La gestione delle complicanze cardiovascolari in pazienti affetti da diabete

Revisione scientifica: Prof. Alfonso Santelia, Docente di Clinica Medica, Università degli studi di Milano, Milano

Scopo:

Fornire una panoramica sulle complicanze cardiovascolari in pazienti affetti da diabete mellito con enfasi sulla gestione di tali condizioni.

Obiettivi:

Dopo aver completato la seguente monografia di aggiornamento, il Farmacista dovrebbe essere in grado di:

  • esaminare le diverse condizioni cardiovascolari riscontrate in pazienti diabetici;
  • discutere la sindrome metabolica e la sua importanza nel controllo del diabete;
  • discutere i diversi metodi utilizzati per controllare il diabete e le complicanze cardiovascolari correlate;
  • descrivere le terapie farmacologiche disponibili per gestire le complicanze cardiovascolari in pazienti diabetici.

Executive summary

Il diabete mellito è una patologia comune a più di 220 milioni di persone in tutto il mondo e questo numero è destinato a raddoppiare entro il 2030.

Nel diabete di tipo 2, con l’aumento della massa adiposa per eccessivo assorbimento calorico, i recettori dell’insulina presenti sulla superficie degli adipociti e di altre cellule diventano resistenti all’effetto dell’insulina.

In presenza di diabete, la mortalità totale per malattia cardiovascolare è due volte superiore negli uomini e da 4 a 5 volte superiore nelle donne.

I livelli di emoglobina glicata mostrano una relazione con lo sviluppo delle complicanze diabetiche.

Introduzione

Si ipotizza che quanto più un trattamento del diabete di tipo 2 è precoce e aggressivo, tanto più diminuisce il rischio di eventi cardiovascolari futuri rispetto a un trattamento più attendista.

Il diabete mellito (DM) comprende un gruppo di disfunzioni ormonali caratterizzate dall’alterazione del metabolismo dei carboidrati, delle proteine e dei lipidi che causa un’elevata concentrazione del glucosio nel sangue. Il DM è una patologia comune a più di 220 milioni di persone in tutto il mondo e questo numero è destinato a raddoppiare entro il 20301.

L’iperglicemia che ne deriva è dovuta a un deficit della secrezione insulinica da parte del pancreas, a una ridotta sensibilità alla sua azione o a una combinazione di entrambi questi fattori. Il glucosio passa dal sangue all’interno delle cellule per l’azione dell’insulina e qui viene trasformato in energia. L’insulina è prodotta e secreta dalle cellule beta nelle isole di Langerhans pancreatiche. Quando l’insulina non agisce in modo appropriato o non è prodotta in quantità sufficiente, si realizza un accumulo di glucosio nel sangue che dà origine all’iperglicemia o al DM, caratterizzato dall’intolleranza al glucosio stesso. Il fegato, inoltre, continua a produrre glucosio che viene ulteriormente immesso nel circolo sanguigno.

Il DM colpisce virtualmente tutti gli organi, compreso il sistema macrovascolare (il cuore) e il sistema microvascolare (gli occhi, i nervi, i reni e il periodonto nella cavità orale). Le complicanze cardiovascolari connesse al diabete sono molto comuni e rappresentano la causa principale di decesso in pazienti diabetici. I soggetti affetti da DM con un’anamnesi positiva per cardiopatia (ad es. coronaropatia) sono a rischio più elevato di sviluppare eventi cardiovascolari precoci rispetto ai soggetti non affetti da malattie a carico del sistema cardiovascolare2. La presente monografia studia le diverse complicanze cardiovascolari in pazienti affetti da DM e indica la relativa gestione.

 

I diversi tipi di diabete mellito

Il diabete mellito viene classificato di tipo 1 e di tipo 2. Il DM di tipo 1 è caratterizzato da una totale insulino-deficienza, causata dalla distruzione delle cellule beta pancreatiche. Quando la produzione di insulina risulta inadeguata, il glucosio non riesce a essere assorbito nelle cellule e si accumula nel circolo ematico. Le cellule entrano così in sofferenza e, non potendo utilizzare il glucosio come fonte di energia, iniziano a ossidare i grassi disponibili. Gli acidi grassi liberi si accumulano nel sangue e sono convertiti in chetoni che causano, a loro volta, la chetoacidosi, una condizione potenzialmente letale. La chetoacidosi diabetica è associata all’iperglicemia (>250 mg/ dl) e alla presenza di corpi chetonici nelle urine e corrisponde a un quadro clinico di acidosi metabolica caratterizzata da sonnolenza, nausea, sudorazione eccessiva, tachicardia e coma.

