2012-01

Il rischio di ictus e la prevenzione primaria: aggiornamento per il farmacista

Revisione scientifica: Prof. Giovanni Meola, Professore Ordinario Di Neurologia, Università Degli Studi Di Milano, Direttore Unità Operativa Complessa Di Neurologia E Stroke-Unit, Irccs Policlinico San Donato

Scopo dell’attività:

Informare i farmacisti sui rischi dell’ictus cerebrale e sulla prevenzione primaria

Obiettivi formativi:

Dopo aver completato la seguente monografia di aggiornamento, il Farmacista dovrebbe essere in grado di:

  • discutere l’eziologia e la fisiopatologia dell’ictus;
  • definire i fattori di rischio più comuni per l’ictus e le modalità secondo le quali il farmacista può influenzare positivamente lo stato di salute dei pazienti;
  • descrivere il grado di conoscenza del pubblico relativo all’ictus, compresi i fattori di rischio, le modalità di prevenzione, il trattamento di emergenza e il riconoscimento dei sintomi;
  • spiegare il ruolo del farmacista nel fornire informazioni relative all’ictus e alla sua prevenzione.

Executive summary

L’ictus rappresenta la terza causa di morte nei paesi industrializzati, dopo malattie cardiovascolari e tumori. È causato da un mancato afflusso di sangue al cervello, dovuto alla presenza di trombi o a un’emorragia intracerebrale. I fattori di rischio non modificabili includono età, sesso, anamnesi famigliare positiva per ictus, basso peso alla nascita e razza. I fattori di rischio modificabili includono ipertensione, diabete, iperlipidemia, fumo, obesità e fibrillazione atriale. Compito del farmacista è educare il paziente riguardo la diminuzione dei fattori di rischio e il precoce riconoscimento dei segni e sintomi.

L’ictus rappresenta una delle principali minacce per la salute, costituendo la seconda causa di morte a livello mondiale e la terza causa di morte nei Paesi industrializzati, preceduto soltanto dalle malattie cardiovascolari e dai tumori1. A livello mondiale, ogni sei secondi una persona viene colpita da ictus, indipendentemente dall’età o dal sesso, e 1 persona su 6 viene colpita dall’ictus nell’arco della sua vita. Questa patologia colpisce circa 200.000 italiani ogni anno e nel 40% dei casi causa la morte o la disabilità dei soggetti colpiti. Il 20% dei soggetti colpiti da ictus necessita ancora di assistenza sanitaria tre mesi dopo l’evento vascolare, mentre il 15-30% riporterà disabilità permanenti1. Attualmente in Italia circa 930.000 persone ne portano le conseguenze.

Un’indagine realizzata dall’A.L.I.Ce. (Associazione italiana per la lotta all’ictus cerebrale) Italia Onlus in collaborazione con il Censis e l’Università degli Studi di Firenze, all’interno del progetto “Promozione dell’assistenza all’Ictus Cerebrale in Italia”, ha analizzato i bisogni di assistenza e supporto delle persone colpite da questa malattia, oltre ai costi che vengono sostenuti dalle famiglie dei pazienti, con interviste mirate sulla conoscenza dell’ictus. I costi a carico del SSN vengono quantificati a oggi in circa € 3,5 miliardi/anno. L’impatto dell’ictus in termini di riduzione dell’autosufficienza e di incidenza dei bisogni assistenziali risulta particolarmente gravoso. Nel complesso, il costo medio annuo a paziente con disabilità grave per famiglia e collettività, escludendo i costi a carico del SSN, è di circa € 30.000, per un totale di circa € 14 miliardi/anno.

È stato dimostrato che apportare alcune modifiche al proprio stile di vita si traduce in una diminuzione dell’incidenza di ictus1. Inoltre, riconoscere i segni e i sintomi di questa patologia vascolare può aiutare i pazienti a identificare la necessità di un intervento medico che, se tempestivo e appropriato, può diminuire il livello di invalidità e il rischio di decesso. Si stima che in Italia soltanto il 40% delle persone colpite da ictus arriva in ospedale entro le prime 3-4 ore. È chiaro, dunque, come possedere le informazioni necessarie per attuare tale intervento sia di fondamentale importanza. I farmacisti fanno parte di diritto del team di operatori sanitari incaricati della gestione dei pazienti colpiti da ictus. Ma cosa accadrebbe se potessero anche prevenire la malattia? Nel caso di un primo evento vascolare cerebrale, che rappresenta il 77% di tutti i casi di ictus1, porterebbe a un potenziale, enorme risparmio in termini di sofferenza umana e di costi. Grazie allo stretto contatto che ha con il pubblico e alla credibilità di cui gode quale fonte attendibile di informazioni in ambito igienico-sanitario, il farmacista ha la possibilità di giocare un ruolo importante nella prevenzione del primo ictus cerebrale (prevenzione primaria) fornendo ai propri assistiti le informazioni necessarie relative ai fattori di rischio, a uno stile di vita salutare e alla necessità di ricorrere a un intervento medico tempestivo alla comparsa dei primi sintomi.

