2012-03

Comprendere l’ipertensione: guida pratica per aumentare l’aderenza alla terapia antipertensiva

Revisione scientifica: Prof. Franco Pazzucconi, Centro Universitario Dislipidemie dell'Ospedale Niguarda di Milano

Autori: Darrell Hulisz, RPh, PharmD, Associate Professor of Family Medicine, Case Western Reserve University, School of Medicine, Clinical Pharmacist, Department of Family Medicine, University Hospitals, Case Medical Center Cleveland, Ohio; Leslie Bittner, PharmD Candidate, Pharmacy Intern Ohio Northern University, College of Pharmacy, Ada, Ohio

Scopo dell’attività

L’ipertensione resta una patologia non adeguatamente trattata e frequentemente non diagnosticata nella maggior parte dei casi. È spesso asintomatica e può causare un aumento drastico della morbilità e mortalità cardiovascolare. Sono attualmente disponibili diverse opzioni terapeutiche per fermare la progressione della malattia e migliorare la qualità della vita a lungo termine dei pazienti che ne sono affetti.

Executive summary

L’ipertensione è una patologia cronica che colpisce circa 15 milioni di italiani. Nella maggioranza dei casi l’ipertensione è considerata di tipo essenziale, cioè con eziologia ignota o idiopatica. Le implicazioni a lungo termine dell’ipertensione non trattata o non diagnosticata comprendono attacco cardiaco, ictus, cardiopatia coronarica, insufficienza cardiaca e renale; l’ipertensione è il fattore di rischio più comune per la morbilità e mortalità cardiovascolare e si stima che sia la causa principale circa 7,5 milioni di morti all’anno nel mondo di cui circa 240.000 in Italia. Le modifiche dello stile di vita rappresentano il trattamento di prima linea per l’ipertensione. La maggior parte dei pazienti ipertesi deve essere trattata farmacologicamente e nel 75% dei casi è necessario adottare una terapia combinata di 2 o più farmaci per raggiungere l’obiettivo pressorio. Sono utilizzate diverse classi di farmaci per controllare la pressione arteriosa, quali diuretici tiazidici, diuretici dell’ansa, antagonisti dell’aldosterone, ACE-inibitori, antagonisti dei recettori dell’angiotensina II (sartani), betabloccanti, calcioantagonisti, alfabloccanti, alfa-2 agonisti e vasodilatatori diretti.

Obiettivi formativi:

Dopo aver completato la seguente monografia di aggiornamento, il Farmacista dovrebbe essere in grado di:

  • discutere l’epidemiologia dell’ipertensione e le complicazioni ad essa associate;
  • identificare le principali condizioni che possono coesistere con l’ipertensione e che giustificano la scelta di determinati farmaci antipertensivi;
  • elencare i farmaci la cui assunzione può essere associata all’ipertensione secondaria;
  • descrivere come i farmacisti possono da un punto di vista pratico migliorare l’aderenza terapeutica dei pazienti ipertesi.

Introduzione

L’ipertensione, detta anche pressione arteriosa alta, è una patologia cronica che colpisce più di 15 milioni di italiani1. Nella fase iniziale è generalmente asintomatica e spesso resta non diagnosticata in pazienti che non si sottopongono regolarmente ad alcuna visita medica e/o a screening. Nonostante negli ultimi anni siano stati fatti notevoli sforzi per aumentare la consapevolezza delle implicazioni a lungo termine dell’ipertensione, l’incidenza di questa patologia continua a crescere1. Controllare l’ipertensione è di fondamentale importanza al fine di diminuire la prevalenza della morbilità e mortalità cardiovascolare associate a questa patologia. L’ipertensione non diagnosticata, non trattata o trattata in modo non adeguato aumenta il rischio di infarto acuto del miocardio, di malattia cerebrovascolare, di insufficienza renale cronica e di insufficienza cardiaca1-3. È importante che il farmacista comprenda e conosca pienamente l’eziologia, la fisiopatologia nonché le diverse opzioni terapeutiche dell’ipertensione in quanto la sua posizione privilegiata sul territorio gli permette di poter migliorare notevolmente la gestione di questa malattia. Il farmacista è tenuto a informare i propri pazienti circa i rischi correlati al mancato trattamento dell’ipertensione e i benefici derivanti dall’aderenza terapeutica nonostante l’assenza di sintomi.

 

Definizione

L’intensità della forza esercitata dal sangue sulla parete arteriosa viene definita pressione arteriosa. Tale pressione si distingue in sistolica e diastolica. La pressione arteriosa sistolica, conosciuta come pressione massima, viene registrata durante la contrazione ventricolare, mentre durante la fase di rilassamento, quando le cavità ventricolari si riempiono di sangue, si ottiene la pressione diastolica o pressione minima. La pressione arteriosa, misurata in millimetri di mercurio (mmHg), viene di solito espressa come pressione sistolica su pressione diastolica. Può essere definita anche come il prodotto della gittata cardiaca e della resistenza periferica totale e, di conseguenza, qualsiasi modifica di uno di questi valori influenzerà anche la pressione arteriosa. La pressione arteriosa non è un valore statico e può essere influenzato sia dall’ora del giorno in cui viene effettuata la misurazione sia dal livello di attività fisica2. Ulteriori fattori che possono influenzare la pressione arteriosa sono la ritenzione idrica, le condizioni psicologiche, i farmaci utilizzati e persino la postura del paziente.