Il DM di tipo 1 è principalmente un processo autoimmune, che vede gli auto-anticorpi contro insulina e altri autoantigeni coinvolti, insieme a cellule infiammatorie attivate, nella distruzione delle cellule pancreatiche. Le complicanze macro e microvascolari non sono le complicanze più temibili di questo tipo di diabete3.

Il diabete mellito di tipo 2 è una forma di insulino-resistenza e viene definito come una riduzione dell’efficienza dell’insulina con una minor sensibilità delle cellule a rispondere a questo ormone. Normalmente, le cellule beta pancreatiche regolano i livelli di secrezione dell’insulina in risposta all’assunzione degli alimenti. I carboidrati endogeni, i grassi e le proteine sono sintetizzate o degradate a ritmi controllati. Se l’apporto calorico è superiore al dispendio di calorie, i substrati non degradati vengono immagazzinati nel tessuto adiposo, la riserva energetica del corpo, comportando un aumento di peso. Con l’aumento della massa adiposa, il numero dei recettori dell’insulina presenti sulla superficie degli adipociti e di altre cellule, comprese le cellule epatiche e muscolari, diminuisce in modo che i vari tessuti diventano resistenti all’effetto dell’insulina. È indispensabile che l’insulina si leghi a questi recettori e si attivi nel trasportare il glucosio all’interno delle cellule e nello stimolare il metabolismo del glucosio2.Nel DM di tipo 2 i recettori sui tessuti target sono insensibili o resistenti all’insulina. L’insulina potrebbe legarsi ai recettori ma sussiste un difetto sia nell’azione dell’ormone sia nella sua secrezione e ciò lo rende incapace di trasportare il glucosio all’interno dei tessuti.

Quando si sviluppa la resistenza all’insulina, le cellule beta tendono a compensare secernendo più insulina e ciò porta il quadro dell’iperinsulinemia. Nel tempo, le cellule beta del pancreas perdono la loro capacità di produrre insulina in quantità sufficienti a superare l’insulino-resistenza. Questa condizione è nota come alterata tolleranza al glucosio o prediabete ed è caratterizzata dall’iperglicemia postprandiale, ossia da alti livelli di glicemia soprattutto dopo i pasti. Sono diversi i fattori che possono influenzare lo squilibrio insulinico fra cui l’obesità, il fumo di sigaretta e una ridotta attività fisica. Infatti, circa l’80% dei pazienti affetti da DM di tipo 2 sono obesi o sovrappeso4.L’insulino-resistenza e l’insulino-deficienza protratte nel tempo portano inesorabilmente a sviluppare il DM di tipo 2.

 

Epidemiologia e statistiche

Le malattie cardiovascolari sono una delle cause principali di mortalità nei pazienti diabetici e la prevalenza di diabete sta aumentando sia nei paesi industrializzati sia in quelli in via di sviluppo5. La prevalenza di malattie cardiovascolari passa dal 2-4% della popolazione non affetta da diabete al 55% fra gli adulti diabetici5,6. In presenza di diabete, la mortalità totale per malattie cardiovascolari è due volte superiore negli uomini e da 4 a 5 volte superiore nelle donne5. Il diabete aumenta anche il rischio di morbilità in pazienti affetti da coronaropatia7.

 

Fattori di rischio ed eziologia delle complicanze cardiache

L’esordio delle patologie cardiovascolari in pazienti diabetici è determinato dall’azione contemporanea di diversi importanti fattori (vedi Tabella 1). Questi fattori causano un’esacerbazione dei principali fattori di rischio che caratterizzano sia il DM sia le malattie cardiovascolari e che comprendono la dislipidemia, l’ipertensione arteriosa e la tolleranza glucidica. Di conseguenza, al fine di prevenire lo sviluppo del DM e delle patologie cardiovascolari, è importante tenere sotto controllo questi fattori di rischio predisponenti.

Il diabete aumenta in modo significativo il rischio di complicanze microvascolari (parti terminali dei vasi sanguigni, arteriole, capillari e venule) e macrovascolari (arterie). Le complicanze macrovascolari/cardiovascolari portano spesso a sviluppare coronaropatia conclamata aumentando il rischio di infarto del miocardio, cardiopatia aterosclerotica, ictus e arteriopatia periferica.