 

Eziologia e fisiopatologia dell’ictus

L’ictus è causato da una mancanza di flusso sanguigno al cervello, fatto che priva il tessuto cerebrale di ossigeno e sostanze nutritive, quali il glucosio. Poiché i neuroni sono particolarmente sensibili alla carenza di ossigeno, il danno cerebrale è praticamente immediato. L’ictus può essere classificato come ischemico o emorragico.

L’ictus ischemico si verifica quando il flusso arterioso cerebrale viene ostacolato o totalmente interrotto; è causato da trombosi intracranica (formazione di coaguli ematici) o da embolie periferiche, a origine extracranica3. In relazione all’ictus, un coagulo ematico che si forma a livello intracranico viene denominato trombo, mentre un coagulo ematico o una qualsiasi altra massa che si forma in un’area del corpo e si sposta in un vaso cerebrale viene denominata embolo trombotico. La trombosi intracranica ha luogo più comunemente nei grandi vasi come le arterie carotidi e meno frequentemente nelle piccole arterie cerebrali. Un embolo trombotico si sviluppa generalmente nel cuore o nelle arterie extracraniche. L’aterosclerosi risulta essere la causa più comune della formazione di trombi3. In assenza di una perfusione ematica ricca di nutrienti, le cellule e i neuroni sono esposti a un processo denominato ‘cascata ischemica’. In questa reazione a catena, le cellule cerebrali necrotiche sono circondate da tessuti ipoperfusi (ischemici). L’area ipoperfusa, o penombra ischemica, è composta da cellule cerebrali compromesse ma tuttavia ancora vitali, che possono essere potenzialmente recuperabili con un intervento medico neuroprotettivo condotto tempestivamente4. In assenza di un trattamento adeguato, il tessuto ischemico è destinato a morire. Poiché le strutture anatomiche e le corrispondenti funzioni sono neurologicamente collegate a specifiche regioni del cervello, il tessuto cerebrale ipoperfuso influenzerà le funzioni corporee correlate. Il soggetto colpito da ictus può presentare deficit specifici a seconda della localizzazione del danno neurologico. Il trattamento iniziale dell’ictus si prefigge di interrompere la cascata ischemica e minimizzare la morte delle cellule cerebrali al fine di mantenere la normale funzionalità corporea.

L’ictus emorragico è causato più comunemente da un’emorragia intracerebrale, con versamento di sangue direttamente nel tessuto cerebrale. Questo tipo di ictus è frequentemente associato a un’ipertensione non controllata e, in misura minore, a terapie antitrombotiche o trombolitiche. Meno frequentemente, a seguito di un trauma o di una rottura di aneurisma, il sanguinamento riempie lo spazio subdurale o quello subaracnoideo del cervello4. Riuscire a prevedere quali deficit possono derivare da un ictus emorragico non è cosa semplice, in quanto entrano in gioco altri fattori traumatici, come ad esempio l’aumento della pressione intracranica e l’edema cerebrale, che possono aggiungersi al danno tissutale iniziale causato dall’emorragia3. Gli ictus emorragici sono associati a una maggiore morbilità e a un più elevato tasso di decessi rispetto agli ictus ischemici. Si suppone che il danno provocato da un ictus di tipo emorragico sia dovuto agli effetti meccanici e neurotossici negativi prodotti dal sangue e dai suoi prodotti di degradazione sui tessuti neuronali4. È molto difficile classificare l’ictus sulla base di un semplice esame clinico. Si consiglia di effettuare in modo tempestivo una TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) o una RM (Risonanza Magnetica)per ottenere una diagnosi ed effettuare un trattamento adeguati, in quanto le terapie adottate per un ictus ischemico possono avere delle conseguenze devastanti in caso di ictus emorragico. Fino a poco tempo fa, si credeva che non più del 20% degli ictus fosse causato da un’emorragia, ma nel 2008 uno studio della durata di un anno ha dimostrato la natura emorragica del 41,9% dei casi di ictus5. Occorrono tuttavia ulteriori indagini per accertare la vera incidenza di tale patologia.

 

I fattori di rischio

L’aumento del rischio di ictus può essere determinato da numerosi fattori, classificati come modificabili e non modificabili1. I fattori di rischio non modificabili includono l’età, il sesso (gli uomini sono maggiormente a rischio rispetto alle donne, fatta salva l’età compresa fra 35-44 anni o > 85 anni), l’anamnesi familiare positiva per ictus, il basso peso alla nascita e la razza (i soggetti di colore, gli ispanici/latini e i nativi americani sono maggiormente a rischio rispetto ai bianchi)1. L’ipertensione, il diabete, l’iperlipidemia, il fumo, l’obesità e la fibrillazione atriale sono invece fattori di rischio modificabili ampiamente documentati. Adottare uno stile di vita più sano e seguire scrupolosamente le terapie mediche consigliate può diminuire in modo significativo le probabilità di subire un ictus. Chi conduce una vita sana è esposto a un rischio di ictus inferiore dell’80% rispetto a chi adotta abitudini dannose per la propria salute1. Persino coloro che sono esposti a un elevato rischio di ictus a causa di fattori non modificabili possono trarre beneficio migliorando il proprio stile di vita. Risulta di conseguenza importante riconoscere i fattori di rischio modificabili e sapere come adottare abitudini salutari. Qui di seguito prenderemo in considerazione alcuni di questi fattori e discuteremo gli interventi educativi che i farmacisti possono attuare.