Il Settimo Report del Joint National Committee (JNC 7) sulla Prevenzione, Diagnosi, Valutazione e Trattamento dell’Ipertensione Arteriosa fornisce le linee guida più comunemente applicate per la classificazione e la gestione dell’ipertensione. Il JNC 8 nella sua versione finale sarà disponibile prossimamente. Secondo il JNC 7, una pressione arteriosa sistolica (PAS) inferiore a 120 mmHg e una pressione arteriosa diastolica (PAD) inferiore a 80 mmHg rappresentano un valore pressorio normale.

L’ipertensione è classificata secondo i seguenti stadi:

•    pre-ipertensione: PAS da 120 a 139 mmHg o PAD da 80 a 89 mmHg

•    ipertensione stadio 1: PAS da 140 a 159 mmHg o PAD da 90 a 99 mmHg

•    ipertensione stadio 2: PAS ≥ 160 mmHg o PAD ≥ 100 mmHg3

 

In generale, si considera ottimale un valore pressorio <140/90 mmHg; tuttavia, per pazienti affetti da diabete o nefropatia cronica tale valore dovrebbe essere <130/80 mmHg3.

 

Diagnosi

La pressione arteriosa deve essere misurata ogni volta che un paziente di età pari o superiore ai 18 anni si sottopone a visita medica. È consigliabile che il paziente non faccia uso di nicotina o caffeina nei 30 minuti che precedono l’esecuzione del test. I manicotti del misuratore della pressione devono essere della misura appropriata e la camera d’aria gonfiabile interna deve coprire almeno l’80% della circonferenza del braccio. Prima di effettuare la lettura della pressione, il paziente dovrà restare seduto comodamente per almeno 5 minuti cercando di rilassarsi; è importante che gli venga spiegato di non parlare durante l’intera procedura. Per effettuare una lettura adeguata della pressione arteriosa, il paziente deve scoprire il braccio sul quale verrà effettuato il test e sedersi in modo da poter appoggiare il braccio a riposo a livello del cuore, evitare di accavallare le gambe, mantenere i piedi ben appoggiati a terra e la schiena appoggiata allo schienale. Fermo restando che la pressione arteriosa andrebbe misurata da entrambi i lati, almeno inizialmente per escludere diverse situazioni patologiche, JNC 7 indica il braccio destro per la misurazione routinaria.

La diagnosi di ipertensione non può essere ottenuta attraverso una singola misurazione della pressione arteriosa. È consigliabile effettuare almeno due letture a distanza di 1 o 2 minuti l’una dall’altra a ogni visita medica e calcolare poi la media dei valori ottenuti. Nel caso in cui si rilevasse una differenza fra i valori pressori maggiore di 5 mmHg, si consiglia di effettuare 1 o 2 letture ulteriori e calcolare poi la media totale. Si formula una diagnosi di ipertensione solo se la media dei valori pressori totali ottenuti risulta elevata in almeno 2 diverse visite mediche4,5.

 

Eziologia

Nella maggioranza dei casi l’ipertensione è considerata di tipo essenziale, cioè con eziologia ignota o idiopatica. Infatti, oltre il 90% dei casi di ipertensione non presenta un fattore causale6. Le teorie postulate per spiegare l’eziologia dell’ipertensione sono alquanto complesse. In linea generale, si pensa che l’ipertensione essenziale derivi da una combinazione di stile di vita o fattori ambientali e fattori genetici, come viene di seguito discusso3,6,7.

I fattori legati allo stile di vita giocano un ruolo di fondamentale importanza nella genesi dell’ipertensione tra le popolazioni dei paesi industrializzati. Il regime alimentare contribuisce ad aumentare la pressione arteriosa soprattutto se prevede l’assunzione di alti quantitativi di sodio, bassi quantitativi di potassio o un eccesso di alcol. Lo stesso effetto è prodotto dal tabagismo. Purtroppo, queste scelte di vita vengono spesso incoraggiate dalle culture occidentali, che offrono un’ampia disponibilità di cibi elaborati e junk food a basso costo.

Anche l’inattività fisica e l’eccesso di peso contribuiscono in modo essenziale allo sviluppo dell’ipertensione. Secondo i dati raccolti nel 2010 dal sistema di sorveglianza PASSI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia), in Italia il 32% degli adulti risulta in sovrappeso, mentre l’11% è obeso: complessivamente, quindi, più di quattro adulti su dieci (42%) sono in eccesso ponderale3. Anche i fattori psicosociali, come ad esempio lo stress a livello fisiologico e/o psicologico, possono contribuire ad aumentare la pressione arteriosa4,7.