Altre complicanze cardiovascolari comprendono l’insufficienza cardiaca, l’angina e l’ipertensione arteriosa. L’obesità e l’insulino-resistenza sono forti predittori del rischio di coronaropatia. Inoltre, la resistenza all’insulina in pazienti obesi aumenta il rischio di sviluppare sia coronaropatia sia DM di tipo 29. Non sussistono prove concrete e definitive per stabilire la causa di queste complicanze vascolari. Tuttavia, secondo una nuova teoria, l’iperglicemia causa un’alterazione della proteina nucleare PARP (Poli ADP-Ribosio Polimerasi); tale enzima può causare infiammazione sistemica e danneggiamento delle cellule endoteliali, comprese le cellule endoteliali aortiche, che sono molto sensibili all’iperglicemia10,11.

Dislipidemia aterogenica. Il diabete mellito di tipo 1 e di tipo 2 sono fattori di rischio indipendenti della coronaropatia12. Sono stati identificati quattro fattori correlati allo sviluppo dell’aterosclerosi in presenza di dislipidemia: elevato livello di colesterolo LDL (Low-Density Lipoprotein, lipoproteine a bassa densità) e di quello VLDL (Very-Low-Density Lipoprotein, lipoproteine a bassissima densità), livelli ridotti di colesterolo HDL (High-Density Lipoprotein, lipoproteine ad alta densità) e un alto livello di trigliceridi. I pazienti con dislipidemia diabetica spesso presentano insulino-resistenza e sono inclini a sviluppare coronaropatia (aterosclerosi)12. Dei tre fattori lipidici, l’aumento del colesterolo LDL è considerato il fattore di rischio principale per l’aterosclerosi. Sembra, tuttavia, che la maggioranza di pazienti affetti da diabete non presenti una concentrazione particolarmente elevata di colesterolo LDL, ma i livelli riscontrati, in caso di DM, sono sufficienti a causare lo sviluppo dell’aterosclerosi12,13.

Non sono state registrate differenze sostanziali fra le concentrazioni sieriche di colesterolo LDL nei soggetti non diabetici rispetto ai pazienti affetti da tale patologia; quest’ultimi presentano però un aumento delle particelle LDL piccole e dense13.

Insufficienza cardiaca. Più di 30 anni fa, il Framingham Study ha provato che i pazienti con diabete sono maggiormente inclini a sviluppare insufficienza cardiaca con funzione sistolica conservata per effetto di diversi fattori o comorbilità, comprese l’aterosclerosi, l’ipertensione cronica, l’obesità, l’iperglicemia prolungata, le malattie microvascolari e la glicosilazione delle proteine del miocardio14-17. Alcuni soggetti affetti da diabete e insufficienza cardiaca presentano anche fattori di rischio cardiaco come l’ipercolesterolemia, l’obesità e l’ipertensione18. Più il diabete è di lunga durata, situazione questa molto più difficile da trattare e controllare rispetto al diabete di recente esordio, più aumenta la probabilità per i pazienti di sviluppare insufficienza cardiaca19. Inoltre, la mortalità aumenta nei pazienti diabetici che sviluppano insufficienza cardiaca 20.

Cardiomiopatia diabetica. La cardiomiopatia diabetica viene definita come disfunzione ventricolare che insorge in pazienti diabetici e per la quale è impossibile definire la causa. Non è correlata, ad esempio, né alla coronaropatia né all’ipertensione e spesso non viene diagnosticata20. Tuttavia, i pazienti diabetici con cardiopatia ischemica sembrano soggetti a un maggiore rischio di sviluppare insufficienza cardiaca o cardiomiopatia diabetica12. Le possibili cause della cardiomiopatia comprendono la microangiopatia, la fibrosi miocardica e un metabolismo anomalo del miocardio. Inoltre, la cardiomiopatia è più strettamente connessa con le complicanze microvascolari rispetto a quelle macrovascolari15. La presenza di cardiomiopatia, associata o meno ad altri fattori, può aumentare il rischio di sviluppare insufficienza cardiaca21.

Ictus. Il decesso per ictus in pazienti diabetici è di circa 3 volte superiore rispetto ai soggetti non affetti da tale patologia22. L’ictus colpisce circa il 13% dei pazienti diabetici con età superiore ai 65 anni23.

