2007-04
Diabete di Tipo 2: il miglioramento degli esiti terapeutici
Revisione Scientifica: Prof. Alberto Battezzati, International Center for the Assessment of Nutritional Status Università degli Studi di Milano.
Autori: Roger P. Austin, MS, RPh, CDE, Clinical Pharmacy Specialist, Clinical Quality and Safety, Henry Ford Health System, Detroit, Michigan
Stephen N. Davis, Chief, Division of Diabetes, Endocrinology and Biophysics, Vanderbilt University, Nashville, Tennesse
Robert H. Henry, MD, Professor of Medicine, University of California San Diego, San Diego, California
Obiettivi. Scopo di questa monografia di aggiornamento è migliorare le conoscenze dei farmacisti e fornire gli strumenti per perfezionare la gestione del diabete nell’ambito del sistema sanitario.
Al termine della lettura il farmacista dovrebbe essere in grado di:
- interpretare gli studi che valutano gli stili di vita e i trattamenti farmacologici per il diabete e le sue complicanze
- discutere gli interventi terapeutici precoci, fra cui l’uso della terapia farmacologica combinata
- descrivere le opzioni terapeutiche aggressive per il diabete e le sue complicanze macrovascolari, fra cui le malattie cardiovascolari
Figura 1 - Illustrazione del pancreas e dei dotti pancreatici tratta da Anatomy of the Human Body. 1918 Henry Gray (1821–1865).
Il diabete di tipo 1 (DMT1) è una malattia immunologica che attacca le cellule beta del pancreas, rendendo i pazienti dipendenti dalla somministrazione di insulina. Circa il 95% dei diabetici è invece affetto da diabete mellito di tipo 2 (DMT2), una patologia cronica e progressiva caratterizzata da due alterazioni essenziali: l’insulino-resistenza o ridotta azione dell’insulina sul tessuto muscolare, epatico e adiposo e la difettosa secrezione dell’insulina da parte delle cellule beta del pancreas1,2.
L’accresciuta prevalenza nel mondo del diabete tipo 2, soprattutto legata all’aumento del benessere ed allo stile di vita, ha portato l’OMS a parlare di vera e propria “epidemia”. Stime e proiezioni sul periodo 1994-2010 indicano la triplicazione a livello mondiale dei casi di diabete mellito tipo 2. Per l'Europa Occidentale è stato previsto un aumento dei casi di diabete mellito tipo 2 del 27,5% dal 1994 al 2000 e del 54,9% dal 1994 al 2010. In Italia la prevalenza è aumentata dal 2,5% (negli anni ’70) all’attuale 4-4,5%. Negli Stati Uniti, 20 milioni di persone sono affette da diabete mellito, pari al 7% della popolazione complessiva, con un aumento del 40% circa negli ultimi 10 anni1. I CDC (Centers for Disease Control and Prevention) prevedono che, tra i nati nel 2000 in USA, uno su tre sia destinato a sviluppare il diabete. È dunque evidente che il trattamento di questa malattia deve essere urgentemente migliorato. Le complicanze del diabete sono tra le cause più comuni di morbilità e mortalità: tra queste si annoverano danni renali, cecità e amputazioni agli arti.
In particolare, i pazienti affetti da DMT2 hanno un rischio molto elevato di cardiopatie e ictus, cui si aggiungono numerose altre complicanze associate all’ipertensione, alla dislipidemia e all’obesità, le comorbilità più diffuse della malattia metabolica.
In molti pazienti l’insorgenza del diabete mellito di tipo 2 è preceduta dalla comparsa della sindrome metabolica, di cui l’insulino-resistenza è una componente. La Tabella 1 indica i criteri diagnostici per la sindrome metabolica, il pre-diabete e il diabete2,3. Il pre-diabete, che è caratterizzato da anomalie della glicemia a digiuno e della tolleranza al glucosio, aumenta il rischio di sviluppare il diabete di tipo 22. Il pre-diabete interessa più di 40 milioni di persone negli Stati Uniti4,5.
