2010-10

La prevenzione e il trattamento delle lesioni da pressione

Revisione scientifica: Dott.ssa Angela Peghetti Presidente AISLeC – Società Scientifica per lo studio delle lesioni cutanee - Bologna

Autori: Goldina Ikezuagu Erowele, PharmD, Clinical Pharmacy Specialist, Formulary Management & Pharmacoeconomics Services, Harris County Hospital District, Houston, Texas

Ruth Ebiasah, PharmD, MS, Clinical Pharmacy Specialist, Palliative Care & Oncology, Holy Cross Hospital, Silver Spring, Maryland

Scopo dell’attività:

fornire una panoramica relativa all’eziologia, fisiopatologia, diagnosi e trattamento delle lesioni da pressione e del paziente portatore delle stesse.

Obiettivi formativi:

Dopo aver completato la seguente monografia di aggiornamento, il farmacista dovrebbe essere in grado di:

  • descrivere l’eziologia e la fisiopatologia delle lesioni da pressione
  • discutere i molteplici fattori di rischio e la stadiazione delle lesioni da pressione
  • identificare le strategie per la prevenzione delle lesioni da pressione e le opzioni terapeutiche utili a un trattamento terapeutico efficace e appropriato delle stesse
  • esaminare il potenziale contributo del farmacista nella cura dei pazienti a rischio o portatori di lesioni da pressione

 

Keypoint: Nel 2007 il National Ulcer Advisory Panel (NPUAP) ha ridefinito le lesioni da pressione (LdP) come danni localizzati della cute e/o dei tessuti sottostanti che si sviluppano generalmente in corrispondenza delle prominenze ossee come risultato di una pressione prolungata spesso in associazione a fenomeni di stiramento e/o frizione

Keywords: Ulcere da pressione definizione, ulcere da pressione eziologia, piaghe da decubito

 

Nel 2007 il National Ulcer Advisory Panel (NPUAP) ha ridefinito le lesioni da pressione (LdP) come danni localizzati della cute e/o dei tessuti sottostanti che si sviluppano generalmente in corrispondenza delle prominenze ossee come risultato di una pressione prolungata spesso in associazione a fenomeni di stiramento e/o frizione1. I primi riferimenti documentati riferibili alle LdP risalgono al 400 a.C. a opera di Ippocrate; successivamente, nel 1873, Paget nelle sue lezioni relative alle ulcere da allettamento disse che le LdP “scoppiano” al di sotto della cute intatta.

Questo tipo di danno (definito anche ulcera da pressione, piaga, ulcera o lesione da decubito2), benché largamente prevenibile, costituisce un importante fenomeno nei reparti di ricovero ospedaliero e sul territorio sia per il numero di pazienti coinvolti sia per i tempi e le risorse necessarie per il trattamento del problema.

Prevalenza

Keypoint: La prevalenza delle LdP è stata ampiamente descritta in diversi contesti sanitari quali le lungodegenze,le strutture per acuti e di area critica, le aree di chirurgia generale e specialistica.

Keywords: Lesioni da pressione prevalenza, lesioni da pressione fattori di rischio, fattori di rischio intrinseci, fattori di rischio estrinseci, forza pressoria, forza di frizione, forza di stiramento

La prevalenza delle LdP è stata ampiamente descritta in diversi contesti sanitari quali le lungodegenze, le strutture per acuti e di area critica, le aree di chirurgia generale e specialistica. Negli Stati Uniti la prevalenza è stata stimata variabile da 1,3 a 3 milioni3; questa variabilità dipende dalle caratteristiche della popolazione studiata e dal contesto assistenziale esaminato.

Secondo l’NPUAP i tassi vanno dal 10 al 18% nei reparti per acuti, dal 2,3 al 28% nelle aree delle lungodegenze e dallo 0 al 29% nell’ambito dell’assistenza domiciliare4.

Altri dati globali riferiti ai pazienti ricoverati nel setting ospedaliero riportano tassi di prevalenza che vanno dal 3 al 14%4.

In Italia i dati disponibili provengono da alcuni studi pubblicati negli ultimi venti anni.

Due studi condotti dall’AISLeC (Associazione Infermieristica per lo Studio delle Lesioni Cutanee) negli anni ’90 su 2.584 e 5.554 utenti hanno riportato, rispettivamente, una prevalenza del 13,2 e del 12,9%5.

Uno studio eseguito nella regione Friuli Venezia Giulia ha evidenziato una prevalenza del 17,6%6 mentre uno studio più recente condotto in Emilia-Romagna in strutture sanitarie per anziani ha evidenziato una prevalenza di LdP del 15,7%7: questi dati sono sovrapponibili a quelli riportati dalla letteratura internazionale, che indica tassi oscillanti tra il 2,6 e il 24%8. Uno studio longitudinale prospettico ha dimostrato che il 17% dei pazienti accolti nelle nursing home presentava una lesione da pressione al momento del ricovero9 mentre tra coloro che non presentavano ulcere al momento dell’ammissione, il rischio di svilupparne una durante il primo anno era del 13%, tale stima saliva al 21% dal secondo anno2,5.

Un altro studio ha evidenziato che la probabilità di sviluppare una LdP nei pazienti sottoposti a intervento chirurgico è cinque volte maggiore nei pazienti di età superiore ai 70 anni rispetto a coloro che hanno una età inferiore ai 60 anni10.

Per il Sistema Sanitario Nazionale il costo annuale è stimato essere superiore a 1,5 miliardi di euro. Il maggior costo del trattamento è costituito dal tempo di assistenza necessario per cambiare le medicazioni e se si utilizzassero medicazioni appropriate, si potrebbe ridurre il costo sanitario totale almeno dell’80%11,12.