La prevalenza di ipertensione aumenta con l’età, raggiungendo circa il 75% fra i soggetti con età pari o superiore ai 70 anni. Il rischio di sviluppare l’ipertensione è pari a circa il 90% nei soggetti che non risultavano ipertesi in età compresa fra i 50 e i 60 anni; questo vale anche per i soggetti di età pari o superiore agli 80 anni3. L’aumento della popolazione anziana nei paesi industrializzati e i progressi in ambito medico contribuiranno, probabilmente, ad aumentare la prevalenza dell’ipertensione.

Alla base di questa patologia si possono trovare anche fattori di tipo genetico. Nello sviluppo delle forme mendeliane di ipertensione sono state identificate le mutazioni di 10 geni2,6. La maggioranza delle mutazioni genetiche che causano l’ipertensione agisce a livello renale, alterando la capacità dei reni di mantenere un appropriato equilibrio del sodio2,6. Le mutazioni di un singolo gene sono molto rare e ciò suggerisce l’ipotesi che l’eziologia dell’ipertensione sia molto più frequentemente il risultato di una combinazione di fattori6.

Anche se molto raramente, accade che alcuni casi di ipertensione presentino un fattore causale chiaro e discernibile. In questo caso si parla di ipertensione secondaria, che si presenta qualora il paziente mostri ipertensione a esordio improvviso, segni e sintomi di uno stato patologico correlato all’ipertensione e non risponda ai normali farmaci antipertensivi3. Le cause più note di ipertensione secondaria comprendono nefropatie croniche (2-5%), sindrome di Cushing (0,1-0,6%), feocromocitoma (0,04-0,1%), patologie nefrovascolari (0,2-0,7%) e iperaldosteronismo primario (0,01-0,3%)4. Anche l’apnea ostruttiva nel sonno e le patologie tiroidee sono annoverate fra le cause dell’ipertensione secondaria. In caso si sospetti la presenza di tale patologia, il paziente deve essere sottoposto a un check-up diagnostico per stabilire le cause esatte dello stato o della condizione che ha generato tali sospetti3.

L’ipertensione secondaria viene comunemente associata all’assunzione di determinati farmaci. In particolare, è noto che i farmaci simpaticomimetici, come ad esempio la pseudoefedrina e la fenilefrina, aumentano la pressione arteriosa. Poiché i decongestionanti si trovano tra i farmaci OTC, i farmacisti possono consigliare l’uso di decongestionanti nasali piuttosto che sistemici per il trattamento a breve termine della congestione nasale in pazienti ipertesi o affetti da patologie cardiovascolari. I farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) inducono l’aumento della pressione arteriosa poiché causano ritenzione idrica e sodica. I FANS vengono generalmente somministrati per il trattamento del dolore ed è quindi importante che tale informazione venga adeguatamente fornita ai pazienti ipertesi o anziani8-10. Altri farmaci che inducono l’aumento della pressione arteriosa sono i contraccettivi orali, il tacrolimus, la ciclosporina, gli inibitori della COX-2, le amfetamine, la cocaina, il ginseng e alcuni integratori alimentari4,8. Nel caso in cui l’ipertensione non rispondesse adeguatamente alla terapia in atto, occorre effettuare un’attenta analisi dei farmaci da banco nonché degli integratori alimentari assunti dal paziente. Si fa spesso un largo consumo di bevande energizzanti contenenti ginseng e caffeina e la maggior parte delle persone non è consapevole dei possibili effetti avversi ad esse correlati; il farmacista dovrebbe espressamente chiedere ai propri pazienti se fanno uso di tali prodotti. Caso meno infrequente di quello che si pensa è l’ipertensione legata a consumo di prodotti a base di liquirizia: alcuni soggetti risultano infatti particolarmente sensibili all’effetto dell’acido glicirretinico, che interagisce con il metabolismo dell’ormone cortisolo, facendo sì che i reni trattengano acqua e sodio.

 

Fisiopatologia

Come l’eziologia, anche la fisiopatologia dell’ipertensione è molto complessa e multifattoriale. I meccanismi più comunemente riconosciuti comprendono l’attivazione del sistema nervoso simpatico e del sistema renina-angiotensina-aldosterone (sistema RAA). L’attivazione del sistema nervoso simpatico causa la stimolazione del cuore e dei reni, con conseguente aumento della gittata cardiaca e della resistenza vascolare6. Nei pazienti ipertesi, i barocettori arteriosi e aortici vengono “resettati” su un valore pressorio più elevato. L’angiotensina II può causare una stimolazione esagerata del sistema nervoso simpatico. Inoltre, in soggetti che soffrono di apnea, il meccanismo del chemoriflesso periferico può venire alterato, con conseguente stimolazione del sistema nervoso simpatico. Per concludere, la stimolazione persistente del sistema nervoso simpatico contribuisce all’ipertrofia ventricolare sinistra e provoca il rimodellamento vascolare6.