Si è calcolato che almeno il 30% dei casi di DMT2 non viene mai né diagnosticato, né curato. Mentre la mortalità da neoplasie, malattie cardiovascolari e ictus è significativamente migliorata nell’ultima generazione, per il diabete si nota un trend differente. Nonostante gli sforzi congiunti delle autorità sanitarie e della classe medica, la mortalità da diabete è aumentata di oltre il 30% dal 19804,5. Il diabete è mortale soprattutto nei pazienti non caucasici. Tra i diabetici, il rischio generalizzato di morte, aggiustato per età, è superiore del 27% nei neri non ispanici rispetto ai bianchi non-ispanici. In Italia, secondo i dati dello studio CODE-2 (Cost of Diabetes in Europe Type II) effettuato nel 2000, il 6,7% dell'intera spesa sanitaria nazionale, pubblica e privata (circa 5,5 miliardi di euro nel 2004) è stato assorbito dalla popolazione diabetica. Negli Stati Uniti, la spesa sanitaria annua per il diabete supera i 100 miliardi di dollari e rappresenta il 28% del budget sanitario di Medicare (il programma governativo di assicurazione medica per gli anziani over 65)6.
Keywords: DMT1, diabete mellito di tipo 1, DMT2, diabete mellito di tipo 2, sindrome metabolica, pre-diabete
Tabella 1 - Criteri Diagnostici per la sindrome metabolica, il pre-diabete e il diabete2,3
Sindrome Metabolica (NCEP ATP III)*
|
Pre-diabete
|
Diabete
* NCEP ATP III, National Cholesterol Education Program Adult Treatment Panel III |
Fattori di rischio e prevenzione
Secondo l’American Diabetes Association (ADA), lo screening per il diabete va tenuto in considerazione per tutta la popolazione a partire dai 45 anni di età, e in modo particolare nei soggetti con indice di massa corporea (BMI, Body Mass Index) pari o superiore a 25 (vedi Obiettivi terapeutici dell’ADA Tabella 4). Negli individui con valori normali gli accertamenti andrebbero ripetuti a distanza di tre anni2. La frequenza dei controlli dovrebbe essere maggiore nei soggetti sovrappeso con fattori di rischio aggiuntivi, quali la sedentarietà, l’ipertensione, l’appartenenza a gruppi etnici ad alto rischio, una storia clinica di malattie vascolari e familiarità per diabete nei parenti di primo grado2.
Il programma di prevenzione del diabete
Le persone a rischio di diabete vanno incentivate precocemente e frequentemente ad adottare stili di vita per ritardare o prevenire la progressione della malattia. Il Diabetes Prevention Program (DPP) ha confrontato il rischio di progressione dal pre-diabete al diabete conclamato in gruppi di pazienti sottoposti a modifiche dello stile di vita, trattati con la biguanide metformina o con placebo9. Lo studio ha riguardato 3.000 soggetti con un BMI pari a 34 e un’età media di 51 anni2. Il 45% dei partecipanti era afro-americano o ispanico e il 20% si trovava nella sesta decade di vita. I cambiamenti di stile di vita, fra cui le restrizioni dietetiche e l’aumento dell’attività fisica (150 minuti di esercizio aerobico moderato per settimana), hanno prodotto un modesto calo ponderale del 7% e un’eccellente riduzione del 58% del rischio di sviluppare il diabete mellito di tipo 2 rispetto al placebo. L’incidenza del diabete era, rispettivamente, di 11, 7,8 e 4,8 casi per 100 persone nei gruppi del placebo, della metformina e dei cambiamenti dello stile di vita. In nessun gruppo sono stati segnalati effetti indesiderati degni di nota. Lo studio in questione ha stimato che, per prevenire un caso di diabete in un triennio, sarebbe necessario che 6,9 persone partecipassero al programma per il cambiamento dello stile di vita o che 13,9 venissero trattate con la metformina9. L’ottimo risultato ottenuto con le modifiche dello stile di vita dovrebbe indurre i medici a insistere sull’importanza della dieta e dell’esercizio fisico, nonché a collaborare con i pazienti per mettere a punto strategie di cambiamento personalizzate, secondo le esigenze individuali.
La farmacoterapia per la prevenzione del diabete
Numerosi studi hanno dimostrato la superiorità dei farmaci rispetto al placebo nel ritardare la progressione verso il diabete conclamato. La sperimentazione Troglitazone in Prevention of Diabetes (TRIPOD) ha coinvolto donne ispaniche con diagnosi pregressa di diabete gestazionale10. Le partecipanti sono state randomizzate a ricevere il tiazolidinedione (TZD) troglitazone o il placebo. Dopo 30 mesi di follow-up, l’incidenza del diabete di tipo 2 era del 5,4% nel gruppo di trattamento attivo e del 12,3% nel gruppo del placebo, con una riduzione del rischio del 56% nelle pazienti trattate con il troglitazone.
