e garantire una corretta esposizione solare quotidiana;

•    nel caso dei gruppi a rischio di deficit, la supplementazione orale con vitamina D deve essere considerata anche oltre l’anno di età.

Ferro. Sebbene presente in quantità modesta nell’organismo umano, il ferro svolge un ruolo essenziale in numerose funzioni biologiche. Esiste sotto due forme: il ferro emico, che interviene nella costituzione dell’emoglobina, della mioglobina e degli enzimi emopoietici e il ferro non emico, che è presente in alcuni enzimi nonché nelle forme di trasporto e di riserva (vedi Tabella 2 di pag. 5).

Il bisogno di ferro varia in funzione del sesso, dell’età e di situazioni fisiologiche differenti durante il corso della vita: è particolarmente elevato nei bambini a causa della rapidità dell’accrescimento e nelle donne in età fertile a causa delle perdite mestruali (vedi Tabella 3 di pag. 5). La carenza di ferro determina anemia sideropenica. La prevalenza mondiale di anemia in donne non gravide è stimata intorno al 30,2% e la metà di queste anemie sembrerebbe dovuta a deficit di ferro. La carenza di ferro nell’adolescente può influenzare negativamente il tono dell’umore, la capacità di concentrazione e di rendimento scolastico, la resistenza allo sforzo. Le Linee guida emanate dalla World Health Organization (WHO) sulla supplementazione di ferro e acido folico nelle donne mestruate riportano le seguenti raccomandazioni:

•   la supplementazione ciclica di ferro e acido folico in donne mestruate che vivono in paesi dove l’anemia è presente con un’alta prevalenza (>20%) è fortemente raccomandata per migliorare la concentrazione di emoglobina e le scorte di ferro e ridurre il rischio di anemia (forte raccomandazione); la supplementazione ciclica prevede 60 mg di ferro elementare (corrispondente circa a 150 mg di ferro solfato, 500 mg di ferro gluconato, 180 mg di ferro fumarato) e 2,8 mg di acido folico 1 volta alla settimana per tre mesi, seguito da interruzione per altri tre mesi e successiva ripresa del trattamento;

•   nei casi di anemia sideropenica accertata (emoglobina

 

Vitamina C. La vitamina C (acido ascorbico), grazie alle sue proprietà riducenti, aumenta l’assorbimento intestinale del ferro attraverso la riduzione dello ione ferrico (Fe3+) a ione ferroso (Fe2+); quest’ultimo è più solubile e quindi più facilmente assorbibile (vedi Figura 2 a pag. 6). L’acido ascorbico è anche coinvolto insieme all’adenosina trifosfato (ATP) nel rilascio del ferro ferrico dalla ferritina plasmatica e nella sua conseguente incorporazione, attraverso le proteine trasportatrici apoferritina e transferrina, nella ferritina tissutale. Favorendo il legame ferro-ferritina e aumentando la stabilità del complesso stesso ne aumenta la biodisponibilità intracellulare. Attualmente la vitamina C è ritenuta più importante per la sua partecipazione al metabolismo del ferro che per la sua prevenzione dello scorbuto. L’assunzione di integratori a base di vitamina C in giovani donne pertanto aiuta l’assorbimento del ferro.

 