Il sistema renina-angiotensina-aldosterone viene coinvolto nella fisiopatologia dell’ipertensione in diversi modi. L’aumento della pressione arteriosa viene inizialmente mediato attraverso gli effetti dell’angiotensina II. L’angiotensina II circolante causa la costrizione dei vasi di resistenza oltre alla stimolazione del sistema nervoso simpatico. Stimola inoltre la sintesi dell’aldosterone, che causa a sua volta ritenzione idrica e sodica, contribuendo a un aumento della pressione arteriosa. Inoltre, l’angiotensina II gioca un ruolo determinante nell’ipertrofia delle cellule muscolari cardiache e vascolari2,6.

 

Rischi dell’ipertensione

Le implicazioni a lungo termine dell’ipertensione non trattata o non diagnosticata comprendono infarto acuto del miocardio, ictus, cardiopatia coronarica, insufficienza cardiaca e renale1,7. L’ipertensione è il fattore di rischio più comune per la morbilità e mortalità cardiovascolare e si stima che sia la causa principale di circa 7,5 milioni di morti all’anno nel mondo di cui circa 240.000 in Italia3,9. Il rischio cardiovascolare raddoppia ogni volta che si registra un aumento pari a 20/10 mmHg su un valore pressorio di 115/753. Tenere sotto controllo la pressione arteriosa è di fondamentale importanza per diminuire il rischio di eventi cardiovascolari: per i soggetti normotensivi all’età di 55 anni è stato stimato un rischio lifetime di sviluppare l’ipertensione del 90%3. A ogni diminuzione dalla pressione arteriosa sistolica pari a 3 mmHg corrisponde una diminuzione del 5% della mortalità per coronaropatia e dell’8% per ictus7. La popolazione dei paesi occidentali continua a essere esposta a molti dei fattori di rischio preponderanti per lo sviluppo dell’ipertensione come ad esempio obesità, diabete, fumo, nefropatie e iperlipidemia4,6,10. Anche la privazione del sonno, l’apnea notturna e lo stress sono condizioni tipiche della cultura industrializzata e ulteriori fattori di rischio11. Un controllo adeguato e una gestione terapeutica appropriata di questi fattori di rischio è necessaria al fine di diminuire la prevalenza e la mortalità per ipertensione.

 

Trattamento non farmacologico

Secondo il JNC 7, i pazienti con una pressione sistolica compresa fra 120 e 139 mmHg o una pressione diastolica fra 80 e 89 mmHg sono classificati come pre-ipertensivi e, al fine di evitare malattie cardio- e cerebrovascolari, questi soggetti devono migliorare il proprio stile di vita3. Le modifiche dello stile di vita rappresentano il trattamento di prima linea per l’ipertensione. È stato dimostrato come un regime alimentare equilibrato combinato con l’esercizio fisico abbia portato dei miglioramenti evidenti della pressione arteriosa, permettendo un adeguato controllo dei valori pressori o fornendo l’opportunità di diminuire i dosaggi dei farmaci. I trattamenti non farmacologici hanno dato esiti particolarmente positivi nella popolazione afro-americana, spesso maggiormente interessata da ipertensione rispetto alle altre etnie presenti negli USA7.

La perdita di peso rappresenta un ulteriore importante meccanismo di prevenzione e di trattamento dell’ipertensione, ampiamente documentato. Molti studi hanno dimostrato che persino una moderata perdita di peso può contribuire all’abbassamento della pressione arteriosa, indipendentemente dal fatto che il paziente raggiunga o meno il peso ideale. Ridurre il peso corporeo di circa 5 kg permette di ottenere una diminuzione media della pressione arteriosa pari a 4,4/3,6 mmHg7. Inoltre, mantenere per oltre 2 anni una riduzione del peso corporeo di 10 kg porta a ridurre i valori pressori di 6/4,6 mmHg9. Iniziare un’attività fisica intensa aiuta a mantenere nel tempo la perdita di peso ottenuta: si consiglia di effettuare regolari esercizi aerobici per 30 minuti ogni giorno, per il maggior numero di giorni possibile3. Un indice di massa corporea inferiore a 25 kg/m2 è considerato ideale per la prevenzione e il trattamento dell’ipertensione e, di conseguenza, i pazienti che non sono sovrappeso andrebbero incoraggiati a mantenere tale valore2,3,7.

Anche l’alimentazione rappresenta un approccio efficace per la diminuzione dei valori pressori. Una dieta iposodica e ricca di potassio è altamente raccomandata per il trattamento e la prevenzione dell’ipertensione. Limitare l’apporto di sodio influisce in modo variabile sulla pressione arteriosa e risulta essere maggiormente vantaggioso per la popolazione afroamericana e per i soggetti più anziani. Si ipotizza che questi gruppi di pazienti abbiano un sistema renina-angiotensina-aldosterone meno responsivo. L’eliminazione totale del sodio è peraltro sconsigliata. Una commissione istituita dall’Institute of Medicine ha determinato che 1,5 grammi di sodio al giorno rappresenta il giusto apporto giornaliero. Nella nostra attuale cultura resta tuttavia difficile raggiungere tale obiettivo e, di conseguenza, per un’adeguata gestione dell’ipertensione si consiglia di non superare il limite massimo di 2,3 grammi di sodio al giorno. Generalmente, la riduzione del sodio si ottiene scegliendo cibi iposodici e, soprattutto, limitando il consumo di alimenti elaborati. Il farmacista dovrebbe scoraggiare i propri pazienti a consumare cibi a elevato contenuto di sodio, come ad esempio le zuppe in scatola o i pasti surgelati, quelli proposti dai fast food, le carni elaborate e i sottaceti. Potrebbe essere vantaggioso per i pazienti con una diagnosi recente di ipertensione interpellare un dietologo per imparare a scegliere un’alimentazione sana e, soprattutto, a interpretare correttamente le etichette degli alimenti. Occorre inoltre limitare l’aggiunta di sale a tavola o mentre si cucina3,7.