 

I più comuni fattori di rischio modificabili

 

Ipertensione

L’ipertensione è considerata il principale fattore di rischio indipendente dell’ictus, rischio che aumenta proporzionalmente con l’aumento della pressione arteriosa1,6. Il Settimo Report del Joint National Committee (JNC 7) sulla Prevenzione, Diagnosi, Valutazione e Trattamento dell’Ipertensione Arteriosa ha definito pazienti normotesi quei soggetti con pressione arteriosa inferiore ai 120/80 mmHg. Una pressione arteriosa sistolica compresa fra 120 e 140 mmHg e/o una pressione diastolica compresa fra 80 e 90 mmHg è stata classificata come pre-ipertensione. I soggetti appartenenti a tale categoria possono gestire la situazione con semplici variazioni al proprio stile di vita (vedi Tabella 1) piuttosto che assumere farmaci antipertensivi. L’adozione di una terapia antipertensiva in soggetti pre-ipertesi diventa necessaria in caso di insufficienza cardiaca, infarto del miocardio, diabete, insufficienza renale cronica e precedente evento vascolare cerebrale6.

Il JNC 7 raccomanda di portare la pressione arteriosa in pazienti ipertesi a un valore <140/90 mmHg al fine di prevenire le malattie cardiovascolari, compreso l’ictus6. A causa dell’alta probabilità di sviluppare una patologia cardiovascolare, alcuni sottogruppi di pazienti richiedono un controllo dei valori pressori particolarmente stringente. Ad esempio, i soggetti affetti da diabete e/o insufficienza renale devono mantenere la pressione arteriosa al di sotto di 130/80 mmHg6,7. Si stanno attualmente effettuando studi mirati per definire i diversi range di valori pressori ottimali.

La terapia farmacologica antipertensiva ha mostrato una riduzione pari al 32% degli eventi vascolari cerebrali1. Nonostante le prove siano sufficientemente persuasive, il controllo dell’ipertensione risulta essere inadeguato. Circa due terzi dei casi di ipertensione non vengono individuati o sono trattati in modo insoddisfacente8. Diverse categorie di farmaci antipertensivi hanno dimostrato un’ottima efficacia nella riduzione dell’incidenza di ictus in pazienti ipertesi (vedi Tabella 2). Tuttavia, resta ancora da chiarire se esiste una particolare classe di agenti antipertensivi in grado di garantire un migliore effetto preventivo dell’ictus. La maggior parte dei pazienti può ottenere un adeguato controllo della pressione arteriosa con la combinazione di due o più farmaci antipertensivi; la riduzione dei valori pressori è in genere considerata più importante dei farmaci scelti per raggiungere l’obiettivo prefissato1.

I farmacisti possono aiutare i pazienti a ridurre il rischio di ictus fornendo loro informazioni esaustive rispetto alla stretta correlazione fra l’ipertensione e l’evento vascolare cerebrale, invitandoli a controllare regolarmente la pressione e sottolineando l’importanza dell’adesione alla terapia antipertensiva.

 

Diabete

Il diabete mellito, soprattutto di tipo 2, è spesso accompagnato da fattori di rischio aterogenici che includono l’ipertensione e l’iperlipidemia, condizioni che a loro volta rappresentano un fattore di rischio per lo sviluppo dell’aterosclerosi1. Di conseguenza, il diabete è considerato un fattore di rischio indipendente per l’ictus ischemico7.

L’esame dell’emoglobina A1c (HbA1c) valuta i livelli di emoglobina glicosilata nel sangue, che si forma quando il glucosio si lega all’emoglobina dei globuli rossi. Tramite la misurazione dell’emoglobina glicataè possibile identificare il livello medio di glucosio presente nel sangue negli ultimi tre mesi; questa misura è utilizzata clinicamente per diagnosticare il diabete, monitorare la glicemia e, soprattutto, per predire eventuali complicazioni legate al diabete stesso.

Gli studi condotti sul diabete mellito di tipo 1 e di tipo 2 hanno chiaramente dimostrato che il controllo stretto della glicemia (HbA1c <6,5%) è associato a una diminuzione dei tassi di complicazioni microvascolari (retinopatia e nefropatia) e neuropatiche7.

Tuttavia, è meno certa la relazione fra uno stretto controllo glicemico e la riduzione del rischio di ictus. Un recente studio prospettico di coorte, il Northern Manhattan Study (NOMAS) ha dimostrato i benefici di uno stretto controllo della glicemia per la prevenzione primaria dell’ictus cerebrale9. Sono tuttavia necessari ulteriori studi per chiarire in modo esaustivo tale relazione. Le linee guida redatte dall’ADA (American Diabetes Association) raccomandano un valore di HbA1c <7% e di glicemia a digiuno 7. Nei pazienti affetti da diabete sono generalmente fissati obiettivi più ambiziosi per ridurre la pressione arteriosa e l’iperlipidemia e prevenire, quindi, una malattia cardiovascolare, ictus compreso.