Ipertensione arteriosa. Il diabete è una patologia spesso associata all’ipertensione che, in aggiunta all’iperglicemia, alla dislipidemia e al fumo di sigaretta, contribuisce allo sviluppo e alla progressione delle complicanze macrovascolari. L’ipertensione triplica il rischio di sviluppare coronaropatie e sembra che sia responsabile del 75% di tutte le complicanze cardiovascolari nei pazienti diabetici. Un aumento della pressione arteriosa sistolica maggiore rispetto a quello della diastolica è il predittore principale delle patologie cardiovascolari e delle complicanze renali24.Inoltre, l’ipertensione aumenta in modo significativo la progressione della nefropatia, della retinopatia e della neuropatia diabetiche.

Sindrome metabolica associata al diabete mellito. Le componenti della sindrome metabolica sono una combinazione di insulino-resistenza (intolleranza al glucosio con conseguente iperinsulinemia), obesità centrale (aumento della circonferenza vita), profilo lipidico alterato (aumento dei trigliceridi e del colesterolo LDL e riduzione del colesterolo HDL), ipertensione e trombofilia25.La maggior parte dei soggetti con sindrome metabolica presentano una condizione di pre-ipertensione (pressione sistolica 120-139 mmHg o diastolica 80-89 mmHg) o di ipertensione al primo stadio (pressione sistolica 140-159 mmHg o diastolica 90-99 mmHg). È molto probabile che l’insulinemia, l’obesità e l’ipertrigliceridemia possano determinare l’insorgenza e lo sviluppo del diabete26. La trombofilia è caratterizzata da un’anomalia della coagulazione del sangue (ipercoagulabilità) o della funzione piastrinica che può predisporre il paziente a coagulazione intravascolare o alla trombosi arteriosa27,28. Un soggetto con sindrome metabolica presenta un rischio maggiore di sviluppare il DM di tipo 213,26. Lo sviluppo dell’aterosclerosi ha come causa sottostante l’obesità addominale per la stretta relazione che intercorre fra l’obesità, l’ipercolesterolemia, l’ipertensione e l’iperglicemia29. Essenzialmente, l’obesità e l’insulino-resistenza sono associate a un aumento dell’attivazione piastrinica e della coagulazione che possono influenzare lo sviluppo di eventi trombotici in pazienti diabetici30.

L’obesità porta all’aumento del grasso accumulato all’interno degli adipociti (adipociti pieni) che causano l’intervento di cellule infiammatorie e danni ai vasi sanguigni oltre a contribuire all’insorgenza di ipertensione, dislipidemia e resistenza all’insulina – una delle caratteristiche cliniche principali della sindrome12,31,32. Gli elevati livelli di insulina associati all’insulino-resistenza possono determinare alterazioni metaboliche caratteristiche nei pazienti con DM di tipo 2 con ulteriore aumento del rischio di complicanze cardiovascolari. Il metabolismo delle lipoproteine è regolato da fattori genetici e dall’alimentazione. La sindrome metabolica è una condizione prediabetica e rappresenta un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari che aumenta con l’età33.

Microalbuminuria. La microalbuminuria è una condizione che si palesa quando l’albumina, una proteina plasmatica, passa nelle urine. I pazienti diabetici sono inclini a sviluppare la microalbuminuria che indica la presenza di malattia renale e rappresenta, in generale, un fattore di rischio per la malattia cardiovascolare13.

Insulino-resistenza. L’insulino-resistenza (alterazioni nel trasporto di glucosio mediato dall’insulina) e un difetto di secrezione insulinica sono le cause primarie dei problemi metabolici osservati in pazienti con DM di tipo 2. L’insulino-resistenza è associata all’obesità, a una ridotta attività fisica e a una suscettibilità genetica12,34. L’insulino-resistenza si sviluppa di solito prima dell’esordio del diabete e spesso si presenta nella fase di pre-diabete in associazione ad altri fattori di rischio cardiovascolare, come ad esempio la dislipidemia, l’ipertensione e i fattori protrombotici12,35,36.

 

Criteri diagnostici e valutazione del controllo glicemico

L’OMS (Organizzazione Mondiale della Santità) ha stabilito i seguenti criteri diagnostici per la diagnosi del diabete: emoglobina glicata (HbA1c) ≥ 6,5% o glicemia a digiuno ≥ 126 mg/dl o glicemia postprandiale (2 ore dopo il pasto) ≥ 200 mg/dl durante un test orale di tolleranza al glucosio o una glicemia random (eseguita in qualsiasi momento della giornata) ≥ 200 mg/dl. In presenza dei sintomi classici della patologia, l’iperglicemia viene diagnosticata quando i valori di glicemia random sono ≥ 200 mg/dl37,38. L’alterata tolleranza al glucosio rilevata con carico orale di glucosio viene considerata un fattore di rischio per la sindrome metabolica39. Secondo l’OMS, la diagnosi di pre-diabete o di diabete viene confermata o con due diversi valori di glucosio nel sangue a digiuno o con il controllo dell’HbA1c. Il test per la glicemia può essere usato per effettuare sia uno screening su individui sani e asintomatici sia per diagnosticare il diabete in soggetti con i sintomi dell’iperglicemia, come ad esempio poliuria, polidipsia, affaticamento, offuscamento della vista e una guarigione lenta dalle infezioni.