È stato dimostrato che un aumento dell’apporto di potassio permette a sua volta un maggior controllo della pressione arteriosa, soprattutto nella popolazione afroamericana7. Un adeguato apporto giornaliero di potassio ammonta a 4,7 grammi e può essere ottenuto attraverso il consumo di frutta e verdura ad alto contenuto di questo minerale. I soggetti a rischio di iperpotassiemia per ridotta escrezione di potassio, come ad esempio i pazienti affetti da nefropatia cronica, insufficienza surrenalica o cardiaca e diabete non vanno incoraggiati ad aumentare l’apporto di potassio. Un’attenzione particolare deve essere riservata ai pazienti che assumono farmaci che inibiscono l’escrezione di potassio, come ad esempio i FANS, gli ACE-inibitori (Angiotensin-Converting Enzyme Inhibitors, inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina), gli antagonisti dei recettori dell’angiotensina II (sartani) e i diuretici risparmiatori di potassio7.

La dieta maggiormente raccomandata per abbassare la pressione arteriosa è la DASH, acronimo che sta per Dietary Approaches to Stop Hypertension (approcci alimentari per bloccare l’ipertensione). Negli studi effettuati sulla dieta DASH è stata osservata una riduzione media della pressione arteriosa di 5,5/3 mmHg. Questo regime alimentare prevede un maggiore consumo di frutta, verdura, carne bianca, pesce, latticini a basso contenuto di grassi, cereali integrali e noci e riduce quello di grassi, dolci e carni rosse. Anche la dieta DASH, come gli altri accorgimenti alimentari precedentemente discussi, ha effetti particolarmente benefici sulla popolazione afroamericana. Non è invece raccomandata per i soggetti affetti da nefropatia cronica, a causa dell’alto contenuto di proteine e di potassio3,7.

I pazienti ipertesi e fumatori dovrebbero essere incoraggiati a smettere di fumare, poiché il fumo di sigaretta è un fattore di rischio indipendente per le malattie cardiovascolari. I programmi antifumo promossi dai farmacisti si sono rivelati altamente efficaci nella lotta contro il tabagismo12-14. Si è inoltre osservato che l’eccessivo consumo di sostanze alcoliche (≥2 bevande al giorno) contribuisce allo sviluppo dell’ipertensione, mentre un consumo moderato di alcol porta a una diminuzione approssimativa della pressione sistolica da 2 a 4 mmHg3. Per gli uomini, il consumo di alcol raccomandato è pari a 2 bevande giornaliere, mentre alle donne si consiglia di non superare 1 bevanda al giorno. Per bevanda si intendono circa 350 ml di birra, 150 ml di vino o 45 ml di liquori con gradazione alcolica del 40%3,7.

 

Scelta del trattamento farmacologico

La maggior parte dei pazienti ipertesi deve essere trattata farmacologicamente e nel 75% dei casi è necessario adottare una terapia combinata di 2 o più farmaci per raggiungere l’obiettivo pressorio3,10. Sono state utilizzate diverse classi di farmaci per controllare la pressione arteriosa, quali diuretici tiazidici, diuretici dell’ansa, antagonisti dell’aldosterone, ACE-inibitori, sartani, betabloccanti, calcioantagonisti, alfabloccanti, alfa-2 agonisti e vasodilatatori diretti3. La Tabella 1 di pag. 8 elenca alcuni esempi dei principi attivi specifici delle varie classi farmacologiche, indicandone gli effetti collaterali più importanti. Per quanto riguarda l’uso in gravidanza, si rimanda al sito http://www.farmaciegravidanza.org.

La terapia iniziale per l’ipertensione prevede innanzitutto una modifica del proprio stile di vita; tuttavia, se tale approccio non è sufficiente per raggiungere un adeguato controllo della pressione arteriosa, ai cambiamenti dello stile di vita si deve necessariamente aggiungere la farmacoterapia. Per la maggior parte dei pazienti la scelta della terapia iniziale è stata oggetto di numerosi studi e dibattiti. Secondo le linee guida di consenso e le revisioni cliniche più recenti, il grado di riduzione della pressione arteriosa influisce positivamente sulla riduzione del rischio cardiovascolare in modo maggiore rispetto al farmaco antipertensivo iniziale prescritto15-17. Ciò presuppone che il paziente non abbia un’indicazione obbligata per un farmaco particolare, come ad esempio un betabloccante o il verapamil per il controllo del ritmo cardiaco in caso di fibrillazione atriale. Di conseguenza, è opinione generale che allo stesso livello di riduzione della pressione arteriosa, la maggior parte dei farmaci antipertensivi fornisca lo stesso livello di protezione cardiovascolare18.