I farmacisti giocano un ruolo importante nell’assicurare che i propri pazienti affetti da diabete tengano monitorata la glicemia, effettuando in modo corretto l’autovalutazione (SMBG, Self-Monitoring of Blood Glucose). I pazienti sono tenuti a conoscere i propri livelli ottimali di glicemia e di HbA1c e a comprendere come questi valori influiscono sulla loro patologia. Occorre inoltre che siano consapevoli del fatto che i fattori di rischio aterogenici sono elevati in caso di diabete e ciò porta a un aumento significativo del rischio di ictus. Di conseguenza, per il controllo dei rischi assume particolare importanza l’adesione alla terapia farmacologica. I farmacisti possono inoltre consigliare e aiutare i pazienti ad adottare uno stile di vita più sano (vedi Tabella 1 di pag. 5).

 

Iperlipidemia

Il colesterolo LDL (Low-Density Lipoprotein, lipoproteine a bassa densità) rappresenta la causa principale della formazione della placca aterosclerotica. Gli inibitori dell’HMG-CoA reduttasi (statine) sono i farmaci di prima linea per ridurre il colesterolo LDL e, di conseguenza, garantiscono la maggiore riduzione del tasso di incidenza di ictus ischemico10,11.

Lo studio clinico JUPITER (Justification for the Use of Statins in Primary Prevention: An Intervention Trial Evaluating Rosuvastatin), pubblicato nel 2008, ha dimostrato una riduzione pari al 48% del tasso di ictus fatale e non fatale e un’incidenza non superiore di ictus emorragico nel gruppo in terapia con rosuvastatina rispetto a quello trattato con placebo12. I soggetti scelti per questo studio non avevano un’anamnesi positiva per malattie cardiovascolari, presentavano un colesterolo LDL all’inizio dello studio di 130 mg/dl e una proteina C-reattiva ≥2 mg/l. Oltre a ridurre il colesterolo LDL, le statine svolgono un’azione vasoprotettiva che può diminuire il rischio di ictus, compresa l’inibizione della risposta infiammatoria, la stabilizzazione delle placche aterosclerotiche e l’aumento del flusso ematico cerebrale8. I fibrati, come ad esempio il gemfibrozil e la niacina, associati a una dieta povera di grassi e a basso contenuto di colesterolo possono contribuire a ridurre il rischio di ictus. Nonostante gli effetti positivi riscontrati con questo trattamento farmacologico, una percentuale troppo bassa assume farmaci ipolipemizzanti per un periodo superiore ai 12 mesi13.

I farmacisti si trovano in una posizione chiave per poter monitorare l’adesione alla terapia farmacologica, in quanto fornire informazioni chiare e complete circa la riduzione del rischio di ictus può favorire una maggiore compliance terapeutica.

Le raccomandazioni del National Cholesterol Education Program/Adult Treatment Panel (NCEP/ATP) redatto dal National Heart, Lung, and Blood Institute (NHLBI) forniscono le linee guida basilari per la gestione dell’iperlipidemia. I farmaci somministrati per ridurre il rischio di ictus in pazienti iperlipidemici sono elencati nella Tabella 3.

 

Il tabagismo

Il tabagismo aumenta del 50% il rischio di sviluppare un ictus ischemico ed emorragico ed è associato al 12-14% di tutti i decessi per evento vascolare cerebrale1,8.

Sorprendentemente, il rischio di ictus legato all’esposizione al fumo passivo quasi raddoppia rispetto a quello associato al fumo attivo1. Da alcune relazioni redatte dal Surgeon General americano si evince che il rischio di morbilità è direttamente proporzionale alla durata del periodo di dipendenza dal fumo. Il tabagismo sembra essere un maggiore fattore di rischio per i soggetti sotto i 65 anni e per gli uomini14.

Le donne che assumono contraccettivi orali sono esposte a un rischio superiore di 2,1 volte rispetto alle donne che non fumano e non usano contraccettivi orali (gruppo di controllo). Rispetto al gruppo di controllo, il rischio di ictus aumenta di 7,2 volte per le donne che fumano e usano contraccettivi orali 1.

Fortunatamente smettere di fumare comporta un’immediata riduzione del rischio, che si allinea a quello dei non fumatori.1

Smettere di fumare completamente in modo repentino e improvviso è possibile ma difficile e i risultati sono in genere transitori. Per risolvere la dipendenza dal fumo si sono dimostrati efficaci trattamenti sia comportamentali sia farmacologici14.