Gravidanza e allattamento

La gravidanza rappresenta lo stato fisiologico della donna che porta, all’interno del suo organismo, il prodotto del concepimento. Si tratta di un periodo molto speciale nel quale la donna subisce modificazioni anatomiche e funzionali locali e generali profonde, definite con il termine di fenomeni gravidici. Al fine di tutelare la madre e il nascituro, nel corso della gravidanza si effettuano una serie di esami e accertamenti, volti a individuare precocemente alterazioni o patologie che potrebbero essere, se non trattate, fonte di problemi; tutto ciò al fine di poter effettuare tempestivi trattamenti e limitare le eventuali conseguenze materno-fetali. Bruschi aumenti di peso, la comparsa rapida di edemi (gonfiori) alle gambe, eventuali sanguinamenti e/o dolori e qualsiasi altro sintomo dovranno essere subito segnalati al proprio ginecologo. Dal punto di vista alimentare-dietetico, il periodo della gravidanza è particolarmente critico in quanto la dieta incide in modo fondamentale sulla salute sia della madre sia del bambino. È fondamentale che la donna raggiunga uno stato nutrizionale ottimale prima, durante e dopo il periodo gestazionale. Il periodo post-gestazionale comprende sia l’allattamento, in cui le richieste nutrizionali sono ancora superiori a quelle della gravidanza, sia una fase di recupero. In generale una dieta idonea e corretta è sufficiente al progredire di una gravidanza senza rischi e al sostentamento di un normale allattamento. Tuttavia può accadere di riscontrare un apporto non del tutto soddisfacente di alcuni nutrienti. In tal caso un’opportuna supplementazione potrebbe essere consigliabile. Inoltre, studi dimostrano il ruolo protettivo di alcune supplementazioni nei confronti di complicanze gravidiche per la futura mamma (ipertensione arteriosa, pre-eclampsia, anemia, ecc.) e il nascituro (basso peso alla nascita, disturbi del tubo neurale, ecc.). Questa integrazione va tuttavia effettuata con cautela e la gestante deve essere bene informata che dosi eccedenti quelle consigliate potrebbero essere dannose.

 

Anemia

A livello mondiale si stima che il 41,8% delle donne in gravidanza sia anemico. L’origine di tale complicanza è da attribuirsi principalmente a una carenza di ferro, sebbene altre condizioni possano rappresentarne l’eziopatogenesi; tra queste: deficit di acido folico, deficit di vitamina B12, infiammazioni croniche, infezioni e disordini ereditari. Durante la gravidanza una donna è considerata anemica quando la sua concentrazione di emoglobina è inferiore a 11 g/dl. In questa particolare fase, infatti, si verifica un rapido e importante aumento del volume plasmatico e in misura minore un incremento del volume dei globuli rossi. Tali modificazioni inducono una diluizione del sangue che facilita gli scambi gassosi tra madre e feto ma comporta un calo fisiologico dei livelli di emoglobina. Livelli bassi di emoglobina durante la gravidanza sono associati a rischio di nascita prematura, mortalità materna e del bambino, infezioni.

 

Ferro. In gravidanza il ferro è indispensabile per provvedere alle aumentate richieste della madre, del feto, della placenta e per sopperire alle perdite ematiche dovute al parto. Il fabbisogno giornaliero, definito dai LARN, passa a 30 mg/die e, anche se l’assorbimento per os può aumentare, la donna in gravidanza è esposta all’instaurarsi di una carenza di ferro. Pertanto le gestantidovrebbero essere incoraggiate a consumare alimenti ricchi di ferro, quali carne magra, pesce, pollame, frutta a guscio e cereali arricchiti. Tuttavia le Linee guida del WHO prevedono una supplementazione ciclica di ferro a scopo preventivo già prima del concepimento. Le raccomandazioni indicano l’assunzione di ferro (30-60 mg di ferro elementare in base alla prevalenza di anemia del Paese) una volta alla settimana. L’integrazione di ferro può essere particolarmente utile nei casi di gravidanze ravvicinate o multiple, con l’obiettivo di ripristinare i depositi di ferritina necessari sia per il periodo gravidico sia per il post-partum.

Dosaggi superiori (120 mg di ferro elementare) e giornalieri sono richiesti nel caso in cui i valori di emoglobina siano compatibili con diagnosi di anemia sideropenica (bassi valori emoglobinici con indicatori di deficit marziale, come ad esempio bassi livelli di ferritina).

L’integrazione di ferro in gravidanza può non ottenere una compliance adeguata a causa di effetti avversi quali irritabilità gastrica, che può provocare non solo crampi e nausea ma anche vomito, oppure disturbi intestinali quali stipsi, diarrea, dolore e alterazione della flora batterica (disbiosi).

L’assunzione di ferro può ridurre la biodisponibilità di zinco e rame; in caso di supplementazione è quindi consigliabile associare al ferro un apporto di zinco e di rame. In tutti gli integratori studiati per la gravidanza (ma anche in quelli più comuni) i tre minerali sono comunque presenti in associazione.