Un altro studio comparativo tra l’inibitore dell’alfa-glucosidasi acarbosio e il placebo ha dimostrato una significativa riduzione del rischio di progressione verso il diabete nel gruppo del farmaco attivo11. Questa sperimentazione ha riguardato 1.429 soggetti con età media di 55 anni e BMI di 31. La durata media del follow-up è stata di 3,3 anni e il gruppo dell’acarbosio ha fatto registrare una riduzione del 25% del rischio relativo di diabete rispetto al gruppo del placebo.
Keywords: TZD, tiazolidinedioni, troglitazone, inibitori dell’alfa-glucosidasi, acarbosio
La fisiopatologia dell’insulino-resistenza e del diabete di tipo 2
L’insulino-resistenza e lo sviluppo della sindrome metabolica hanno l’obesità come caratteristica centrale. Il Third Report of the National Cholesterol Education Program (NCEP) Expert Panel on Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Pressure in Adults (ATP III) stabilisce che la sindrome metabolica comporta la presenza di almeno tre delle cinque condizioni cliniche elencate nella Tabella 1. L’insulino-resistenza nei tessuti periferici e il deficit pancreatico di secrezione insulinica sono alla base della fisiopatologia del DMT2. L’obesità, l’ipertensione, la dislipidemia, la sindrome dell’ovaio policistico e la cardiopatia aterosclerotica si osservano spesso in concomitanza con l’insulino-resistenza e il diabete7. La fisiopatologia dell’insulino-resistenza non è ancora stata completamente chiarita, ma è ormai evidente il coinvolgimento di anomalie e/o carenze nelle vie di trasduzione del segnale insulinico. Sono stati scoperti uno o più difetti delle vie di trasduzione del segnale insulinico necessarie per muovere o trasportare il glucosio nelle cellule, che possono causare insulino-resistenza. Considerando che l’insulino-resistenza è assai comune nei pazienti con DMT2, i farmaci specificamente mirati all’insulino-resistenza, come la metformina e i tiazolidinedioni, sono pilastri essenziali dell’approccio terapeutico.
Keywords: Insulino-resistenza, sindrome metabolica, obesità
Il ruolo dell’eccesso di tessuto adiposo e degli acidi grassi liberi
Il ruolo dell’eccessivo accumulo di grasso nello sviluppo della sindrome metabolica, dell'insulino-resistenza e del DMT2 si va progressivamente chiarendo. L’eccesso di grasso contribuisce anche all’insorgenza della dislipidemia e all’aumento del rischio cardiovascolare nei diabetici di tipo 2. Un aspetto fondamentale è costituito dalla sede di distribuzione del grasso accumulato. I soggetti sedentari che seguono una dieta ad alto tenore lipidico spesso non si limitano ad accumulare grasso nel tessuto adiposo, ma anche ectopicamente nel fegato, nel cuore, nella muscolatura scheletrica e nel pancreas, causandone alterazioni funzionali. Il grasso nel tessuto adiposo favorisce la produzione di adipochine (ormoni, citochine e substrati), sostanze in grado di indurre effetti metabolici e infiammatori che possono rivelarsi benefici o dannosi secondo i casi. Per esempio, il tessuto adiposo produce citochine pro-infiammatorie come il tumor necrosis factor-alpha e l’interleuchina-612. Il rilascio di queste citochine favorisce l’infiammazione vascolare e la liberazione degli acidi grassi liberi nel torrente circolatorio, con conseguente limitazione dell’azione insulinica sul movimento e metabolismo del glucosio all’interno delle cellule. Ma il grasso produce anche ormoni come l’adiponectina, cui si riconoscono numerosi effetti benefici di tipo metabolico e vascolare. L’insulino-resistenza si associa anche ad alterazioni della funzione endoteliale, dell’aggregazione piastrinica, della vasocostrizione e a ridotta trombolisi, contribuendo a stati proinfiammatori e procoagulanti13. Queste anomalie fisiologiche aumentano il rischio cardiovascolare nei pazienti con sindrome metabolica e/o DMT2.