Fattori di rischio

Keypoint: L’ulcera da pressione è la conseguenza diretta di una elevata e/o prolungata compressione associata o meno a forze di taglio o stiramento

Keyword:

L’ulcera da pressione è la conseguenza diretta di un’elevata e/o prolungata compressione associata o meno a forze di taglio o stiramento; queste causano uno stress meccanico sui tessuti e la strozzatura dei vasi sanguigni con una conseguente riduzione dell’apporto di ossigeno e di sostanze nutritive ai tessuti compressi che in conseguenza di ciò, vanno incontro a ipossia e necrosi13.

I principali fattori di rischio per lo sviluppo di lesioni da pressione vengono generalmente classificati in sistemici o locali (vedi Tabella 1).

Tabella 1

Fattori di rischio per le lesioni da pressione

Sistemici

Età

Patologie croniche (es. diabete mellito, insufficienza vascolare periferica, ecc.)

Compromissioni motorie e limitazione delle attività (es. da malattia di Parkinson, demenza senile, ictus e fratture)

Incontinenza (sia urinaria sia fecale)

Malnutrizione

Deficit sensoriali (da neuropatie o danni cerebrovascolari)

Comorbilità

Locali

Pressione

Frizione

Attrito

Umidità

Fonti bibliografiche 12,13

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fattori sistemici

Si definiscono fattori sistemici quelli che, dall’interno, influiscono sullo stato d’integrità della cute. Questi fattori includono:

Ipomobilità o immobilità: tutti i pazienti allettati o ipomobili sono a rischio di sviluppare LdP. Le limitazioni motorie che rallentano i movimenti o rendono impossibile la deambulazione rappresentano il principale fattore di rischio per lo sviluppo di lesioni da pressione.

Età avanzata:i pazienti di età avanzata, superiore a 75 anni, possono essere maggiormente a rischio di sviluppare LdP; ciò è correlato soprattutto alle modificazioni che la cute subisce con l’aumento dell’età14. Queste modificazioni nel tempo sono di tipo strutturale, fisiologico, vascolare e immunologico e riducono le proprietà di barriera agli agenti esterni, rallentando le capacità di risposta alle stimolazioni meccaniche soprattutto quando si sviluppano forze di frizione e taglio, come nel caso di un paziente che scivola nel letto quando si trova nella posizione seduta o semiseduta.

Deficit sensoriali: alcune condizioni cliniche che riducono la percezione sensoriale/tattile con conseguente alterata percezione del dolore o riduzione del livello di coscienza (es. malattia di Parkinson o di Alzheimer, diabete mellito, ictus, traumi al midollo spinale) sono correlate allo sviluppo di LdP. Queste situazioni cliniche possono ridurre la mobilità e/o ridurre il controllo dei movimenti: il tremore collegato al morbo di Parkinson, per esempio, può esacerbare l’attrito sul piano di appoggio favorendo la formazione di lesioni cutanee14. Anche alcune terapie farmacologiche che agiscono sul livello di coscienza o sulla percezione sensoriale (ad esempio sedativi, ipnotici, analgesici) possono contribuire allo sviluppo di LdP.

Statonutrizionale: una dieta povera dei principali elementi nutritivi e la disidratazione possono contribuire allo sviluppo d’ipoalbuminemia, anemia, carenza di vitamine o oligoelementi (ad esempio, vitamina C, zinco), con conseguente compromissione della tolleranza dei tessuti e della capacità di riparazione dell’ulcera14.

Comorbilità: qualsiasi malattia che altera o diminuisce la perfusione tessutale (ad esempio cardiopatia ischemica, insufficienza vascolare periferica, insufficienza renale, deficit respiratori o ipotensione) può contribuire allo sviluppo di ulcere da pressione.

Incontinenza: l'incontinenza fecale o urinaria può esporre il paziente a situazioni di prolungata umidità: l’umidità provoca la macerazione della cute e il passaggio dei batteri attraverso le pliche cutanee esponendo la cute stessa a stati infiammatori. Ciò indebolisce la resistenza cutanea e favorisce la rottura degli strati dermoepidermici, predisponendo allo sviluppo delle ulcere da pressione. L'umidità da incontinenza può aumentare di cinque volte il rischio di ulcere da pressione15.

 

Fattori locali

La maggior parte delle lesioni da pressione si sviluppa quando, per un periodo di tempo prolungato, si verifica una compressione dei tessuti molli posti tra una prominenza ossea e una superficie esterna, come ad esempio il materasso: quando la forza comprimente fra superficie corporea e piano d'appoggio è più intensa della pressione del sangue relativa al distretto arteriolo-capillare compresso, si determina una condizione d’ischemia permanente; questo problema viene esacerbato quando, in contemporanea, i tessuti sono soggetti a forze di attrito e forze di taglio.

Pressione:la pressione viene definita come una forza applicata in maniera perpendicolare a una specifica superficie; nel processo fisiopatologico relativo alla formazione delle lesioni da pressione, lo sviluppo dell’ulcera si verifica quando la forza comprimente fra superficie corporea e piano di appoggio è più intensa della pressione sanguigna nel relativo distretto ematico. Ciò si verifica quando su un’area cutanea generalmente localizzata in prossimità delle prominenze ossee, si applica una forza per un periodo di tempo sufficientemente prolungato; in situazioni normali, i tessuti sono in grado di tollerare l'ipoperfusione quando questa viene applicata per un breve periodo di tempo, anche nel caso di forze pressorie relativamente alte; se la pressione viene, però, applicata per periodi prolungati, l’ipoperfusione può sviluppare una serie di reazioni a cascata che generano nell’ordine ipossia, acidosi, emorragia interstiziale (questa è responsabile della comparsa di eritema fisso), edema (che peggiora lo stato di compressione), accumulo di cataboliti tossici e necrosi cellulare15.