Acido folico (vitamina B9). L’acido folico è importante per la produzione dei globuli rossi e come coenzima nella sintesi delle basi azotate degli acidi nucleici (DNA e RNA) e degli aminoacidi. L’importante ruolo dell’acido folico nella gravidanza è da correlare all’aumentato fabbisogno di sintesi di questi composti nelle fasi precoci dell’embriogenesi, che presentano rapida divisione cellulare. La sua assunzione è dunque raccomandata per prevenire l’insorgenza di anemia nella gestante e per ridurre il rischio di sviluppare malformazioni del feto, in particolare i difetti del tubo neurale associati a spina bifida o anencefalia, ma anche esiti avversi come ritardo di crescita intrauterina, parto prematuro, lesioni placentari.

Le Linee guida nazionali e internazionali consigliano in gravidanzaun apporto giornaliero di acido folico corrispondente a 400 mcg/die. Tale apporto risulta doppio rispetto alle esigenze di donne in normali condizioni fisiologiche, che corrisponde a 200 mcg/die. Anche nel caso dell’allattamentosi consiglia un apporto giornaliero superiore alla norma, pari a 350 mcg/die. La chiusura del tubo neurale (neurulazione primaria) avviene nel primo mese di gravidanza a partire dal 17° giorno; pertanto la donna dovrebbe iniziare ad assumere acido folico almeno da un mese prima del concepimento sino alla 12° settimana di gestazione.

Proprio per l’estrema labilità dell’acido folico (conservazione e cottura ne compromettono la stabilità, labiodisponibilità dipende dalla quantità di zinco presente nella dieta e dalla presenza di micotossine, fitati, alcool e pesticidi) difficilmente l’assunzione alimentare è in grado di superare i 200 mcg/die. Per raggiungere dosaggi maggiori la donna in gravidanza può consumare, in aggiunta alla normale dieta, alimenti arricchiti o supplementi dietetici contenenti folati opportunamente studiati. È stato stimato che solo un terzo delle donne assume acido folico prima del concepimento per cui in alcuni Paesi è stata introdotta la fortificazione degli alimenti obbligatoria (Stati Uniti, Cile, Canada) ottenendo una riduzione dei difetti del tubo neurale sino al 35%. Il ricorso a cibi fortificati quale profilassi, dove adottata, ha prodotto risultati comunque inferiori a quelli della supplementazione. L’indicazione è pertanto quella di assumere alimenti ricchi di acido folico e alimenti fortificati a cui va aggiunta la supplementazione di 400
mcg/die. Nelle donne a maggior rischio di malformazioni in generale e del tubo neurale in particolare per storia familiare o personale, con polimorfismo del sistema enzimatico di attivazione del folato, affette da diabete, in terapia antiepilettica con valproato e carbamazepina, deve essere valutata una supplementazione pari a 4-5 mg/die. La forma coenzimaticamente attiva dipende dalla presenza di acido ascorbico.

Sugli effetti positivi dell’acido folico (sui quali è stata recentemente richiamata l’attenzione anche dal Ministero della Salute), è opportuno dunque tenere presente che:

•   la supplementazione deve iniziare 3-4 settimane prima del concepimento;

•   i livelli minimi si raggiungerebbero con un apporto giornaliero di 200 microgrammi attraverso gli alimenti più una supplementazione di 400 microgrammi;

•   nelle donne “a rischio” (precedente gravidanza e/o familiarità per spina bifida, trattamento concomitante con chemioterapici o farmaci anticonvulsivanti) i livelli efficaci corrisponderebbero a una dose giornaliera corrispondente a 4-5 mg di acido folico;

•   la supplementazione di acido folico sembra concorrere a ridurre anche il rischio di altre complicanze gravidiche (tra cui la pre-eclampsia e il ritardo di crescita intrauterino)  di malformazioni congenite, in particolare cardiovascolari.