Un singolo trattamento antifumo può garantire ottimi risultati, ma l’eventualità di una ricaduta è significativa. La combinazione fra il counseling antitabagico e la terapia farmacologica offre una soluzione più efficace e duratura15. Le linee guida redatte dal dipartimento della Salute e dei Servizi umani degli Stati Uniti (HHS, Health and Human Services) sottolineano il ruolo chiave giocato dal counseling antitabagico nei programmi di disassuefazione dal fumo. Un ulteriore aiuto per coloro che desiderano risolvere la propria dipendenza è offerto da vari servizi di assistenza e consulenza telefonica e dai gruppi di sostegno15.

La terapia sostitutiva con prodotti nicotinici rappresenta un approccio farmacologico di prima linea per la disassuefazione dal fumo15. I prodotti nicotinici (ad es. gomme da masticare, inalatori, pastiglie, cerotti transdermici) comprendono un’ampia varietà di formulazioni con una quantità controllata di nicotina.

Diminuire gradualmente nel tempo la quantità di nicotina permette al corpo di adattarsi a livelli sempre inferiori, riducendo il desiderio della sigaretta e minimizzando i sintomi legati all’astinenza da fumo. Altri farmaci, come ad esempio il bupropione e la vareniclina, costituiscono un trattamento di prima linea altamente efficace in grado sia di ridurre sia di alleviare i sintomi da astinenza. Il bupropione può essere somministrato in concomitanza con i prodotti nicotinici. La vareniclina blocca l’effetto della nicotina nei fumatori recidivi. In caso di intolleranza ai farmaci di prima linea o nel caso in cui questi non sortissero l’effetto desiderato, vengono presi in considerazione farmaci di seconda linea, come ad esempio la nortriptilina e la clonidina, che però non sono stati approvati per la disassuefazione dal fumo.

I farmacisti sono nella posizione di poter ridurre il rischio di incorrere in un primo episodio di ictus fornendo ai propri pazienti la letteratura relativa alla disassuefazione dal fumo, indicando le risorse di supporto a disposizione, discutendo i rischi con le donne che fanno uso di contraccettivi orali e consigliando l’approccio terapeutico più appropriato.

Obesità

Secondo i dati raccolti nel 2010 dal sistema di sorveglianza passi, in Italia il 32% degli adulti risulta in sovrappeso, mentre l’11% è obeso: complessivamente, quindi, più di quattro adulti su dieci (42%) sono in eccesso ponderale e ciò aumenta il rischio di incorrere in diverse patologie, compreso l’ictus16. Aiutare le persone a controllare il proprio peso è una delle principali sfide della sanità pubblica.

Gli scopi della terapia sono la riduzione del peso e il mantenimento di un peso corretto. Le linee guida dell’NHLBI (National Heart, Lung, and Blood Institute) raccomandano un approccio in due fasi distinte: 1) valutazione del livello di obesità e del rischio di complicazioni e 2) modifiche di regime alimentare, attività fisica, terapia comportamentale e, se necessario, trattamento farmacologico16.

L’indice di massa corporea (BMI, Body Mass Index) è uno criterio utilizzato per valutare lo stato di sovrappeso/obesità sulla base del peso e dell’altezza di una persona. Fornisce una misura, in chilogrammi per metro quadrato, del grasso corporeo e rappresenta un indicatore dell’obesità più accurato rispetto al solo peso. Un BMI pari a 18,5–24,9 kg/m2 è considerato nella norma, mentre un BMI di 25-29,9 kg/m2 rappresenta una situazione di sovrappeso e qualsiasi valore superiore a questo è considerato indice di obesità.

Un ulteriore strumento di valutazione è la misurazione della circonferenza addominale. Il grasso localizzato in sede intraddominale (grasso viscerale) costituisce un fattore di rischio per diverse patologie (ad es. diabete mellito di tipo 2, dislipidemie, ipertensione arteriosa e malattie cardiovascolari). Indipendentemente dal peso, una circonferenza vita > 102 cm negli uomini e > 88 cm nelle donne indica un rischio di malattia. Di conseguenza, si consiglia di misurare sia il BMI sia la circonferenza addominale all’inizio del trattamento e di monitorare attentamente l’efficacia dello stesso.

Tutti i pazienti sovrappeso o obesi traggono enormi benefici dalla riduzione di peso16.

Tuttavia, i soggetti sovrappeso/obesi affetti damalattie coronariche, aterosclerosi, diabete o apnea notturna sono esposti a un maggiore rischio di ictus. Il mantenimento di un peso sano è di fondamentale importanza per questi pazienti e per coloro che presentano tre o più dei seguenti fattori di rischio cardiovascolare: tabagismo, ipertensione, colesterolo LDL alto, elevati livelli di trigliceridi, colesterolo HDL (High-Density Lipoprotein, lipoproteina ad alta densità)basso, alterata glicemia a digiuno, anamnesi famigliare positiva per coronaropatie, età (45 anni o superiore per gli uomini, 55 anni o superiore per le donne).

La sedentarietà, spesso associata all’obesità, è un fattore di rischio indipendente per il diabete mellito di tipo 2, per le malattie cardiovascolari, compreso l’ictus, e per la mortalità precoce.