Forze di stiramento o di taglio: le forze di stiramento e di taglio si sviluppano in quanto i vari segmenti corporei tendono a "scivolare" da una posizione a un'altra se non vengono sostenuti da una corretta postura; questo meccanismo provoca, a livello della zona cutanea interessata una pressione tangenziale che provoca lo stiramento, l’ostruzione e il troncamento dei vasi relativi al distretto coinvolto. Localmente si possono sviluppare microtrombosi e stravasi con sviluppo di necrosi tissutale15. Questo tipo di meccanismo è favorito da specifiche posture; ad esempio, quando il paziente viene posizionato nella postura di Flower (posizione semiseduta), se il piano di appoggio non “abbraccia” completamente il soma della persona e la persona stessa ha la tendenza a scivolare, le forze di trazione e stiramento che si sviluppano a livello sacrale fanno si che la cute tenda ad aderire alla superficie del piano di appoggio mentre i tessuti profondi e le ossa tendono a scivolare in avanti provocando uno stiramento tra gli strati tissutali profondi e gli stati cutanei, soprattutto in presenza di cute umida come nel caso d’incontinenza o sudorazione profusa. Questi meccanismi abbassano notevolmente la quantità di forza pressoria necessaria a creare la compressione sui tessuti e quindi potenziano l’effetto dannoso del fattore pressione.

Attrito o frizione: è il meccanismo che si realizza quando due superfici che si spostano, strisciano rimanendo a contatto mentre scorrono l'una rispetto all'altra. La forza esercitata durante lo spostamento genera uno sfregamento che produce calore. Quando quest’azione viene esercitata tra tessuto cutaneo e superficie di appoggio, provoca la rimozione del film idrolipidico che protegge lo strato corneale e gli strati superficiali della cute, esponendo la stessa a possibili ulteriori episodi lesivi15: ciò è maggiormente possibile, ad esempio, durante le manovre di mobilizzazione dei pazienti allettati o ipomobili.

La cura della cute a scopo preventivo

Per mantenere la massima vitalità della cute, le sostanze irritanti che quotidianamente vengono prodotte come scarti metabolici, secreti ed escreti, dovrebbero essere rimosse frequentemente, soprattutto in situazioni particolari quali incontinenza urinaria e/o fecale, ipersudorazione, esposizione ai fluidi di drenaggio della ferita chirurgica e ipersalivazione: la detersione cutanea, in questi casi, limita l’irritazione chimica prodotta dal contatto prolungato. Bisogna però considerare che durante il processo di pulizia vengono rimosse alcune delle barriere naturali della cute: ciò rende la pelle più secca e vulnerabile alle sostanze irritanti esterne. È quindi indicato che durante la detersione routinaria della cute e/o in caso di contaminazione vengano utilizzati agenti detergenti non aggressivi, a pH bilanciato, non sensibilizzanti e acqua tiepida (non eccessivamente calda/fredda)16,17.

Come già evidenziato, la cute umida è fragile e maggiormente predisposta alla formazione di lesioni da frizione e stiramento (soprattutto in concomitanza con le operazioni di detersione) e tende ad aderire alle lenzuola, potenziando la possibilità di lacerarsi durante gli spostamenti del paziente; inoltre, è più suscettibile alle irritazioni, alle eruzioni cutanee e alle infezioni micotiche17. Quando la sorgente di umidità non può essere tenuta sotto controllo, si raccomanda l’uso di barriere protettive e di prodotti assorbenti l’umidità17. Tra le misure protettive, le linee guida sono concordi nel suggerire l’utilizzo di prodotti barriera, quali ad esempio la pasta all’acqua o all’ossido di zinco.

Alcuni studi hanno evidenziato l’associazione tra cute secca, che si sfalda e squama, e l’insorgenza di lesioni da pressione: questo è dovuto al fatto che una ridotta idratazione riduce l’elasticità cutanea e che la secchezza aumenta il rischio di sviluppare fissurazioni e lesioni18. Ciò evidenzia che un’adeguata idratazione dello strato corneo è utile per proteggere dalle lesioni meccaniche. A tale scopo si è dimostrato efficace l’utilizzo di soluzioni idratanti non contenenti alcool o suoi derivati, quali ad esempio olio di mandorle, crema base, olio vitaminizzato. Questi dovrebbero essere applicati delicatamente alle aree di secchezza, facendo attenzione a non sfregare o massaggiare aree situate sulle prominenze ossee; anche se il massaggio è stato praticato per decenni al fine di stimolare la circolazione e procurare un senso di comfort e benessere al paziente, alcuni studi hanno evidenziato che i massaggi sulle prominenze ossee possono essere lesivi: sono stati osservati un rallentamento del flusso ematico correlato a un profondo trauma tissutale e un calo significativo della temperatura cutanea con degenerazione del tessuto18.

 

Fisiopatologia della riparazione tissutale

La cute è costituita da tre strati principali: l'epidermide (strato più esterno), il derma (tessuto connettivo in cui trovano sede nervi, vasi sanguigni e linfatici) e lo strato sottocutaneo (composto prevalentemente da tessuto adiposo). La riparazione tissutale è un processo naturale del corpo che coinvolge diversi passaggi complessi; infatti, la guarigione di una lesione cutanea viene generalmente suddivisa in fasi per permettere la descrizione semplificata dei vari fattori che intervengono nel processo di riparazione; tuttavia, i meccanismi riparativi si sovrappongono, per cui generalmente è possibile che la stessa lesione mostri in contemporanea le diverse fasi di guarigione.

Le suddette fasi possono essere quindi distinte in maniera macroscopica in: emostasi/infiammazione, proliferazione e riepitelizzazione/rimodellamento18.

L’emostasi si sviluppa come prima risposta al danno, al fine di proteggere il corpo da un’eccessiva perdita di sangue e da un’aumentata esposizione alla contaminazione batterica.

L’infiammazione o fase infiammatoria corrisponde a un processo che prepara il letto della lesione per la guarigione mediante il meccanismo fisiologico dell’autolisi. È caratterizzata dalla disintegrazione o liquefazione dei tessuti o cellule per azione dei leucociti e degli enzimi. In questa fase compaiono macrofagi e cellule mononucleate dotate di capacità fagocitica e quindi attive nel ripulire la ferita/lesione dalla fibrina e dai residui cellulari e dai detriti eventualmente depositati.