Il test dell’HbA1c viene usato per diagnosticare e monitorare il controllo glicemico in un periodo di circa 2-3 mesi in pazienti diabetici. Secondo l’ADA, per un paziente con età compresa fra 40 e 50 anni l’HbA1c target è < 6%; tale percentuale aumenta per un soggetto più anziano o con iperglicemia38. I livelli di HbA1c mostrano una relazione con lo sviluppo delle complicanze diabetiche40.

 

Gestione delle complicanze cardiovascolari del diabete

Nel 2001 i costi sanitari a livello nazionale per pazienti ricoverati per complicanze da diabete ammontavano a US$ 3,8 miliardi. Il rischio di ospedalizzazione per malattia cardiovascolare è da due a quattro volte maggiore per le donne con diabete rispetto a quelle non affette da tale patologia41.

È stato ipotizzato che quanto più un trattamento del diabete di tipo 2 in fase di esordio e associato a dislipidemia e ipertensione moderate è precoce e maggiormente aggressivo, tanto più diminuisce il rischio di eventi cardiovascolari futuri rispetto a un trattamento del diabete di lunga durata. Questo nuovo approccio farmacologico particolarmente aggressivo ha come obiettivi principalmente lipidi, pressione arteriosa, glicemia e piastrine (vedi Tabella 2). Oltre alla farmacoterapia è importante modificare lo stile di vita, con una dieta per perdere peso, maggiore esercizio fisico e l’abbandono del vizio del fumo42.

Esistono diversi approcci al trattamento medico in grado di prevenire le complicanze cardiovascolari, la cui gestione, in pazienti diabetici, comprende sia una prevenzione primaria (intesa a evitare lo sviluppo di malattie cardiovascolari) sia secondaria (strategie usate per diagnosticare e trattare una condizione cardiovascolare esistente). Il controllo dei fattori di rischio per le patologie cardiovascolari è di fondamentale importanza per ridurre il rischio di sviluppare la malattia cardiovascolare in soggetti con DM. In modo particolare si mira a controllare la pressione arteriosa e il livello del colesterolo44. La prevenzione primaria prevede innanzitutto l’abbandono dell’abitudine al fumo, che è stato appurato essere un fattore di rischio per le malattie vascolari. Anche le modifiche dello stile di vita giocano un ruolo di fondamentale importanza per la prevenzione delle patologie cardiovascolari e del DM, i cui fattori predisponenti devono necessariamente essere sempre tenuti sotto controllo. L’esercizio fisico rappresenta un intervento efficace in pazienti sovrappeso o obesi, in quanto ridurre il peso corporeo può migliorare i fattori di rischio cardiovascolare in questa popolazione. Il miglioramento dei fattori di rischio cardiovascolare tramite esercizio fisico regolare e modifiche delle abitudini alimentari consiste, tra gli altri, in una diminuzione dei valori relativi alla pressione arteriosa, al colesterolo, ai trigliceridi e alla glicemia a digiuno45. Una gestione aggressiva dei fattori di rischio cardiovascolare e un’appropriata prevenzione delle patologie cardiovascolari, oltre al controllo glicemico nei pazienti diabetici, sono importanti ai fini del trattamento generale.

Gestire l’iperglicemia. I dati raccolti con una meta-analisi hanno dimostrato che all’aumento dell’1% dell’HbA1c corrisponde un incremento pari al 18% del rischio di malattia cardiovascolare46.Poiché il controllo glicemico è un indice indiretto delle complicanze microvascolari correlate al diabete, è da anni che si sottolinea l’importanza di procedere con tale controllo nei pazienti diabetici. È stato provato che un adeguato controllo glicemico e una migliore gestione dell’ipertensione e dell’aterosclerosi con farmaci ipocolesterolemizzanti possono prevenire o persino bloccare la progressione dell’insufficienza cardiaca15.