I diuretici tiazidici sono stati considerati per lungo tempo farmaci di prima linea, ma per alcuni pazienti non risultano essere efficaci in monoterapia. Occorre tenere presente che nella pratica medica esiste un’elevata variabilità interpaziente e, di conseguenza, la risposta a un farmaco o a una classe di farmaci può essere positiva per alcuni soggetti e non per altri. Purtroppo, non è possibile determinare tale eventualità a priori. Si suppone che le linee guida del JNC 8 possano fornire ai medici migliori informazioni relative alla scelta iniziale dei farmaci. Per il momento risulta prudente basare la scelta del farmaco iniziale tenendo in considerazione il livello di controllo della pressione arteriosa richiesta, la presenza di indicazioni obbligate o di comorbilità, l’eventuale interazione fra farmaci, gli effetti avversi, le avvertenze, le precauzioni, le controindicazioni, le precedenti risposte al farmaco e l’accessibilità.

I pazienti con ipertensione di stadio 1 senza controindicazioni dovrebbero essere trattati inizialmente in monoterapia con un diuretico tiazidico, come ad esempio l’idroclorotiazide, o il clortalidone. Si rende necessario prendere in considerazione altre classi di farmaci nel caso in cui i diuretici tiazidici fossero controindicati o non tollerati o nel caso in cui il paziente avesse un’indicazione obbligata per un farmaco differente. Il mancato raggiungimento di un adeguato controllo della pressione arteriosa impone l’adozione di una terapia combinata. Ad esempio, l’uso di un diuretico tiazidico associato a un farmaco che agisce sul sistema RAA aumenta per sinergia gli effetti antipertensivi. Inoltre, molti di questi farmaci sono in commercio in associazioni a dosaggio fisso sotto forma di compresse o capsule singole (vedi Tabella 2 di pag.10). L’uso di queste formulazioni porta a una maggiore aderenza terapeutica e a una diminuzione dei costi unitari, soprattutto nei casi in cui sia disponibile il farmaco generico (ad es. losartan più idroclorotiazide). I farmacisti sono tenuti a richiamare l’attenzione sul fatto che la somministrazione cronica di diuretici può essere associata a complicazioni metaboliche, come ad esempio ipopotassiemia, ipomagnesemia e iperuricemia in modo dose-dipendente. La poliuria è un effetto avverso molto comune e spesso causa della non aderenza terapeutica.

L’equivalenza terapeutica dell’idroclorotiazide rispetto a quella del clortalidone è un’altra questione molto dibattuta19-22. È stato correttamente osservato che il clortalidone è molto più potente e ha un’emivita e una durata maggiore rispetto all’idroclorotiazide (il clortalidone 12,5 è pressoché equivalente all’idroclorotiazide 25 mg)19. Tuttavia, nella pratica medica l’idroclorotiazide è più frequentemente prescritto. Un recente studio di coorte retrospettivo condotto su larga scala ha dimostrato che il clortalidone riduce gli eventi cardiovascolari in modo maggiore rispetto all’idroclorotiazide20. Si è arrivati, quindi, alla conclusione che il clortalidone sia da preferire all’idroclorotiazide per il trattamento dell’ipertensione arteriosa in pazienti ad alto rischio di eventi cardiovascolari.

Per il trattamento della maggior parte dei pazienti con ipertensione di stadio 2 è raccomandato di iniziare con la terapia combinata di 2 farmaci. In assenza di controindicazioni, uno dei due farmaci dovrebbe essere un diuretico tiazidico. Il secondo farmaco può essere un ACE-inibitore, un sartano, un betabloccante o un calcioantagonista. La somministrazione di farmaci appartenenti a due diverse classi farmacologiche permette di raggiungere l’obiettivo pressorio in tempi più rapidi. Una volta iniziata la terapia farmacologica, i pazienti devono sottoporsi a follow-up mensili fino al raggiungimento dell’obiettivo pressorio. La posologia va ottimizzata e, se necessario e se ben tollerati, è possibile aggiungere altri farmaci. Per decidere se aumentare il dosaggio dei farmaci già somministrati o se aggiungere nuovi farmaci alla terapia, vanno presi in considerazione diversi fattori. Occorre innanzitutto capire l’aderenza terapeutica del paziente ai farmaci antipertensivi. Qualora il paziente confermasse la propria aderenza alla terapia e la pressione arteriosa risultasse comunque elevata, il medico può considerare l’eventualità di controllare la veridicità di quanto riportato dal paziente, contattando la farmacia di riferimento sul territorio o effettuando il conteggio delle compresse. Prima di aggiungere ulteriori farmaci alla terapia, occorre inoltre controllare l’eventuale assunzione di preparati che non richiedono prescrizione, come ad esempio FANS, pseudoefedrina, ginseng o di caffeina e bevande energizzanti. Ancora da indagare il consumo di liquirizia che da alcuni dati sembrerebbe in grado di inibire l’azione degli ACE-inibitori.