Nella fase proliferativa s’innesca il meccanismo di riempimento e di chiusura del letto della lesione che sono caratterizzati da:

  • neoangiogenesi che consiste nella creazione di una rete di capillari e arteriole;
  • granulazione che consiste nella produzione di tessuto connettivo;
  • contrazione in cui i margini della lesione si contraggono, tendendosi uno verso l’altro (per diminuire le dimensioni della lesione stessa).

 

Il rimodellamento consiste nella maturazione della lesione: questo processo porta alla formazione di una cicatrice solida in circa due settimane.

Va inoltre sottolineato il fatto che in presenza di perdita di sostanza, il nuovo tessuto che si forma non riprenderà mai le caratteristiche del tessuto originario, in quanto la cavità viene riempita di tessuto connettivo indifferenziato: questo presupposto comporta che un individuo con anamnesi positiva per lesioni da pressione, indipendentemente dalla valutazione con la Braden, sia da considerare comunque a rischio di sviluppo di nuove lesioni.

Stadiazione delle lesioni da pressione

La valutazione di una lesione da pressione comprende molti aspetti, in quanto una singola caratteristica non fornisce i dati necessari per definirne in maniera accurata l’eziologia, l’adeguatezza del trattamento o il monitoraggio della sua evoluzione.

Generalmente le Linee Guida di riferimento, gli studi condotti nel settore e gli esperti consigliano di valutare la sede della lesione (di solito le sedi più frequenti sono la regione sacrale e i talloni, ma altre sedi sono i gomiti, i trocanteri, le scapole, l’occipite), la profondità, le dimensioni, lo stadio, le condizioni dei margini, la presenza di fistole o di tratti sottominati, le caratteristiche del tessuto necrotico e dell’essudato, i tessuti circostanti, la cute perilesionale, la situazione clinica e psicosociale del paziente, la presenza d’infezione e quando la lesione guarisce, le caratteristiche del tessuto di granulazione e della riepitelizzazione. Anche la presenza di dolore rappresenta un aspetto da valutare, anche se alcune volte è uno degli aspetti trascurati nella fase sia di valutazione sia di trattamento19.

Attualmente la letteratura di riferimento fornisce diverse scale per la valutazione delle lesioni da pressione: quelle maggiormente utilizzate sono la scala NPUAP (National Pressure Ulcer Advisory Panel), che ci deriva dal contesto statunitense, e la scala EPUAP (European Pressur Ulcer Advisory Panel) che ci deriva dal contesto europeo.

Le due scale sono pressoché sovrapponibili, si differenziano sostanzialmente per il fatto che nella scala NPUAP, recentemente aggiornata (febbraio 2007), la stadiazione prevede una definizione specifica del sospetto danno dei tessuti profondi e dell’ulcera non stadiabile.

Sospetto Danno dei Tessuti Profondi: area localizzata, di color porpora o rosso scuro, di cute integra o vescica a contenuto ematico, secondaria al danno dei tessuti molli sottostanti dovuto a pressione e/o forze di stiramento. L’area potrebbe essere preceduta da tessuto che appare dolente, duro, cedevole, edematoso, più caldo o più freddo quando comparato al tessuto adiacente. Il danno dei tessuti profondi potrebbe essere difficile da individuare nelle persone con pelle scura. L’evoluzione potrebbe includere una sottile vescica su un letto di lesione di colore scuro. La lesione potrebbe evolvere ed essere ricoperta da un’escara sottile (placca di tessuto alterato che si forma nel momento in cui un processo necrotizzante colpisce la cute o le mucose; si caratterizza per dura consistenza, colore nero e incassamento nei tessuti sottostanti; quando cade, lascia un’ulcerazione profonda). L’evoluzione potrebbe esporre in tempi rapidi ulteriori strati di tessuto, anche applicando un trattamento ottimale.

Stadio I: cute integra con eritema non reversibile alla digito-pressione di un’area localizzata solitamente in corrispondenza di una prominenza cutanea. Nei soggetti con pelle scura il reperimento di questo dato potrebbe essere difficoltoso; andrebbero valutate le modificazioni del colore della cute in corrispondenza delle prominenze ossee, in quanto questo potrebbe essere differente dall’area adiacente. L’area potrebbe essere dolente, dura, cedevole, più calda o più fredda quando comparata al tessuto adiacente. Può indicare i soggetti “a rischio” di sviluppare una lesione profonda.

Stadio II: perdita a spessore parziale del derma con il letto della lesione di color rosso rosa, privo di tessuto necrotico. Potrebbe anche presentarsi sotto forma di una vescica a contenuto sieroso intatta oppure aperta/rotta. Si presenta come un’ulcera superficiale, lucida o asciutta, priva di tessuto necrotico o ematoma, in quanto l’ematoma indica un sospetto danno a carico dei tessuti profondi.

Stadio III: perdita di tessuto a tutto spessore. Può essere presente tessuto necrotico, che però non nasconde la profondità della perdita tessutale. Potrebbe includere sottominatura e tunnelizzazione. La profondità di un’ulcera da pressione di stadio III varia secondo la regione anatomica. Le narici del naso, l’orecchio, l’occipite e i malleoli non hanno tessuto sottocutaneo e l’ulcera di Stadio III può essere superficiale. Al contrario, aree con significativa adiposità possono sviluppare ulcere da pressione di Stadio III estremamente profonde. Ossa/tendine non sono visibili o direttamente palpabili.

Stadio IV: perdita di tessuto a tutto spessore con esposizione di osso, tendine o muscolo. Potrebbero essere presenti tessuto necrotico o escara su alcune parti del fondo della lesione. Spesso include sottominatura e tunnelizzazione. La profondità di un’ulcera da pressione di stadio IV varia secondo la regione anatomica. Le narici del naso, l’orecchio, l’occipite e i malleoli non hanno tessuto sottocutaneo e queste ulcere possono essere superficiali. Le ulcere da pressione di Stadio IV possono estendersi a muscoli e/o strutture di supporto (ad es. fascia, tendine o capsula articolare), rendendo probabile l’osteomielite. Ossa e tendine sono esposti, visibili o direttamente palpabili.