L’ossido nitrico (NO) è molto importante per mantenere la salute vascolare e la funzione endoteliale. L’ossido nitrico ha effetti antinfiammatori e anticoagulanti che sono negativamente influenzati dagli acidi grassi liberi, con possibile induzione di disfunzioni endoteliali e aumento del rischio di trombosi. Oltre all’effetto deleterio degli acidi grassi, l’iperglicemia in sé è dannosa per l’endotelio attraverso l’induzione di numerosi processi biochimici. L’iperglicemia stimola la via metabolica dei polioli e aumenta la sintesi del diacilglicerolo, che a sua volta attiva la proteina chinasi C e incrementa la produzione di endotelina-114. Questi fattori attraverso vari processi fisiopatologici finiscono per provocare diminuzione delle concentrazioni dell’ossido di azoto, vasocostrizione e sviluppo di aterosclerosi.
Nel United Kingdom Prospective Diabetes Study (UKPDS) condotto su pazienti affetti da DMT2 è emerso che già all’esordio almeno il 50% delle cellule beta del pancreas non è funzionale15. I livelli eccessivi di acidi grassi liberi contribuiscono anche all’insulino-resistenza nel fegato e nella muscolatura scheletrica. Questa è una caratteristica fondamentale del DMT2, che induce l’eccessiva produzione epatica di glucosio e limita l’uptake insulino-dipendente di glucosio nel tessuto muscolare. Il peroxisome-proliferator-activated receptor-gamma (PPAR-gamma) è un fattore di trascrizione che si trova nel nucleo di vari tessuti e regola l’espressione di numerosi geni. Il PPAR-gamma è altamente espresso nel tessuto adiposo ed è importante nei processi omeostatici implicati nella regolazione della glicemia, dell’insulino-resistenza e dei livelli lipidici16. I tiazolidinedioni sono farmaci ipoglicemizzanti, il cui meccanismo d’azione principale comporta l’attivazione del PPAR-gamma da cui conseguono molteplici effetti sulla riduzione dell’insulino-resistenza e dell’infiammazione vascolare17.
Keywords: Adipochine, citochine, adiponectina, NO, ossido nitrico, PPAR-gamma
I benefici del trattamento intensivo
I modelli informatici e le sperimentazioni cliniche controllate indicano che la terapia intensiva per il diabete è in grado di ridurre sensibilmente la morbilità e i costi associati a questa malattia metabolica. L’identificazione precoce dell’intolleranza al glucosio è un elemento fondamentale per prevenire l’esordio, la progressione e le complicanze del DMT2. Le più efficaci strategie preventive e terapeutiche delle complicanze del diabete prevedono un approccio programmato e sistematico dei vari operatori sanitari (vedi Tabella 2 di pag. 4). All’interno delle Linee Guida per la Prevenzione Cardiovascolare nel Paziente Diabetico, (elaborate da AMD (Associazione Medici Diabetologi), SID (Società Italiana di Diabetologia), FAND (Associazione Italiana Diabetici), SIIA (Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa), FIC (Federazione Italiana di Cardiologia), SIMG (Società Italiana di Medicina Generale), SISA (Società Italiana per lo Studio dell’Arteriosclerosi), Forum per la prevenzione delle malattie cardiovascolari e Gruppo Cochrane Collaboration Italia), sono stati definiti i ruoli e competenze dei singoli operatori sanitari nella prevenzione e gestione del rischio cardiovascolare.
La temibile triade composta da ipertensione, dislipidemia e iperglicemia deve essere attivamente monitorata per poter tenere sotto controllo la patologia con la massima efficacia possibile, fissando valori obiettivo per emoglobina glicata (HbA1c), pressione arteriosa, colesterolo e trigliceridi18.
La Tabella 3 elenca i valori obiettivo attuali delle Linee Guida per la Prevenzione Cardiovascolare nel Paziente Diabetico e la Tabella 4 di pag. 6 quelli dell’ADA.
Tabella 3 - Valori-obiettivo per la riduzione del rischio cardiovascolare nel paziente diabetico secondo le Linee Guida per la Prevenzione Cardiovascolare nel Paziente Diabetico
Parametro |
Valore |
|
Pressione arteriosa |
< 135 / 80 mmHg |
|
Assetto lipidico |
|
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Prevenzione primaria |
Colesterolo LDL < 115 mg/dl o Colesterolo totale < 190 mg/dl Trigliceridi < 150 mg/dl Colesterolo HDL > 40 mg/dl |
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Prevenzione secondaria |
Colesterolo LDL < 100 mg/dl Trigliceridi < 150 mg/dl Colesterolo HDL > 40 mg dl |
|
Controllo glicemico |
Valori ottimali* |
Valori accettabili** |
Glicemia a digiuno (mg/dl) Glicemia due ore dopo i pasti (mg/dl) Glicemia prima di andare a letto (mg/dl) HbA1c (%) |
80-120 120-160 100-140 ≤ 7,0 |
< 140 < 180 < 160 ≤ 7,5 |
* Ottimali: da perseguire negli individui in cui l’età del paziente e/o le sue condizioni cliniche consentano di porsi l’obiettivo di prevenire lo sviluppo o ritardare la progressione delle complicanze.