 

Vitamina B12. La vitamina B12 agisce con l’acido folico per una perfetta produzione e maturazione delle cellule emopoietiche. In gravidanza il fabbisogno passa da 2 a 2,2 mcg/die. Solitamente l’alimentazione varia ed equilibrata permette di coprire tale necessità. Tuttavia è bene segnalare che l’apporto di questa vitamina è critico in donne che seguono una dieta vegetariana che escluda tutti gli alimenti di origine animale. In questi casi si deve consigliare il consumo di integratori alimentari idonei.

 

Ipertensione arteriosa

I disordini ipertensivi durante la gravidanza includono:

•   ipertensione arteriosa cronica, già esistente prima della gravidanza,

•   ipertensione gestazionale,

•   pre-eclampsia,

•   eclampsia.

 

Questi disordini complicano approssimativamente il 2-8% delle gravidanze e sono associati a diverse complicanze quali: nascita pretermine, basso peso alla nascita e mortalità materna. La pre-eclampsia è diagnosticata quando l’ipertensione arteriosa è accompagnata da riscontro di proteinuria >300 mg nelle urine delle 24 ore. La fisio-patogenesi è ancora da definire, tuttavia sembrerebbe essere correlata a disturbi nell’adattamento morfo-funzionale dell’organismo nelle prime fasi della gravidanza con conseguente infiammazione e danno endoteliale.

 

Calcio. Alcuni studi hanno suggerito un possibile ruolo benefico nel ridurre il rischio di ipertensione arteriosa indotta dalla gravidanza con la supplementazione di calcio. Tuttavia le evidenze scientifiche risultano discordanti.

Le Linee guida emanate dalla WHO raccomandano una supplementazione quotidiana, per prevenire la pre-eclampsia, soprattutto in donne ad alto rischio di sviluppare ipertensione, in popolazioni di donne dove l’apporto di calcio è basso.

L’assunzione di calcio deve avvenire alle seguenti modalità: 1,5-2 g di calcio elementare (1 grammo di calcio elementare corrisponde a 2,5 g di calcio carbonato o 4 g di calcio citrato) diviso in 3 dosi, preferibilmente vicine ai pasti, a partire dalla 20a settimana di gestazione fino al termine della gravidanza. L’implementazione di calcio deve essere monitorata attentamente, il limite superiore introdotto quotidianamente può essere considerato di 3 g di calcio elementare al giorno.

Per evitare interazioni con la supplementazione di ferro nei casi in cui siano richieste entrambe, è buona norma somministrare i due nutrienti separatamente (il ferro lontano dai pasti).

Ulteriori approfondimenti sono richiesti per indagare i possibili meccanismi con cui il calcio potrebbe ridurre il rischio di ipertensione e valutare nello specifico le popolazioni target. Anche i trial condotti per valutare l’effetto della supplementazione sulla densità minerale ossea della madre e la mineralizzazione fetale sono poco conclusivi. Un incremento dei fabbisogni di calcio nelle gestanti per far fronte alle richieste scheletriche del feto e della donna, stimato dai LARN intorno ai 400 mg/die, sembrerebbe essere garantito con la sola alimentazione. Inoltre l’eccessivo consumo di calcio potrebbe incrementare il rischio di sviluppare calcoli renali e infezioni del tratto urinario.

 

Acidi grassi polinsaturi della serie omega-3. L’acido eicosapentaenoico (EicosaPentaenoic Acid,EPA) e l’acido docosaesaenoico (DocosaHexaenoic Acid, DHA) sono acidi grassi polinsaturi essenziali (PolyUnsaturated Fatty Acid, PUFA) della serie omega-3. Diverse evidenze associano i PUFA a un minor rischio di patologie cardiovascolari. Anche se il loro meccanismo d’azione non è chiaro, il loro potenziale effetto viene ascritto alla capacità di ridurre i livelli di trigliceridi, prevenire gravi aritmie o anche diminuire l’aggregazione piastrinica e la pressione arteriosa. Ne è derivata l’opportunità di consigliare un’integrazione alimentare di omega-3, e in particolare di DHA, durante la gestazione, al fine appunto di prevenire l’insorgenza dell’ipertensione arteriosa indotta dalla gravidanza. Tuttavia le evidenze ottenute da studi di intervento su donne in gravidanza sono discordanti. Non vengono quindi poste indicazioni specifiche su dosaggio, somministrazione e popolazione target di questo trattamento, che andrebbero ulteriormente approfondite.