 

Non Stadiabile: Perdita di tessuto a tutto spessore in cui il fondo dell’ulcera è nascosto da tessuto necrotico (di color giallo, beige, grigiastro, verde o marrone) e/o escara (di color beige, marrone o nero) presenti nel letto della lesione. Fino a quando lo tessuto necrotico e/o l’escara non vengono rimossi esponendo la base dell’ulcera, la reale profondità, e di conseguenza lo stadio, non possono essere determinati. Un’escara stabile (secca, adesa, integra, senza eritema o fluttuazione), localizzata sui talloni, ha la funzione di “naturale (biologica) copertura del corpo” e non dovrebbe essere rimossa.

 

Opzioni di trattamento

Keypoint: Il trattamento immediatamente efficace nella cura di una lesione da pressione consiste nella rimozione della causa principale, cioè nella riduzione della pressione a cui sono sottoposti i tessuti. La gestione delle lesioni da pressione dovrebbe prevedere l’uso di medicazioni in grado di creare un microambiente umido.

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Il trattamento immediatamente efficace nella cura di una lesione da pressione consiste nella rimozione della causa principale, cioè nella riduzione della pressione a cui sono sottoposti i tessuti. Il danno da pressione, infatti, è determinato dalle forze applicate al tessuto nel tempo. La sua gravità è proporzionata all’ammontare della pressione insieme al tempo in cui essa è applicata; ciò è controbilanciato alla capacità del tessuto di tollerare il danno. In ogni caso, alcuni studi hanno evidenziato che può generare molto più danno una pressione relativamente bassa ma che si mantiene per un periodo prolungato che una pressione più alta che viene esercitata sulla cute per un breve periodo20. Per questo motivo dovrebbe essere valutata la necessità di utilizzare dispositivi atti a ridurre/alleggerire la pressione, quali materassi o cuscini antidecubito. La scelta dell’ausilio da utilizzare dovrebbe essere effettuata sulla base dell’esame complessivo del paziente, comprensivo della valutazione del rischio determinato con la scala di Braden, e in considerazione degli obiettivi assistenziali prefissati (es. palliazione, riabilitazione ecc.); alcune altre importanti variabili da considerare sono: lo stato clinico (acuzie, compenso, cronicità), la mobilità residua della persona, il contesto organizzativo, il comfort della persona, il contesto assistenziale, la necessità di cure intensive e l’accettazione da parte del paziente e/o dei familiari/caregiver del tipo di ausilio proposto.

Il mercato offre oggi un’ampia gamma di dispositivi atti ad alleviare la pressione, anche se le evidenze disponibili non sono in grado di stabilire la superiorità in termini di efficacia di una specifica tipologia di ausilio21.

Gli ausili per la prevenzione e per il trattamento delle lesioni da pressione possono essere distinti in due macrocategorie, che ne contraddistinguono i principali princìpi di funzionamento: gli ausili statici e quelli dinamici.

Gli ausili statici sono così definiti in quanto la superficie non si muove se non in risposta agli spostamenti del paziente che condizionano la ridistribuzione della pressione. In questa categoria s’includono sia superfici in schiuma di poliuretano, in fibra cava siliconata, in gel o altri materiali “densi”, sia le superfici ad aria generalmente non alimentate dall’elettricità se non nella fase di gonfiaggio.

Gli ausili dinamici sono superfici antidecubito contraddistinte da un “movimento” ciclico autonomo, alimentato da energia elettrica, indipendentemente dalla presenza e dalle posizioni del paziente. Fanno parte di questa categoria i materassi a pressione alternata e a cessione d’aria.

Va inoltre sottolineato che le superfici antidecubito devono presentare alcune specifiche caratteristiche comuni a tutte le tipologie:

÷    devono avere uno spessore di oltre 14 cm dal piano del letto il quanto devono permettere l’affondamento della persona senza che questa “tocchi il fondo”. In altre parole, è necessario verificare che il paziente posizionato su una superficie antidecubito non sprofondi nel materasso fino a toccare la rete, soprattutto in corrispondenza della zona sacrale (bottom out)22.

÷    Devono essere ricoperte da una cover (coprimaterasso) che possieda caratteristiche di bi-estensibilità, cioè sia elastica sia nel senso della lunghezza sia nel senso della larghezza. Questa caratteristica evita il prodursi del così detto “effetto amaca”; cioè evita che la cover opponga resistenza all’affondamento del soma nel materasso. La cover deve essere traspirante, per evitare il surriscaldamento cutaneo e l’ipersudorazione; deve essere impermeabile per evitare che secreti ed escreti vadano a contaminare o sporcare il materasso la cui sanitizzazione è più difficoltosa22.

÷    Devono permettere in maniera veloce le manovre di rianimazione cardiopolmonare (questo vale soprattutto per le superfici dinamiche, le quali devono essere dotate di appositi meccanismi di sgonfiaggio).

÷    Devono avere un prezzo di acquisto/noleggio accessibile.

÷    Devono presentare caratteristiche d’ignifugicità.

Per tutte queste motivazioni non è possibile considerare il vello di pecora (quello in commercio in Italia consiste in una riproduzione sintetica del vello naturale) un dispositivo antidecubito. Inoltre, considerando che un buon materasso antidecubito ha la caratteristica di aumentare la superficie corporea di contatto avvolgendo il soma del paziente al fine di permettere uno spazio maggiore per lo scarico della pressione, è assolutamente da evitare l’utilizzo di dispositivi a ciambella, in quanto producono il fenomeno esattamente opposto, cioè concentrano la pressione di scarico solo nei punti di appoggio aumentando il rischio d’insorgenza di lesioni da pressione in quelle sedi23.