 

Riduzione del peso corporeo.L’obiettivo primario della terapia è la diminuzione del peso corporeo del 10% in un arco di tempo di 6 mesi16. Anche una perdita di peso moderata, se mantenuta, ha un effetto positivo, riducendo il rischio di ictus e di altre malattie. Tuttavia, una riduzione del peso corporeo troppo rapida porta a risultati difficili da mantenere nel tempo, oltre a causare uno squilibrio elettrolitico e la formazione di calcoli biliari.

Secondo le raccomandazioni dell’NHLBI la riduzione dell’apporto calorico di 500-1.000 kcal/giorno equivale a una perdita di peso pari a circa 0,5-1 kg alla settimana. Mano a mano che il peso diminuisce, il corpo richiede un minor apporto energetico (calorie) sia per l’attività fisica sia per il metabolismo a riposo e per molte persone diventa sempre più difficile aderire a una dieta dopo i primi 6 mesi. Purtroppo, è proprio quando i pazienti perdono le proprie motivazioni a continuare il regime dietetico che si rende indispensabile una maggiore riduzione di calorie per poter garantire un’ulteriore perdita di peso. È esattamente in questa fase che il paziente potrebbe trarre beneficio dal discutere ulteriormente con un professionista le scelte riguardanti l’alimentazione e l’attività fisica.

 

Mantenimento del peso raggiunto. Quando i cambiamenti del proprio stile di vita non sono sufficientemente efficaci, può essere preso in considerazione il trattamento farmacologico. Tuttavia, l’NHBLI sottolinea come i farmaci dimagranti siano esclusivamente da considerare come terapia aggiuntiva e siano considerati di secondaria importanza rispetto alla dieta ipocalorica, all’attività fisica e alle modifiche comportamentali16. I farmaci dimagranti vengono classificati come farmaci a breve termine e a lungo termine. La terapia a breve termine non è generalmente raccomandata per la fase di mantenimento. Di conseguenza, gli sforzi per mantenere il peso forma ed evitare le complicazioni correlate all’obesità possono durare all’infinito.

Tutti i farmaci a breve termine stimolano la parte simpatica del sistema nervoso centrale16. La perdita di peso si ottiene inibendo l’appetito e aumentando il dispendio energetico attraverso la variazione del tasso metabolico basale. Attualmente di questi farmaci soppressori dell’appetito ad azione centrale nessuno si trova in commercio in Italia. La dexfenfluramina, la fenfluramina e la fentermina sono state associate a valvulopatie cardiache e al rischio raro, ma grave, di ipertensione polmonare per cui sono state ritirate dal commercio. L’orlistat è il solo farmaco dimagrante, approvato per l’uso a lungo termine, disponibile. Impedisce l’assorbimento gastrointestinale dei grassi inibendo la lipasi pancreatica. La somministrazione di orlistat deve essere monitorata in quanto può indurre possibili disfunzioni epatiche. Un altro farmaco dimagrante a lungo termine ad azione centrale, la sibutramina, è stato tolto dal mercato, perché associato a un incremento del rischio di attacco cardiaco e ictus17.

Fibrillazione atriale

Dei circa 200.000 casi di ictus cerebrale che si verificano ogni anno in Italia, il 20% (circa 40.000 casi) è provocato da fibrillazione atriale (FA). La fibrillazione atriale è la più comune fra le aritmie cardiache, con una prevalenza dello 0,5% nella popolazione adulta. Il rischio di esserne affetti aumenta con l’età: la percentuale dei pazienti affetti sale al 5% oltre i 65 anni18. L’incidenza dell’ictus risulta essere cinque volte superiore in pazienti con FA e cresce con l’aumentare dell’età. Circa l’1,5% dei pazienti con FA di età compresa fra i 50 e i 59 anni subisce un ictus, contro il 23,5% di soggetti di età compresa fra gli 80 e gli 89 anni19.

La fibrillazione atriale è caratterizzata da una completa irregolarità dell’attivazione elettrica degli atri, le cui contrazioni vengono sostituite da movimenti caotici, inefficaci ai fini della propulsione del sangue nei ventricoli. Ciò porta a un eccessivo accumulo e ristagno del sangue con la conseguente formazione di trombi che, se si staccano, possono causare eventi tromboembolici, ictus compreso.

Il trattamento antitrombotico ha dimostrato ottimi risultati in termini di riduzione del rischio di ictus. Lo score CHADS2 è un sistema di stratificazione del rischio di ictus in pazienti con FA ed è utilizzato per determinare la terapia anticoagulante più appropriata. L’acronimo CHADS2 identifica i fattori di rischio di ictus: Congestive heart failure (insufficienza cardiaca congestizia), Hypertension (ipertensione), Age (età) >75 anni, Diabetes (diabete) e prior Stroke (storia di ictus) o TIA (Transient Ischemic Attack, attacco ischemico transitorio). Ad ogni fattore di rischio viene attribuito un punto e due punti alla storia di ictus e TIA. Maggiore è il risultato ottenuto con lo score CHADS2, maggiore è il rischio di ictus1. Il punteggio attribuito con questo sistema va da 0 a 6, dove 0 punti = rischio basso, 1 punto = rischio moderato, ≥2 punti = rischio elevato.