Maggiori evidenze riguardano invece l’utilizzo di DHA nei confronti di altri outcome gravidici: aumento della durata della gestazione e adeguato sviluppo del nascituro. Il DHA è un costituente essenziale delle membrane cellulari; pertanto è necessario per lo sviluppo adeguato del feto. Alcuni studi mostrano anche effetti positivi derivanti da tale supplementazione sullo sviluppo cognitivo e fisico del bambino.

Tuttavia, la sintesi delle evidenze attuali depone per la mancanza di un globale effetto significativo. Gli acidi grassi omega-3 sono generalmente ben tollerati e gli effetti collaterali più comunemente riportati sono rari, di lieve entità e a carico del sistema gastro-intestinale (difficoltà alla digestione o diarrea). Altri studi di più lunga durata sono obbligatori al fine di caratterizzare ulteriormente tali composti.

 

Diabete Gestazionale

Per diabete gestazionale si intende un’intolleranza ai carboidrati di severità variabile, con insorgenza o primo riscontro durante la gravidanza. La prevalenza a livello mondiale oscilla tra 1-14% a seconda delle etnie e dei fattori predisponenti. La patogenesi è multifattoriale, tuttavia recenti studi mostrano un possibile legame tra deficit di vitamina D e diabete gestazionale. La vitamina D interverrebbe nel migliorare la sensibilità insulinica tissutale (aumento del numero di recettori e miglioramento del sistema di trasporto endocellulare del glucosio) e nell’aumentare l’efficienza beta-cellulare nella sintesi di insulina. Infatti il deficit di vitamina D è legato a un alterato metabolismo del glucosio. Altri studi osservazionali hanno mostrato che donne con diabete gestazionale molto spesso hanno deficit vitamina D. Tuttavia gli studi osservazionali sono pochi e ancor meno sono gli studi di intervento (studi per valutare i risultati della supplementazione). Anche gli effetti dell’eventuale trattamento del deficit vitaminico prima della gravidanza sullo sviluppo del diabete sono sconosciuti. Questi studi sono fondamentali per capire la necessità del trattamento e le modalità (come supplementare, che dosaggio somministrare e quando iniziare e terminare). Attualmente vi è indicazione chiara alla supplementazione di vitamina D (10 mcg/die) in condizioni di rischio di carenza nelle popolazioni con dieta povera di alimenti contenenti vitamina D, mancata esposizione al sole per motivi culturali e religiosi, appartenenza a etnie a rischio (donne afrocaraibiche e del sud-est asiatico), obesità, anche se a tutt’oggi non esistono evidenze suffragate per una supplementazione routinaria.

 

Stipsi

In gravidanza il rilassamento della muscolatura intestinale indotto dal progesterone rallenta la motilità intestinale e favorisce il ristagno del contenuto intestinale con produzione di feci di volume ridotto e di aumentata consistenza. Le fibre aumentano la velocità del transito intestinale e il volume della massa fecale grazie al materiale indigerito e all’acqua trattenuta; in questo modo favoriscono la formazione di feci più morbide e concorrono a prevenire la stipsi. Per ovviare alla stipsi in gravidanza vi è indicazione all’assunzione di 30 g di fibra (prevalentemente idrosolubile) al giorno. Le fibre solubili come la pectina determinano aumento della viscosità del chimo con conseguente rallentamento dello svuotamento gastrico, sensazione di ripienezza e maggiore sazietà. Determinano rallentamento della digestione e dell’assorbimento dei nutrienti per cui, da un punto di vista metabolico, concorrono a modulare il picco iperglicemico postprandiale migliorando il compenso glicemico in particolare nel paziente diabetico e riducono l’assorbimento del colesterolo di origine alimentare.

Il consumo di integratori a base di piante o contenenti principi attivi vegetali andrebbe concordato con il medico, considerato che ingredienti a base vegetale possono essere controindicati in gravidanza e allattamento.