Tuttavia, secondo l’American Heart Association, sebbene l’iperglicemia contribuisca ad aumentare il rischio cardiovascolare, al fine di annullare o ridurre il processo aterosclerotico sono necessari altri trattamenti oltre al controllo della glicemia7,47,48.

Il controllo glicemico assume un’importanza particolare nella prevenzione delle complicanze microvascolari come la retinopatia, la nefropatia e la neuropatia49. Bassi livelli di glicemia attivano il sistema nervoso simpatico causando un aumento del ritmo e dell’out-put cardiaco nonché della pressione arteriosa50.Nel 2008 due importanti studi clinici hanno provato che un trattamento ipoglicemizzante intensivo era efficace per prevenire la progressione delle complicanze microvascolari come la nefropatia, ma non portava nessun beneficio evidente a livello macrovascolare (infarto del miocardio e ictus) 42,51,52.

Tuttavia, secondo l’ADA, un controllo intensivo della glicemia iniziato nella fase d’esordio della malattia permette di ridurre anche le complicanze macrovascolari38. Occorre sottolineare che nonostante la letteratura attuale abbia mostrato che ridurre drasticamente i livelli della glicemia (HbA1c < 6,0%) non porti tutti quei vantaggi che si pensava in passato, il mancato controllo dell’iperglicemia può aumentare in modo considerevole la possibilità di eventi metabolici acuti, complicanze croniche e decesso53. L’American Association of Clinical Endocrinologists (AACE) e l’ADA consigliano rispettivamente un target glicemico di HbA1c < 6,5 e < 7,0%39,54. La Tabella 3 riassume i test glicemici con le rispettive interpretazioni.

Gestire l’insulino-resistenza. Non esistono farmaci in grado di trattare direttamente l’insulino-resistenza presente nei diabetici, che può essere invertita solo con una dieta adeguata (perdita di peso) ed esercizio fisico.

Gestire il diabete e la dislipidemia. Stabilire quando iniziare la farmacoterapia ipolipidemizzante è tuttora questione molto controversa. Nel 2002, l’Heart Protection Study (HPS) ha dimostrato che l’uso di farmaci ipocolesterolemizzanti portava benefici ai pazienti con DM anche se non presentavano una precedente anamnesi positiva per coronaropatia o ipercolesterolemia. Mantenere i valori di colesterolo a un livello adeguato aiuta a prevenire le complicanze cardiovascolari a lungo termine nei pazienti affetti da diabete55. Inoltre il CARDS (Collaborative Atorvastatin Diabetes Study) ha riportato che 10 mg di atorvastatina somministrati a pazienti con DM di tipo 2 e livelli di lipidi nella norma riducono del 37% il rischio relativo di eventi cardiovascolari56. È stato, tuttavia, suggerito che l’uso delle statine non dovrebbe essere la terapia di prima linea per la prevenzione della coronaropatia in pazienti diabetici12. Nelle linee guida redatte dall’ADA nel 2001 si consigliava la somministrazione di statine ai soggetti con malattia cardiovascolare conclamata o con età superiore ai 40 anni e con ulteriori fattori di rischio38. Nel 2011 le raccomandazioni ADA per l’iperlipidemia stabilivano un target di colesterolo LDL < 100 mg/dl (a discrezione < 70 mg/dl)38.

I Cholesterol Treatment Trialists’ Collaborators hanno dimostrato che a ogni riduzione di 1 mmol/l del colesterolo LDL corrispondeva una riduzione pari al 21% degli eventi cardiovascolari maggiori in pazienti con DM di tipo 210,38,57.

I tre studi ACCORD (Action to Control Cardiovascular Risk in Diabetes) hanno rilevato una mortalità significativamente più elevata e nessuna riduzione dell’incidenza di eventi cardiovascolari in pazienti con DM di tipo 2 e con un controllo glicemico intensivo (obiettivo HbA1c < 6%) rispetto al controllo convenzionale. Nonostante il controllo intensivo, i valori di HbA1c osservati erano molto elevati. Inoltre, non erano stati definiti target precisi per  il colesterolo HDL e i trigliceridi; tuttavia, i risultati mostravano un aumento del colesterolo HDL e una diminuzione dei valori dei trigliceridi con la simvastatina, somministrata a tutti i soggetti, rispetto al fenofibrato o al placebo58. Nel 2009 lo studio è stato sospeso per problemi di sicurezza relativi alla terapia ipoglicemizzante intensiva. L’obiettivo prefissato dallo studio di raggiungere valori di HbA1c pari al 6% risulta difficile da raggiungere per la maggior parte dei pazienti che soffrono di diabete da molti anni e spesso prevede l’assunzione di farmaci multipli con rischio di ipoglicemia.