Se da una parte l’incidenza di ictus aumenta con l’età nei pazienti affetti da FA, dall’altra la terapia anticoagulante aumenta il rischio di emorragia: in genere, si decide di adottare la terapia anticoagulante se il rischio di ictus eccede il rischio di emorragia. Il warfarin rappresenta il farmaco d’elezione per la maggior parte dei pazienti con FA, mentre i soggetti con un rischio inferiore vengono trattati con acido acetilsalicilico o, in alternativa, con clopidogrel1. Rispetto alla monoterapia con acido acetilsalicilico, la terapia combinata di acido acetilsalicilico e clopidogrel dà risultati migliori in termini di riduzione di rischio di ictus ma aumenta la possibilità di sviluppare un’emorragia.

In caso di rischio di ictus moderato, i pazienti possono assumere warfarin o, qualora non fossero eleggibili per questo farmaco, possono essere sottoposti a una terapia combinata con acido acetilsalicilico e clopidogrel. Se il rischio di ictus è elevato, la scelta farmacologica ricade sulla monoterapia con warfarin o sulla combinazione di warfarin e acido acetilsalicilico o ancora sull’alternativa di acido acetilsalicilico e clopidogrel. Si deve tenere presente che la combinazione di questi farmaci aumenta il rischio di emorragia e, di conseguenza, si richiede un’attenta attività di counseling del paziente.

Il rapporto internazionale normalizzato (INR, International Normalized Ratio) è un metodo standardizzato ideato dall’OMS per valutare il grado di coagulabilità del sangue. I pazienti affetti da FA in terapia con warfarin di solito eseguono il controllo dell’INR con cadenza mensile. Per la maggior parte dei pazienti, il valore ottimale di INR è compreso fra 2 e 3. Un valore più basso è associato a un rischio di coagulazione, mentre un valore più alto indica rischio di emorragia.

Il 19 ottobre 2010 è stato approvato dalla FDA il dabigatran, un inibitore diretto della trombina, per la prevenzione dell’ictus nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare20. Questo farmaco si trova in commercio in Italia dal 2008; la sua indicazione è però limitata alla prevenzione primaria di episodi tromboembolici in pazienti adulti sottoposti a chirurgia sostitutiva elettiva totale dell’anca o del ginocchio. Il dabigatran, come il warfarin, inibisce la formazione di trombi, ma non richiede il controllo mensile dell’INR4. In un recente studio è stata valutata l’incidenza di ictus in pazienti in terapia con warfarin (INR 2-3) e dabigatran (110 mg o 150 mg due volte al giorno)21.L’incidenza di ictus e di complicanze emorragiche maggiori era simile nei gruppi trattati con dabigatran 110 mg o warfarin. La somministrazione di dabigatran 150 mg ha dimostrato un’azione preventiva superiore contro l’ictus rispetto al warfarin, ma è stata associata a una più elevata incidenza di emorragia. Sebbene non sia stato identificato alcun legame causale, l’incidenza dell’infarto del miocardio è risultata superiore nei due gruppi trattati con dabigatran rispetto al gruppo in terapia con warfarin. Sono dunque necessari ulteriori approfondimenti. Si è inoltre notata una maggiore incidenza di dispepsia nei gruppi trattati con dabigatran rispetto al gruppo in terapia con warfarin ma, in generale, la terapia è stata ben tollerata dalla maggior parte dei pazienti.

Nell’eventualità di un sovradosaggio di dabigatran non esiste a oggi nessun antidoto, al contrario di quanto avviene con il warfarin, il cui sovradosaggio può essere trattato con vitamina K. Di conseguenza, in caso di complicanze emorragiche il paziente deve essere sottoposto a trasfusione di sangue o plasma fresco congelato.

Nonostante i problemi legati alla somministrazione di dabigatran, questo farmaco rappresenta un’alternativa per i pazienti che non tollerano la terapia con warfarin.

I compiti del farmacista

Al fine di aiutare i propri pazienti a comprendere meglio i fattori di rischio per l’ictus il farmacista può:

•   discutere con il paziente le ragioni per le quali sia necessario assumere un determinato farmaco e le modalità di somministrazione;

•   convincere il paziente della necessità di assumere i farmaci in modo costante ed incoraggiarlo a discutere eventuali effetti collaterali con il proprio medico prima di decidere l’interruzione della terapia;

•   informare il paziente che esistono diverse opzioni farmacologiche nel caso in cui il costo del farmaco, gli effetti collaterali o la posologia compromettessero l’aderenza alla terapia;

•   ammonire il paziente a non cambiare da solo la posologia del farmaco a meno che non abbia ricevuto chiare indicazioni dal proprio medico;

•   chiedere al paziente se assume già altri farmaci, in modo da avere una visione generale della farmacoterapia in atto e poter fornire raccomandazioni adeguate;

•   controllare l’assunzione di eventuali farmaci da banco o prodotti fitoterapici e aiutare il paziente a scegliere la soluzione più adeguata;

•    controllare la compliance al regime terapeutico e fornire le informazioni necessarie;

•    ammonire il paziente a non assumere acido acetilsalicilico qualora vi sia il sospetto di ictus, in quanto potrebbe trattarsi di ictus emorragico e consigliare invece di chiamare immediatamente il 118;

•  consigliare e aiutare il paziente ad apportare modifiche salutari al proprio stile di vita.