 

La menopausa

Dal momento che l’aspettativa di vita per le donne è aumentata (più che per gli uomini) fino a superare l’età di 80 anni e dato che l’età della menopausa non è sostanzialmente cambiata, le donne possono passare circa 30 anni - approssimativamente un terzo della loro vita - in uno stato di post-menopausa. In coincidenza con la fine della funzione riproduttiva la donna inizia ad avvertire numerosi sintomi che con il trascorrere dei mesi diventano sempre più frequenti e fastidiosi. Tali sintomi raggiungono il loro apice nei primi anni della post-menopausa, riconoscendo nella caduta dei livelli di estrogeni la causa principale. Il sintomo più frequente e mal sopportato dalle donne è rappresentato dalla comparsa delle vampate di calore. Queste si manifestano spesso durante la notte contribuendo in tal modo ad aggravare altri disturbi, come ad esempio l’insonnia, che a lungo andare contribuisce all’insorgenza di ansia, irritabilità e in alcuni casi anche depressione. Il deficit estrogenico determina anche una riduzione della vascolarizzazione e delle fibre elastiche a livello vulvare e vaginale, accelera il processo di demineralizzazione delle ossa, con conseguente osteopenia e osteoporosi, in quanto gli estrogeni favoriscono l’assorbimento di calcio a livello intestinale e il processo di mineralizzazione a livello dell’osso. Una terapia a base di estrogeni sarebbe il trattamento più indicato nel ridurre la sintomatologia vasomotoria e vulvovaginale, ma per molte donne esistono controindicazioni alla terapia ormonale sostitutiva, per cui è necessario disporre di terapie alternative. Negli ultimi tempi il mercato farmaceutico si è arricchito di numerosi integratori alimentari a base principalmente di fitoestrogeni (composti di origine vegetale presenti in circa 300 piante). Per definizione i fitoestrogeni sono molecole dotate di azione estrogenica, anche se molto meno potente di quella dell’estradiolo, il principale ormone estrogeno femminile (vedi Figura 3). Le principali classi di fitoestrogeni comprendono gli isoflavoni, i lignani, i cumestani e i lattoni. Tra questi solo gli isoflavoni e i lignani sono dotati di dimostrata attività biologica nell’uomo e, in particolare, gli isoflavoni sono dotati di attività estrogenica più elevata. Sebbene con minore affinità, essi si legano al recettore degli estrogeni, formando un complesso recettoriale che funziona in modo simile. Recenti studi hanno dimostrato la progressiva riduzione delle vampate e delle sudorazioni in seguito all’assunzione di fitoestrogeni. Tuttavia, al momento le evidenze depongono per la mancanza di risultati significativi e concordi. Per esercitare una protezione nei confronti delle vampate di calore dovrebbero essere utilizzate dosi di 45-90 mg di isoflavoni, che corrispondono a circa 2-3 pasti a base di soia al giorno. Gli integratori di isoflavoni consentono una migliore gestione del dosaggio rispetto all’assunzione di cibi ricchi di soia, aspetto che si traduce in una maggiore efficacia. I risultati sono apprezzabili in modo più evidente dopo la seconda settimana di assunzione. Tali prodotti, inoltre, non determinano effetti collaterali (vedi al riguardo il modulo Gestione dei più comuni sintomi durante la transizione alla menopausa,n°1 Gennaio/Febbraio 2013). A partire dalla menopausa, inoltre, cambiano le esigenze nutrizionali, il progredire dell’invecchiamento comporta modificazioni del tratto gastro-enterico che determina un minor assorbimento dei macro e micronutrienti e si manifesta sempre più la “fragilità” tipica dell’anziano. Per questo motivo in talune situazioni occorrono specifiche integrazioni (vedi al riguardo il modulo seguente: Gli integratori alimentari nell’anziano).