 

Indicazioni obbligate

I pazienti possono presentare uno o più condizioni di morbilità, che possono o meno essere messe in relazione con l’ipertensione. Queste condizioni sono considerate indicazioni obbligate e includono insufficienza cardiaca, malattia renale cronica, esiti di infarto miocardico e la necessità di una prevenzione per l’ictus ricorrente. In questi casi, la letteratura medica basata sull’evidenza supporta l’uso di alcune classi farmacologiche (vedi Tabella 3). Ad esempio, i pazienti ipertesi affetti da insufficienza renale stabile traggono beneficio dall’uso di un ACE-inibitore o di un sartano per diminuire la progressione della nefropatia ipertensiva. Anche i pazienti affetti da insufficienza cardiaca sistolica ottengono risultati positivi utilizzando un ACE-inibitore, un betabloccante e, possibilmente, un antagonista dell’aldosterone. Ne consegue che la scelta dei farmaci per il trattamento di pazienti ipertesi con patologie concomitanti deve essere effettuata seguendo le indicazioni della più recente letteratura medica e le raccomandazioni del JNC3.

Esistono numerosi scenari nei quali un farmaco antipertensivo o una combinazione di farmaci è da preferirsi rispetto ad altri ma illustrare le diverse possibilità non rientra nell’obiettivo della presente monografia di aggiornamento. Un esempio è dato da donne in età fertile o in gravidanza. In queste situazioni, farmaci come ACE-inibitori, sartani e inibitori diretti della renina devono essere evitati e sostituiti con farmaci come metildopa o labetalolo. I pazienti afroamericani rispondono meglio ai diuretici tiazidici o ai calcioantagonisti in monoterapia, rispetto agli ACE-inibitori o ai betabloccanti in monoterapia3. I pazienti di razza bianca più giovani rispondono invece meglio agli ACE-inibitori o ai sartani e ai betabloccanti rispetto ai calcioantagonisti e ai diuretici tiazidici3. I betabloccanti sono da preferirsi per pazienti ipertesi con tremore essenziale benigno, emicrania, ipertiroidismo sintomatico e per il controllo del ritmo cardiaco in pazienti con fibrillazione o flutter atriale3. Ciò spiega l’importanza di ottenere un’anamnesi medica completa per ciascun paziente e di individuare i regimi antipertensivi clinicamente più appropriati.

 

Il ruolo del farmacista per una migliore aderenza alla terapia antipertensiva

La necessità di somministrare ai pazienti più farmaci per ottenere un adeguato controllo della pressione arteriosa spiega l’importanza dell’intervento del farmacista nella cura del paziente iperteso. Come precedentemente affermato, più del 75% dei pazienti ipertesi deve assumere 2 o più farmaci per poter raggiungere l’obiettivo pressorio3,10. In altri casi, invece, l’ipertensione resta non diagnosticata, non trattata, non controllata o resistente alla terapia (nonostante la somministrazione di 3 o più farmaci non si raggiunge l’obiettivo pressorio).

Alcuni studi hanno dimostrato come in diversi ambienti medico-sanitari la collaborazione fra farmacisti e medici possa avere un impatto positivo nel migliorare il controllo della pressione nei pazienti ipertesi23-25. I farmacisti sono le figure di riferimento più idonee a migliorare l’aderenza terapeutica a lungo termine, in quanto possono fornire dei feedback esaustivi ai medici curanti e istruire i pazienti circa i diversi aspetti dell’ipertensione. Possono, ad esempio, spiegare le conseguenze di un’ipertensione non controllata o non trattata, che si traducono spesso in danni a carico di diversi organi, nonché dimostrare i benefici derivanti da un adeguato controllo della pressione arteriosa.

L’aderenza terapeutica gioca un ruolo di fondamentale importanza nel controllo dell’ipertensione. È stato stimato che solo il 50% circa dei pazienti con una diagnosi recente di ipertensione continuano la terapia intrapresa dopo 12 mesi26. La non aderenza terapeutica può dipendere da diversi fattori: i pazienti possono, ad esempio, incorrere in effetti indesiderati che li inducono ad auto-correggere o a sospendere la terapia; in altri casi, considerata la natura asintomatica dell’ipertensione, i rischi di effetti avversi vengono percepiti come immotivati. I farmacisti sono tenuti a parlare con i propri pazienti e spiegare loro sia i rischi associati a un’ipertensione non trattata sia i possibili effetti indesiderati che si possono avere iniziando una nuova terapia. È importante che i pazienti riconoscano e si assumano la responsabilità di ridurre i fattori di rischio modificando le proprie abitudini di vita. Un altro modo in cui i farmacisti possono aiutare i pazienti è quello di consigliare loro l’utilizzo di misuratori di pressione portatili. Questo permette ai pazienti di avere un ruolo attivo nella gestione della pressione arteriosa e dovrebbe, teoricamente, aumentare la compliance terapeutica.