La maggior parte degli studi ha dimostrato che le statine migliorano la sensibilità insulinica58,59. Aggiungere l’esercizio fisico al regime farmacologico con le statine in pazienti diabetici obesi porta notevoli benefici, in quanto questi soggetti sono inclini a sviluppare l’insulino-resistenza60. Recentemente, è stato reso noto che le statine ad alto dosaggio (80 mg) possono aumentare il rischio di un nuovo esordio di diabete e si raccomanda, quindi, che, in caso di terapia con tali farmaci, i medici controllino regolarmente i valori di HbA1c61. Sono comunque necessari ulteriori studi per ottenere una conferma a tale osservazione.

Gestire il diabete e l’insufficienza cardiaca. Non esiste un’indicazione precisa relativamente ai farmaci da usare per trattare l’insufficienza cardiaca in un paziente diabetico. Oltre agli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (Angiotensin-Converting Enzyme inhibitor, ACE inibitori) e agli antagonisti del recettore dell’angiotensina II (Angiotensin II Receptor Blocker, ARB, noti anche come sartani) la scelta cade sui beta bloccanti poiché presentano dati di outcome in relazione alla morbilità e alla mortalità correlate all’insufficienza cardiaca38.

Gestione del diabete e dell’ipertensione. Lo scopo del trattamento dell’ipertensione è quello di riportare la pressione arteriosa a valori accettabili prima che si verifichino danni al sistema cardiovascolare o ad altri sistemi organici. Secondo le raccomandazioni ADA, il valore pressorio appropriato per un adulto diabetico è < 130/80 mmHg38. L’ipertensione può essere di difficile controllo, soprattutto se associata all’obesità, all’intolleranza glucidica e all’iperinsulinemia. Ciascuno di questi fattori è associato anche all’insulino-resistenza. Oltre a enfatizzare l’importanza di perdere peso per ridurre l’insulino-resistenza, è necessario adottare una terapia farmacologica appropriata. Spesso, un uso indiscriminato di diuretici in questi pazienti provoca un sovraccarico di volume, causa principale di ipertensione resistente62. Il settimo report recentemente emanato dalla Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Pressure consiglia di somministrare farmaci antipertensivi a pazienti diabetici con sindrome metabolica ed ipertensione38,63. Gli ACE inibitori e gli ARB sono considerati terapia di prima linea nel ridurre gli eventi cardiovascolari in pazienti diabetici e ipertesi5. È stato osservato che la renoprotezione farmacologica con gli ARB in pazienti con nefropatia causata dal DM di tipo 2 porta degli evidenti benefici. Gli ACE inibitori hanno un effetto maggiormente favorevole sugli outcome cardiovascolari. La maggior parte dei pazienti affetti da diabete e ipertensione necessita una terapia combinata con vari farmaci antipertensivi, compresi i diuretici, gli ACE inibitori, gli ARB, i beta bloccanti e i calcio-antagonisti. Nel caso in cui la pressione arteriosa in un paziente diabetico superasse i 140/90 mmHg, si renderebbe necessaria la somministrazione di due farmaci: gli ACE inibitori e gli ARB sono farmaci fondamentali per trattare tale condizione. Nell’eventualità che uno di tali farmaci non fosse tollerato, la scelta dovrebbe ricadere necessariamente sull’altro. Ciascun farmaco può essere somministrato in terapia combinata con un diuretico tiazidico a basso dosaggio per raggiungere i valori pressori target38,63,64.

L’ADA raccomanda la somministrazione degli ACE inibitori in pazienti diabetici con età superiore ai 55 anni e ad alto rischio di patologia cardiovascolare e di un beta1-bloccante cardioselettivo in pazienti con coronaropatia preesistente38. Tuttavia, è possibile che i beta-bloccanti mostrino un’efficacia inferiore agli ARB sia nel trattare un paziente diabetico affetto da cardiopatia ischemica sia nel prevenire un ictus65.Un beta bloccante potrebbe, inoltre, mascherare i sintomi ipoglicemici, ad eccezione della sudorazione.

La cura dei pazienti con ipertensione e insufficienza cardiaca inizia con la somministrazione di ACE inibitori (tramite riduzione della sintesi di angiotensina II ottenuta con l’inibizione dell’enzima di conversione dell’angiotensina e della chininasi II, che porta all’accumulo di bradichinina)5. Gli ACE inibitori possono essere usati in pazienti con insufficienza renale avanzata, previo stretto monitoraggio18.