 

Bibliografia

 

  • Abrams SE. Calcium and vitamin D requirements for optimal bone mass during adolescence. Current Opinion in Clinical Nutrition and Metabolic Care 2011, 14:605–609
  • ADA Reports. Position of the American Dietetic Association: Nutrition and lifestyle for a healthy pregnancy outcome. J Am Diet Assoc 2002;102:1479-1490.
  • ADA Reports. Position of the American Dietetic Association: Vegetarian diets. J Am Diet Assoc 2009; 109:1266-1282
  • Alzaim M et al. Vitamin D and gestational diabetes mellitus. Nutrition Reviews 2013; 71(3):158–167.
  • Atanassova BD et al. Ascorbic acid important for iron metabolism. Folia Med. 2008 50(4):11-16.
  • Baker AM et al. First-trimester maternal vitamin status and risk for gestational diabetes (GDM) a nested case-control study. Diabetes Metab Res Rev.2012 28(2):164-8.
  • Benton D. Micronutrient status, cognition and behavioral problems in childhood Eur J Nutr 2008 47[Suppl 3]:38–50
  • Christian Braegger et al. Vitamin D in the Healthy European Paediatric Population. JPGN 2013; 56(6):692-701
  • Coad J et al. Iron deficiency in women: assessment, causes and consequences. Current Opinion in Clinical Nutrition and Metabolic Care 2011, 14:625–634
  • De-Regil LM et al. Vitamin D supplementation for women during pregnancy. Cochrane Database Syst Rev. 2012 15;2:CD008873.
  • Krista S.Crider et al. Folic acid food fortification: history, effect, concerns, and future directions. Nutrients 2011, 3:370-384.
  • LARN 1996
  • Larquè A et al. Omega 3 fatty acids, gestation and pregnancy outcomesOmega 3 fatty acids, gestation and pregnancy outcomes. British Journal of Nutrition (2012), 107, S77–S84
  • Ministero della Salute 2008. Lo stato di salute delle donne in Italia.
  • Ministero della Salute. Linee Guida per la Prevenzione dell’Osteoporosi
  • Morse NL. Benefits of Docosahenoic acid, folic acid, vitamina D and iodine on Foetal an infant Brain development and function following maternal supplementation during pregnancy and lactation. Nutrients 2012; 4(7):799-840.
  • Peña-Rosas JP et al. Daily oral iron supplementation during pregnancy. Cochrane Databases Syst Rev 2012, 12:12: CD004736
  • Peña-Rosas JP et al. Intermittent oral iron supplementation during pregnancy. Cochrane Databases Syst Rev 2012, 11:7:CD009997
  • Ramakrishnan U et al. Effect of multiple micronutrient supplementation on pregnancy and infant outcomes: a systematic review. Paediatr Perinat Epidemiol, 2012; 26 Suppl 1: 153-67.
  • Rigon F. et al. Menstrual pattern and menstrual disorders among adolescents: an update of the Italian data. Italian Journal of Pediatrics 2012, 14: 38:38
  • SE Carlson et al. DHA supplementation and pregnancy outcomes. Am J Clin Nutr 2013; 97:808–15
  • Senti J, et al. Maternal vitamin d status as a critical determinat in gestational diabetes. J Obstet Gynecol Neonatal Nurs. 2012; 41(3):328-38.
  • WHO. Guideline: calcium supplementation in pregnant women. Geneva, World Health Organization, 2013
  • WHO. Guideline: daily iron and folic acid supplementation in pregnant women. Geneva, World Health Organization, 2012
  • WHO. Guideline: Intermittent iron and folic acid supplementation in non-anaemic pregnant women. Geneva, World Health Organization, 2012.
  • WHO. Guideline: Intermittent iron and folic acid supplementation in menstruating women. Geneva, World Health Organization, 2011.
  • Wilson RD et al. Pre-conceptional vitamin/folic acid supplementation 2007: the use of folic acid in combination with a multivitamin supplement for the prevention of neural tube defects and other congenital anomalies. J Obstet Gynaecol Can, 2007; 29(12):1003-26.
  • www.istat.it
  • Crawford SL et al. Impact of dose, frequency of administration, and equol production on efficacy of isoflavones for menopausal hot flashes: a pilot randomized trial. Menopause. 2013; 20: DOI: 10.1097