Altri fattori che contribuiscono a determinare la non aderenza terapeutica sono l’incapacità del paziente di attenersi ai diversi regimi di dosaggio quando assumono numerosi farmaci antipertensivi, oltre ad altri farmaci. I farmacisti dovrebbero iniziare a monitorare l’approvvigionamento di farmaci da parte di quei pazienti che non si attengono alle prescrizioni in atto. Potrebbero informare i pazienti circa la possibilità di utilizzare un scatoletta portapillole o contattare il medico curante per richiedere una terapia combinata che possa semplificare il regime terapeutico del paziente. Al fine di rendere la terapia farmacologica antipertensiva un’attività di routine, il farmacista potrebbe aiutare il paziente a identificare delle attività giornaliere ripetute che possano essere associate all’assunzione dei farmaci. Il paziente potrebbe, ad esempio, ricordarsi di assumere una medicina quando si lava i denti o beve una tazza di caffè la mattina o svolge una qualsiasi altra attività giornaliera.

Il costo dei farmaci rappresenta un problema di spesa per tutti i sistemi sanitari. È possibile consultare il medico curante per stabilire la disponibilità di farmaci generici al posto delle specialità medicinali per ridurre ulteriormente i costi. Ricordare ai pazienti i benefici derivanti dalle modifiche al proprio stile di vita per ridurre il dosaggio dei farmaci o persino sospendere la terapia può aiutare a diminuire i costi generali sostenuti per la terapia farmacologica. Occorre inoltre informarsi regolarmente circa l’attività fisica svolta dai pazienti e le loro abitudini alimentari, come ad esempio l’assunzione di sodio.

Oltre all’aderenza terapeutica dei pazienti, la disponibilità di farmaci da banco che possono indurre l’aumento della pressione arteriosa è un’ulteriore questione che richiede l’intervento del farmacista. Educare i pazienti che presentano prescrizioni per farmaci antipertensivi circa l’effetto di FANS, pseudoefedrina e alcuni integratori alimentari può ridurre la possibilità di sviluppare un’ipertensione iatrogena non riconosciuta. Il ruolo fondamentale del farmacista è quello di aiutare i pazienti ipertesi a scegliere delle alternative appropriate a questi farmaci10.

Il farmacista può inoltre aumentare l’aderenza alla terapia antipertensiva informando anticipatamente i pazienti circa gli effetti avversi che possono insorgere, come ad esempio la tosse indotta dagli ACE-inibitori, la stipsi correlata alla somministrazione di verapamil, la disfunzione erettile o l’ipotensione ortostatica causata dalla terapia con vasodilatatori (oltre a numerosi altri effetti collaterali collegati ad altre classi di farmaci).

È importante inoltre informare i pazienti circa gli effetti avversi potenzialmente mortali, come ad esempio l’angioedema indotto dagli ACE-inibitori. Nel caso in cui l’angioedema dovesse interessare una parte delle vie aeree, come ad esempio la lingua, la laringe o la faringe, occorre richiedere immediatamente l’intervento medico.

Il feedback ai medici curanti non si traduce necessariamente in un aumento dell’aderenza terapeutica ma, se possibile, i medici dovrebbero sapere quale dei loro pazienti non assume regolarmente i farmaci prescritti. I farmacisti dovrebbero inoltre contattare il medico curante in caso di effetti avversi certi o supposti. Il medico va consultato per un eventuale adattamento del dosaggio, in caso di possibile interazione fra farmaci o quando sono disponibili farmaci generici equivalenti. I farmacisti devono prestare grande attenzione alle comorbilità, come ad esempio la dislipidemia e il tabagismo, e collaborare con il medico per trattare queste condizioni farmacologicamente. È importante che i pazienti comprendano che l’ipertensione è una patologia asintomatica e che, di conseguenza, potrebbero non rilevare cambiamenti fisici positivi durante la terapia; tuttavia, il trattamento antipertensivo offre una protezione contro l’ictus, gli eventi coronarici, l’insufficienza cardiaca e contro la progressione di malattie renali, oltre a evitare che l’ipertensione peggiori.

 

Conclusioni

L’ipertensione è una patologia ad alta prevalenza che affligge milioni di italiani. Se l’ipertensione resta non diagnosticata o non viene adeguatamente trattata, i pazienti sono ad alto rischio di morbilità e mortalità cardiovascolare. Il controllo della pressione arteriosa e il raggiungimento degli obiettivi pressori spesso richiedono la somministrazione di più farmaci appartenenti a diverse classi farmacologiche oltre a modifiche dello stile di vita. Per la sua natura idiopatica e asintomatica, l’ipertensione resta una patologia difficile da comprendere. I farmacisti giocano un ruolo importante nella gestione e nella cura appropriata dei pazienti ipertesi. Aumentare l’aderenza terapeutica, fornire un’educazione adeguata circa i rischi legati all’ipertensione e consigliare i farmaci da banco più appropriati sono alcuni dei modi in cui i farmacisti possono contribuire a migliorare la cura dei pazienti ipertesi.