La cura delle lesioni (wound care)

Per raggiungere una guarigione efficace è necessario ripristinare l’integrità e la funzionalità della cute: va comunque sottolineato che anche favorendo il miglior processo di guarigione, i tessuti neoformati che vanno a riempire la cavità non potranno mai recuperare le caratteristiche iniziali del tessuto perso a causa del danno.

In ogni caso, da diversi anni è stato provato che il processo di riparazione tissutale è favorito e migliorato dall’utilizzo della moist wound healing, cioè della guarigione in ambiente umido che si ottiene utilizzando le medicazioni avanzate.

  • I passaggi fondamentali del percorso di trattamento sono definiti oggi dalla letteratura come wound bed preparation (preparazione del letto di ferita, WBP): il rispetto di questi passaggi permette un approccio strutturato e finalizzato in tutti i passaggi del trattamento delle ferite croniche in generale e delle lesioni da pressione in particolare23.

Dopo aver ottemperato alla rimozione della causa è necessario applicare il piano di trattamento che, seguendo i principi della WBP prevede di:

  1. rimuovere il tessuto necrotico attraverso un efficace sbrigliamento (debridement),
  2. controllare la carica batterica e prevenire o gestire l’infiammazione e l’infezione,
  3. gestire i fluidi e l’essudato,
  4. aiutare i tessuti per il ripristino dell’integrità cutanea.

Tutti questi passaggi sono assolutamente imprescindibili e s’integrano a vicenda per cui, al fine di ottenere una corretta gestione della lesione da pressione, non si può non conoscere l’interdipendenza che essi presentano.

La detersione

Consiste nel ‘lavaggio’ dell’ulcera e deve essere eseguita generalmente prima di ogni trattamento e a ogni cambio di medicazione: ciò favorisce la diluizione della carica batterica presente, che può essere causa/favorire l’infezione24. La detersione della lesione inoltre permette l’eliminazione di detriti metabolici, essudato, tessuto non vitale che si è sbrigliato e residui della vecchia medicazione.

Diversi studi hanno confrontato la detersione della ferita effettuata con soluzione fisiologica, acqua sterile, Ringer lattato o acqua potabile e non hanno riscontrato significative differenze nella prevenzione delle infezioni25,26; soprattutto per i pazienti che si trovano in regime di ricovero l’orientamento è verso l’utilizzo di soluzioni sterili, che permettono la prevenzione della trasmissione d’infezioni crociate.

La detersione deve essere compiuta in modo tale da minimizzare il trauma alla lesione e nel contempo ottenere la detersione del letto della stessa, riducendo al minimo i traumi chimici e meccanici e quindi evitando l’utilizzo di prodotti chimici quali gli antisettici27.

L’utilizzo di soluzioni colorate, come ad esempio merbromina, eosina, fucsina fenica, violetto di genziana (cristal violetto) blocca28:

s    la possibilità di una corretta valutazione della lesione,

s    la possibilità di impostare un piano di trattamento adeguato,

s    la possibilità di riconoscere precocemente alcuni dei principali segni di infezione,

e crea traumatismi sul fondo della lesione a causa della difficoltà di rimozione.

 

Debridement (rimozione del tessuto necrotico)

Al fine di favorire e ottenere un processo fisiologico di riparazione tissutale, il primo approccio deve prevedere la rimozione dell’eventuale tessuto necrotico o devitalizzato: la necrosi, infatti, blocca o rallenta il processo naturale di guarigione che, come descritto in precedenza, avviene per scivolamento dallo strato germinativo al di sopra del tessuto vitale o al di sotto del tessuto necrotico se presente. In questo caso avviene un forte rallentamento del processo di riepitelizzazione.

La rimozione del tessuto necrotico (o debridement) può essere effettuato con varie tecniche che il professionista deve selezionare sulla base dei presupposti già descritti, abbiamo quindi:

  • debridement chirurgico, che si ottiene attraverso l’utilizzo di strumenti taglienti.
  • debridement enzimatico, che si ottiene applicando enzimi proteolitici in crema.
  • debridement autolitico, che si ottiene medicando con idrogel o medicazioni occlusive.

Ogni manovra effettuata per trattare la lesione deve essere preceduta dalla detersione o “lavaggio” della lesione stessa.

Il trattamento topico delle lesioni con colonizzazione critica e/o infezione: l’uso di antisettici

L’uso di antisettici va riservato alle lesioni che risultano chiaramente infette o contaminate: l’impiego degli antibiotici topici è sempre un tema di discussione, a causa dell’insorgenza di ceppi batterici resistenti; per questo motivo le più recenti linee guida sconsigliano l’utilizzo di antibiotici topici29 anche in relazione al fatto che la disponibilità di alternative per un corretto trattamento locale, garantiscono un comunque un appropriato trattamento topico. Va comunque specificato che in caso di lesione infetta, il trattamento con antibiotici deve essere effettuato per via sistemica29.

L’utilizzo delle medicazioni antisettiche

All’interno di questa categoria di prodotti rientrano le medicazioni all’argento, sia a lento rilascio (es. argento ionizzato), sia senza rilascio (es. sulfadiazina argentica oppure argento unito a carbone). Queste medicazioni possono essere considerate medicazioni antisettiche, hanno un buon spettro antibatterico ed esplicano un’azione di assorbimento sull’essudato e quindi di detersione30. In alternativa è possibile utilizzare medicazioni iperosmotiche, come ad esempio quelle a base di sodio cloruro al 20% o il cadexomero iodico. Sono poi disponibili medicazioni imbevute di antisettici, quali iodiopovidone e clorexidina. Anche medicazioni non occlusive, come gli alginati, l’idrofibra o i poliacrilati, permettono il controllo della carica batterica con una buona gestione dell’essudato particolarmente abbondante in caso d’infezione.