** Accettabili: da perseguire negli anziani e negli individui in cui le condizioni cliniche consentono soltanto di porsi l’obiettivo di minima di evitare l’insorgenza di iperglicemie sintomatiche o di ipoglicemie
Fonte: Linee Guida per la Prevenzione Cardiovascolare nel Paziente Diabetico, Società Italiana di Diabetologia.
Tabella 4 - Obiettivi terapeutici dell’ADA (HbA1c, Pressione Arteriosa e Colesterolo) 2
Controllo glicemicoHbA1c < 7%* Glicemia preprandiale 90 – 130 mg/dl Picco glicemico postprandiale < 180 mg/dl Pressione arteriosa < 130/80 mmHg † |
Assetto lipidico Colesterolo LDL < 100 mg/dl ‡ Trigliceridi < 150 mg/dl Colesterolo HDL > 40 mg/dl |
*HbA1c, l’obiettivo per tutti i pazienti è avvicinarsi il più possibile alla norma (<6%) con o senza ipoglicemia significativa.
† Valori pressori > 115/75 mmHg si associano ad un aumento di eventi cardiovascolari e mortalità negli studi epidemiologici.
‡ I pazienti con cardiopatia conclamata dovrebbero riuscire a ridurre i valori di colesterolo LDL del 30%-40%. L’uso di una statina ad alte dosi può aiutare a raggiungere un colesterolo LDL < 70 mg/dl
A differenza della terapia standard, il trattamento intensivo del diabete ha importanti effetti benefici sui livelli di glicemia, sui valori pressori diastolici e sistolici, sul colesterolo sierico, sui trigliceridi e sul tasso di escrezione dell’albumina urinaria18. Inoltre, i pazienti in trattamento intensivo presentano un rischio inferiore di malattie cardiovascolari, retinopatia e neuropatia autonomica (disfunzione del SNC neurovegetativo che porta a sintomi quali sudorazione, diarrea, tachicardia, ipotensione e impotenza).
Per terapia intensiva in questo caso si intende l’adozione per gradi di modifiche dello stile di vita, associate a trattamenti farmacologici18.
La terapia antiperglicemica intensiva tende a ridurre drasticamente le complicanze diabetiche nei soggetti con DMT2. Lo studio UKPDS ha evidenziato che ad ogni riduzione dell’1% dei livelli di HbA1c corrisponde una diminuzione delle seguenti complicanze: amputazione degli arti inferiori o vasculopatia periferica fatale (43%), malattia microvascolare (37%), intervento di cataratta (19%), insufficienza cardiaca (16%), infarto del miocardio (14%) e ictus (12%)15.
Inoltre, lo studio UKPDS ha dimostrato che l’effetto protettivo del controllo glicemico intensivo con l’insulina o le sulfoniluree, che permette di mantenere valori pressori pari a 144/82 mmHg vs. 154/87 mmHg, e il ruolo del trattamento ipoglicemico intensivo con la metformina nei pazienti sovrappeso valgono per una vasta gamma di complicanze diabetiche. Nel gruppo in terapia intensiva si registravano 14,7 infarti del miocardio ogni 1.000 pazienti/anni vs. i 17,4 in quello in trattamento convenzionale.