Gestire il diabete e l’ipercoagulazione. La terapia antiaggregante è diventata parte fondamentale del trattamento dei pazienti diabetici, per prevenire l’infarto del miocardio e l’ictus. In presenza del diabete mellito di tipo 2, tale terapia ha ridotto in modo significativo il rischio cardiovascolare. Le linee guide redatte dall’ADA nel 2011 raccomandano la terapia con acido acetilsalicilico a basso dosaggio (75-162
mg/giorno), come trattamento di prevenzione primaria in pazienti con DM di tipo 1 o 2 a maggiore rischio cardiovascolare (rischio a 10 anni >10%)38. Questo comprende uomini con età superiore ai 50 anni e donne oltre i 60 anni che presentano almeno uno dei fattori di rischio principali (ad es. anamnesi famigliare positiva per patologia cardiovascolare, ipertensione, abitudine al fumo, dislipidemia o albuminuria). Tuttavia, poiché l’acido acetilsalicilico aumenta il rischio di emorragia, l’ADA non ne consiglia l’uso per la prevenzione di patologie cardiovascolari in pazienti diabetici adulti con un basso rischio di sviluppare cardiopatia. Ciò interessa uomini con età inferiore ai 50 anni e donne con età inferiore ai 60 che non presentano ulteriori fattori di rischio. L’ADA consiglia ai medici di scegliere il trattamento adeguato sulla base di un appropriato giudizio clinico38.

L’acido acetilsalicilico (75-162 mg/giorno) è considerato un trattamento di prevenzione secondaria in pazienti affetti da diabete e con anamnesi positiva per patologia cardiovascolare. Se il paziente è allergico all’acido acetilsalicilico, la ticlopidina (250 mg due volte al giorno) o il clopidrogrel (75 mg/giorno) rappresentano le alternative valide38,66. La terapia combinata di acido acetilsalicilico e clopidogrel può essere somministrata al massimo per 1 anno dopo una sindrome coronarica acuta.

Altre terapie per la gestione delle complicanze. Nel caso in cui la terapia farmacologica adottata per prevenire le complicanze cardiovascolari in pazienti diabetici fallisca, si può intervenire chirurgicamente. I soggetti con coronaropatia possono essere sottoposti a un bypass delle arterie coronariche mentre sui pazienti a rischio di ictus viene eseguita una procedura chirurgica per inserire un innesto nell’arteria carotidea e garantire, così, un flusso sanguigno cerebrale adeguato. In caso di arteriopatia periferica degli arti inferiori, si procede con l’inserimento di un bypass nelle arterie interessate.

 

Il ruolo dei farmaci antidiabetici orali nella prevenzione delle malattie cardiovascolari

La metformina andrebbe somministrata con cautela ai pazienti con insufficienza cardiaca in quanto è stato ampiamente dimostrato che aumenta la ritenzione idrica con conseguente insorgenza in tempi rapidi di scompenso subito dopo l’inizio della terapia67. Questo farmaco può essere utilizzato con la massima attenzione in pazienti con insufficienza cardiaca stabile ma è controindicato nel caso di insufficienza cardiaca sistolica avanzata68. Per contro, un recente studio effettuato nel 2010 presso l’Università della California a Los Angeles, ha dimostrato che la somministrazione di metformina a pazienti diabetici con insufficienza cardiaca avanzata è assolutamente sicura e che è associata a una migliore sopravvivenza dei soggetti con scompenso cardiaco69.

 

Conclusioni

L’iperglicemia non rappresenta di per sé l’unico fattore in grado di aumentare il rischio di sviluppare problemi a carico del sistema cardiovascolare e delle coronarie in pazienti diabetici48. L’obesità e l’insulino-resistenza, spesso fra loro correlate, rappresentano forti indicatori di rischio per la coronaropatia e il diabete12. La triade composta da diabete, dislipidemia e ipertensione aumenta il rischio di sviluppare coronaropatie. Si raccomanda di tenere sotto costante controllo i valori glicemici (target: HbA1c < 7), lipidici e pressori5,10,15. Controllare il livello glucidico è importante anche per prevenire le complicanze macrovascolari e microvascolari quando si cerca di raggiungere valori target di glicemia ed emoglobina glicata; è possibile inoltre osservare un effetto benefico a livello cardiovascolare quando viene trattato un diabete mellito di tipo 2 di recente esordio in assenza di malattia cardiovascolare.

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