Le medicazioni

Nella fase di scelta della medicazione da applicare è necessario ricordare le caratteristiche e le funzioni basilari che la stessa deve svolgere e che consistono nel proteggere la lesione da contaminazioni e traumatismi, fornire compressione in caso di edema o sanguinamento, prevenire la macerazione dei tessuti perilesionali, assorbire l’essudato o sbrigliare i tessuti necrotici. La gestione delle lesioni da pressione dovrebbe prevedere l’uso di medicazioni in grado di creare un microambiente umido definite comunementemedicazioni avanzate31’ in contrapposizione alle ‘medicazioni tradizionali32’ che utilizzano la modalità dell’essiccamento come tipologia di trattamento topico.

Le principali tipologie di medicazioni avanzate sono di seguito elencate e le caratteristiche principali sono raccolte in Tabella 1.

Alginati: fibre in tessuto non tessuto derivate da alghe marine. Prima dell'utilizzo appaiono soffici e lanose ma, a contatto con l'essudato, si trasformano in gel. Sono utili su lesioni piane e cavitarie e sono indicate per la gestione di ulcere essudanti, in quanto hanno una buona capacità di assorbimento dell’essudato. Quelle contenti calcio hanno proprietà emostatiche. Non sono medicazioni occlusive. Esiste la versione con argento a effetto battericida per il controllo della carica batterica. Necessitano di medicazione secondaria di fissaggio.

Idrocolloidi: medicazioni avanzate che realizzano un ambiente umido e assorbono piccole o medie quantità di essudato. Disponibili in placche e paste, promuovono la crescita del tessuto di granulazione. In presenza di essudato producono un gel che in alcuni caso assume l’odore caratteristico di cipolla marcia. Vengono utilizzate di norma per lesioni di primo e secondo stadio.

Idrofibre: medicazioni avanzate a base di carbossimetilcellulosa; assorbono consistenti quantità di essudato gelificandosi in modo selettivo. Non sono occlusive. Esiste anche in questo caso la versione con argento a effetto battericida per il controllo della carica batterica. Necessitano di medicazione secondaria di fissaggio.

Idrogeli: medicazioni avanzate idrofiliche sotto forma di gel, promuovono l'ambiente umido. Contengono alte percentuali di acqua (fino all'80%) e possono idratare lesioni necrotiche, stimolando il debridement autolitico per effetto della macerazione provocato dall'acqua. Necessitano di medicazione secondaria di fissaggio.

Schiume di poliuretano: queste medicazioni vengono usate sempre più spesso in alternativa agli idrocolloidi gestiscono in modo selettivo l'essudato sia medio sia abbondante. Vengono messe in commercio sotto forma di placche o sagomate, per esempio per il sacro o per i talloni; esiste inoltre la versione cavitaria per il riempimento delle lesioni di terzo e quarto stadio. Per le lesioni infette sono disponibili le schiume con argento a effetto battericida per il controllo della carica batterica.

Film di poliuretano (pellicola): medicazioni semiocclusive, usata da anni per proteggere punti d'inserzione di cateteri intravenosi. Utili come fissaggio secondario, usati anche per proteggere la cute perilesionale o la messa in sito di medicazioni a "pozzetto". Proteggono la cute dalle forze di frizione per cui sono utili anche nella fase di prevenzione delle ulcere da pressione. Il film in poliuretano, essendo impermeabile, offre un ottimo isolamento alle ferite durante il bagno o la doccia.

Tabella 1: caratteristiche principali delle medicazioni avanzate

Principali categorie di medicazioni avanzate

Performance/caratteristiche

 

Alginati (piastra/nastro)

Assorbimento dell’essudato, riempimento degli spazi morti, debridement autolitico

 

Schiume di poliuretano (piastra/cavitarie)

Assorbimento dell’essudato, riempimento degli spazi morti

 

Idrocolloidi (piastra/pasta)

Occlusione, debridement autolitico, poca capacità di assorbimento

 

Idrogel (piastra/pasta)

Idratazione del tessuto necrotico, Debridement (rimozione del tessuto necrotico) autolitico

 

Film o pellicole trasparenti

Occlusivi, debridement autolitico, utili anche come medicazione secondaria

 

Idrofibre

Assorbimento dell’essudato, riempimento degli spazi morti, debridement autolitico

 

 

La nutrizione

Diversi studi evidenziano l’importanza del mantenimento di un adeguato stato nutrizionale sia nella fase di prevenzione sia per favorire la guarigione delle lesioni da pressione eventualmente insorte33,34.

Per una corretta identificazione dello stato nutrizionale è necessario considerare sia i parametri antropometrici del paziente (peso e altezza) sia i valori dei dosaggi biochimici, come ad esempio sieroalbumina, proteine totali, sideremia, ecc.

Una nutrizione ottimale in ogni caso agevola la riparazione della ferita, mantiene il sistema immunitario efficiente e aiuta a prevenire il rischio d’infezione34.

Per identificare il soggetto malnutrito o a rischio di malnutrizione è necessario, dopo una valutazione iniziale: monitorare il peso corporeo, definire il fabbisogno nutrizionale della persona, registrare la quantità e la qualità degli alimenti assunti.

Nei pazienti portatori di LDP, il controllo e l’integrazione della quota proteica deve tener conto della necessità di sopperire alle perdite di sostanza dovute a iper-essudazione e/o alla necessità di sostenere i bisogni metabolici generati dai processi di riparazione tissutale. La letteratura suggerisce che la quota di proteine da introdurre nei soggetti con lesioni si aggiri intorno a 1-1,5 g/kg/die. Alcuni studi hanno evidenziato una significativa riduzione delle lesioni quando, in associazione al trattamento topico ottimale, si provvedeva all’introduzione di micronutrienti, in particolare vitamine, acido ascorbico e zinco35.

In soggetti apparentemente ben nutriti ma con un ridotto apporto calorico/proteico è opportuno come primo intervento scoprire e correggere i fattori che compromettono tale assunzione e fornire loro un sostegno per favorire l’alimentazione (per esempio pazienti anziani con problematiche di deglutizione e/o di masticazione).