Nella Tabella 5 sono riportati i risultati dello studio UKPDS.15,19-21
Keywords: Valori obiettivo, pressione arteriosa, assetto lipidico, controllo glicemico
Tabella 5 Risultati dello studio UKPDS15,19-21
Controllo glicemico intensivo (sulfoniluree o insulina) 12% riduzione di tutti gli endpoint diabete-dipendenti 25% riduzione delle complicanze microvascolari 29% riduzione della fotocoagulazione 21% riduzione nella progressione della retinopatia 34% riduzione nella progressione della microalbuminuria Incremento ponderale medio di 3,1 kg nel gruppo di trattamento intensivo in 10 anni |
Controllo glicemico intensivo (metformina nei pazienti sovrappeso) 32% riduzione di tutti gli endpoint diabete-dipendenti 42% riduzione del rischio di morte diabete-dipendente 36% riduzione della mortalità 39% riduzione dell’infarto del miocardio
|
Effetto di uno stretto controllo dei valori pressori (<150/85 mmHg) nei pazienti ipertesi 24% riduzione di tutti gli endpoint diabete-dipendenti 32% riduzione della mortalità diabete-dipendente 44% riduzione degli ictus fatali o non fatali 37% riduzione delle microvasculopatie 34% riduzione nel peggioramento della retinopatia |
L’emoglobina glicata o glicosilata (HbA1c)
Nello studio European Prospective Investigation of Cancer and Nutrition (EPIC-Norfolk), riservato agli uomini di età compresa tra 45 e 79 anni, il rischio di iperglicemia era indipendente dall’età, dai valori pressori, dai livelli di colesterolo sierico, dal BMI e dal fumo di sigaretta22. I valori di emoglobina glicata superiori al 5% erano strettamente correlati con il rischio generalizzato di morte, e in particolare di morte da patologie cardiovascolari e da cardiopatia ischemica22. Assegnando all’HbA1c del 5% un rischio relativo pari a 1, il rischio generalizzato di morte con un HbA1c del 7% è approssimativamente uguale a 2,5. Il rischio relativo di morte da patologie cardiovascolari e da cardiopatia ischemica con un livello di HbA1c del 7% è sei volte superiore22. Gli autori dello studio EPIC-Norfolk sostengono che è certamente importante impegnarsi a ridurre i valori di emoglobina glicata nei diabetici, senza però dimenticarsi di proporre modelli comportamentali che contribuiscano a diminuirne i livelli anche nella popolazione generale.
L’importanza del controllo della pressione arteriosa e dell’assetto lipidico
L’impatto del diabete sembra essere pari a quello di una coronaropatia esistente come fattore di rischio predominante per l’insorgenza di futuri eventi coronarici. L’ADA conferma che il trattamento dell’iperglicemia senza un attento controllo dei livelli lipidici e pressori è insufficiente per massimizzare la riduzione del rischio cardiovascolare.
La pressione arteriosa
Gli studi clinici hanno dimostrato che l’ipertensione arteriosa costituisce un significativo e indipendente fattore di rischio nelle persone affette da diabete. Nei diabetici il rischio di un primo evento coronarico aumenta del 15% per ogni incremento di 10 mmHg della pressione sistolica20.
Le sperimentazioni cliniche sulla pressione arteriosa
Numerose sperimentazioni cliniche dimostrano l’importanza del controllo pressorio con gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE inibitori) o con gli antagonisti dei recettori dell’angiotensina II (ARB, Angiotensin II Receptor Blocker). Di seguito sono indicati i risultati di alcune di queste sperimentazioni.
Un’analisi di sottogruppo dell’Heart Outcomes Prevention Evaluation Study (MICRO-HOPE) ha riguardato 3.577 diabetici che erano stati randomizzati a ricevere il ramipril o il placebo23. Prima del trattamento, la microalbuminuria era presente nel 32% dei diabetici e nel 15% dei soggetti non diabetici. La presenza di microalbuminuria si associava alla durata del diabete, all’aumento del livello di emoglobina glicata, all’ipertensione, al fumo e all’ipertrofia ventricolare sinistra24. Oltre al beneficio cardiovascolare correlato al ramipril, vi era una significativa diminuzione nello sviluppo della nefropatia diabetica conclamata e una ridotta progressione verso la microalbuminuria23.
Nella sperimentazione clinica Losartan Intervention for Endpoint in Hypertension (LIFE) i pazienti con ipertensione e segni di ipertrofia del ventricolo sinistro sono stati randomizzati a ricevere il losartan o l’atenololo25. Una significativa riduzione dell’endpoint primario composito è stata osservata nel gruppo trattato con il losartan rispetto a quello in terapia con l’atenololo. Nel sottogruppo dei diabetici sono state evidenziate significative diminuzioni delle morti cardiovascolari e della mortalità complessiva tra i soggetti trattati con il losartan rispetto a quelli che assumevano l’atenololo. Non vi erano significative riduzioni degli ictus e degli infarti del miocardio tra i gruppi.