 

Conoscere l’ictus

L’ictus rimane per la maggior parte delle persone una patologia quasi sconosciuta, ma questa situazione può essere modificata proprio con l’aiuto dei farmacisti. Malgrado il diverso grado di istruzione e conoscenza dei pazienti, il farmacista non deve mai dare per scontato che chi si rivolge a lui sia in grado di comprendere le informazioni mediche in modo adeguato. Tra gli obiettivi elencati nel documento ufficiale Healthy People 2020, il dipartimento della Salute e dei Servizi umani degli Stati Uniti (HHS, Health and Human Services) ha proposto di aumentare la percentuale di adulti sopra i 20 anni che sappiano identificare e gestire prontamente i segni precoci dell’ictus22. Esistono diversi siti Web che offrono informazioni relative all’ictus sia per i professionisti del settore sia per il pubblico. La NSA (National Stroke Association) fornisce informazioni chiare ed esaustive sul sito www.stroke.org, compresa una valutazione dell’ictus facile da memorizzare (vedi Figura 1)23.

Al fine di migliorare le possibilità di recupero dopo un ictus, è importante che si

riconoscano i sintomi, si chiami tempestivamente il 118 e si utilizzi il servizio di pronto

intervento per trasportare il paziente in ospedale. Il farmacista dovrebbe inoltre sensibilizzare il pubblico sull’importanza dei seguenti sintomi (dalla NSA):

•   improvviso torpore o debolezza al volto, al braccio o alla gamba – localizzati soprattutto in un solo lato del corpo;

•   improvvisa confusione; difficoltà di parola o di comprensione;

•   improvvisi disturbi della vista che interessano uno o entrambi gli occhi;

•   improvvisi problemi di deambulazione; vertigini, perdita di equilibrio e di coordinazione;

•   improvvisa cefalea forte non giustificata.

 

Occorre tenere presente che il pubblico è in grado di memorizzare solo un limitato numero di informazioni in relazione a un argomento medico e, di conseguenza, è importante riuscire ad essere precisi e concisi. Nella comunità, il farmacista gioca un ruolo prevalente nel processo informativo relativo ai fattori di rischio per l’ictus, alla prevenzione, al riconoscimento dei sintomi e alla necessità di richiedere un intervento medico immediato.

 

Conclusioni: il ruolo del farmacista

Nelle strutture extraospedaliere sanitarie o socio-sanitarie, i farmacisti hanno già contribuito positivamente al trattamento dei pazienti con fattori di rischio modificabili per ictus24-27. Tuttavia, con 200.000 italiani che soffrono ogni anno per la prima volta di un evento di questo tipo, esiste il forte bisogno che i farmacisti presenti sul territorio educhino il pubblico in merito ai fattori di rischio, alla prevenzione dell’ictus primario e alla necessità di un pronto intervento di emergenza. Cosa accadrebbe se i farmacisti cogliessero l’opportunità di educare i propri pazienti alla prevenzione dell’ictus? E se gli interventi guidati dal farmacista incoraggiassero davvero i pazienti a giocare un ruolo attivo nel miglioramento della propria salute? Cosa succederebbe se la popolazione vivesse più a lungo, in buona salute e la morbilità e mortalità legate all’ictus diminuissero?

In realtà, il coinvolgimento del farmacista può migliorare la prevenzione della malattia e del grado di invalidità a essa correlato, riducendo la necessità di visite e trattamenti medici, abbassando i costi sanitari e, cosa più importante, migliorando la qualità della vita dei pazienti. Sfruttando le tante risorse disponibili, i farmacisti dovrebbero acquisire tutte le conoscenze necessarie per perseguire questo obbiettivo. Certamente non sarà facile, perché spesso i farmacisti non ospedalieri devono destreggiarsi contemporaneamente con un alto numero di prescrizioni, pratiche burocratiche, consulenza ai pazienti, gestione delle scorte di magazzino e con una miriade di altri compiti, mentre tempo, personale e altre risorse scarseggiano28. Tuttavia, la creatività e la volontà di ciascuno di migliorare la salute dei propri clienti possono fornire la spinta per vincere queste sfide. Sessioni educative sull’uso dei farmaci, counseling multidisciplinare, programmi specifici e spazi dedicati all’interno delle farmacie possono fornire varie opportunità di educazione. I farmacisti sono sempre disponibili e sono gli operatori sanitari più accessibili per il pubblico29,30, con la possibilità di aumentare questa accessibilità per migliorare le conoscenze dei pazienti in materia di prevenzione e trattamento dell’ictus.