Se ciò non è sufficiente, occorre intervenire con la prescrizione di supporti nutrizionali o integratori, tenendo comunque conto di eventuali patologie concomitanti, come ad esempio diabete o insufficienza renale. Considerare ove si ritiene necessario una valutazione specialistica35.

Il controllo del dolore

Il trattamento primario del dolore è il corretto trattamento delle lesioni da pressione. Le opzioni per il controllo del dolore comprendono gli antiinfiammatori non steroidei (come naproxene o ibuprofene) o il paracetamolo, che sono usati per il dolore lieve-moderato. Gli oppioidi possono essere necessari durante il cambio della medicazione e il debridement chirurgico. Nei pazienti con deterioramento cognitivo, la presenza di dolore può essere registrata attraverso il monitoraggio e la variazione dei parametri vitali. Quando e se possibile, gli oppioidi dovrebbero essere evitati in quanto la sedazione promuove immobilità.

 

Il ruolo del farmacista

Le pietre angolari per la terapia delle lesioni da pressione rimangono l’eliminazione della causa e l’applicazione di un corretto piano di trattamento. La prevenzione è fondamentale in quanto la formazione di una LdP aumenta i tempi di una eventuale ospedalizzazione e i costi assistenziali. Il ruolo del farmacista nella prevenzione delle ulcere da pressione comprende l’educazione dei pazienti sui fattori di rischio e sulla corretta cura della cute. Nella fase di trattamento il farmacista dovrebbe mantenere monitorati sia il paziente sia il caregiver (a volte si rende necessario istruire accuratamente il caregiver, in quanto spesso nella nostra realtà i pazienti assistiti a domicilio sono affidati alle cure delle badanti) per garantire la guarigione della lesione qualora questa fosse insorta. L'educazione del paziente/caregiver (colui che si occupa di offrire cure e assistenza) circa l'uso corretto dei farmaci e dei dispositivi prescritti e l’applicazione delle misure preventive necessarie a garantire che l'ulcera non formi di nuovo è molto importante in quanto ciò contribuisce a ridurre gli oneri che le lesioni da pressione operano sulla società.

 

 

Questionario ECM

1. La presenza di cute integra con eritema localizzato che non scompare alla digitopressione, generalmente sopra una prominenza ossea è indice di quale stadio relativo alle ulcere da pressione?

a)    stadio I

b)    stadio II

c)    stadio III

d)    stadio IV

 

2. Quale stadio di ulcere da pressione è stato aggiunto nel 2007 dall’NPUAP?

a.    stadio VIII

b.    stadio X

c.    non stadiabili 

d.    stadio VII

3. Quale fra le seguenti affermazioni sulle ulcere da pressione è vera?

a)   gli alimenti ad alto contenuto calorico e gli  integratori non dovrebbero essere usati per prevenire la malnutrizione

b)   la detersione con antisettici è fondamentale a ogni cambio di medicazione

c)   gli alginati hanno alto potere assorbente e sono utili per lesioni con essudato abbondante

d)   lo screening nutrizionale deve necessariamente essere parte della valutazione generale dei pazienti affetti da ulcera gastrica

 

4. Quale fra queste patologie (fattori di rischio intrinseci) predispone il paziente all’insorgenza di ulcere da pressione?

a.    diabete

b.    malattia di Parkinson

c.    incidenti cerebrovascolari

d.    tutte le patologie indicate

 

5. Quale dei seguenti metalli in traccia, quando somministrato come integratore o con gli alimenti, ha dimostrato di essere necessario per promuovere la guarigione della lesione?

a.    alluminio

b.    calcio

c.    magnesio

d.    zinco

6. Tra i fattori di rischio per lo sviluppo di ulcere da pressione sotto elencati, uno solo non è corretto. Quale?

a.    età avanzata

b.    cattiva nutrizione

c.    mobilità compromessa

d.    posizionamento del materasso antidecubito

7. Fra le misure non farmacologiche atte a ridurre lo sviluppo delle ulcere da pressione sotto elencate una sola non è corretta. Quale?

a.    aumento della pressione tissutale

b.    riposizionamento frequente

c.    utilizzo di ausili protettivi e di supporto 

d.    frequente valutazione e controllo della cute del paziente

 

8. In quale zona insorgono più frequentemente le ulcere da pressione?

a.    coscia

b.    stinco

c.    zona sacrale

d.    polso

9. Quale fase di guarigione di un’ulcera da pressione è caratterizzata dall’inizio di una risposta infiammatoria?

a.    fase infiammatoria

b.    fase di rimodellamento

c.    fase proliferativa

d.    fase di rigenerazione

10. Quale fase è caratterizzata dalla creazione di una matrice extracellulare oltre alla formazione di nuova vascolarizzazione?

a.    fase infiammatoria

b.    fase di rimodellamento

c.    fase proliferativa

d.    fase di rigenerazione

11. Quale vitamina dovrebbe essere integrata giornalmente se risultasse insufficiente e venisse registrata una chiara deficienza della stessa, sebbene i dati riguardanti la sua efficacia nell’accelerare il processo di guarigione siano  inconsistenti?   

a.    vitamina A

b.    vitamina B

c.    vitamina C

d.    vitamina D

12. Quale deve essere lo scopo della medicazione di un’ulcera da pressione?

a)    mantenere il letto della lesione secco per trattenere i fattori di crescita tissutale

b)    mantenere la pelle che circonda la lesione umida e morbida

c)    facilitare la crescita di nuovi tessuti

d)    non creare alcuna barriera per le infezioni

13. Quale tipo di medicazione è maggiormente indicato per stimolare la migrazione dei neutrofili, macrofagi e fibroblasti nelle lesioni e favorire la produzione di collagene? 

a.      Medicazione che crea un ambiente umido

b.      Garza iodoformica

c.      antisettico

d.      garza a piatto

 

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