Lo studio Irbesartan in Patients with Type 2 Diabetes and Microalbuminuria (IRMA2) ha valutato pazienti affetti da DMT2 con microalbuminuria26. L’irbesartan ha dimostrato di essere più efficace del placebo nel rallentare la progressione della microalbuminuria verso la proteinuria conclamata. Negli studi effettuati su pazienti con diabete e proteinuria l’irbesartan (Irbesartan Diabetic Nephropathy Trial [IDNT]) e il losartan (Reduction in Endpoints in NIDDM with Angiotensin II Antagonist Losartan [RENAAL]) sono risultati più efficaci del placebo e dell’amlodipina in termini di riduzione dell’endpoint composito costituito dal raddoppio dei livelli di creatinina sierica, insufficienza renale terminale e morte27,28.
Va ricordato che i diabetici devono spesso assumere due o più farmaci antipertensivi per raggiungere gli obiettivi pressori ottimali. I trattamenti antipertensivi possono essere monoterapie o associazioni di farmaci a base di diuretici, ACE inibitori, antagonisti recettoriali dell’angiotensina II (ARB) , beta-bloccanti e calcio-antagonisti. Nei diabetici con microalbuminuria o proteinuria conclamata i farmaci più indicati sono gli ACE inibitori o gli ARB29.
Keywords: Terapia antipertensiva, ACE inibitori, antagonisti dei recettori dell’ angiotensina II, ARB, ramipril, losartan, atenololo, irbesartan
Il colesterolo
I soggetti affetti da DMT2 presentano un profilo lipidico caratteristico: livelli leggermente elevati o normali di colesterolo LDL (noto ai pazienti come 'colesterolo cattivo'), bassi valori di colesterolo HDL e trigliceridi elevati. I livelli caratteristicamente normali o bassi di colesterolo LDL sono spesso fuorvianti, perché le particelle LDL sono altamente patologiche, anche quando i valori non sono particolarmente anomali. Le particelle LDL sono piccole e dense e tendono a migrare sotto l’endotelio, provocando danni consistenti. Proprio per questo motivo i medici devono gestire aggressivamente la colesterolemia dei diabetici, allo scopo di mantenere i livelli di colesterolo LDL ben al di sotto dei 100 mg/dl, e intorno a 70 mg/dl nei gruppi ad alto rischio. In genere, i valori di colesterolo HDL sono bassi nei soggetti con diabete o pre-diabete, mentre sono elevati i trigliceridi.
I profili lipidici tipicamente variano con il sesso. Rispetto agli uomini, le donne affette da DMT2 hanno spesso valori elevati di colesterolo totale e di colesterolo LDL e bassi livelli di colesterolo HDL. Come evidenziato nella Tabella 6, nei soggetti di sesso femminile affetti da DMT2 i livelli di colesterolo LDL sono generalmente più elevati di quelli che si riscontrano nelle donne non diabetiche, un rapporto che non si osserva nel sesso maschile19.
Tabella 6 - I livelli lipidici nei pazienti con DMT2 e nei soggetti non diabetici19
Lipidi (mg/dl) |
Uomini DT 2 (n=2139)
|
Non diabetici (n=52) |
Donne DT 2 (n=1574) |
Non diabetiche (n=143) |
Colesterolo totale |
213 |
205 |
224* |
217 |
Colesterolo LDL |
139 |
131 |
151* |
135† |
Colesterolo HDL |
39 |
43‡ |
43* |
54† |
Trigliceridi |
161 |
107* |
161 |
98† |
Adattato da: UK Prospective Diabetes Study Group 27. Diabetes Care, 1997;20:1683-1687. I dati sono medie o medie geometriche.
*P<0,001 vs. i pazienti maschi con diabete di tipo 2.
†P<0,001 vs. le donne con diabete di tipo 2.
‡P<0,02 vs. i maschi con diabete di tipo 2
La riduzione dei valori di colesterolo LDL comporta una significativa diminuzione degli endpoint diabete-dipendenti come le coronaropatie, un miglioramento della funzione endoteliale e della vasodilatazione e una limitazione dell’infiammazione vascolare.
Le sperimentazioni cliniche sui lipidi
I pazienti diabetici traggono significativi vantaggi dall’importante e ben documentato ruolo degli inibitori della HMG-CoA riduttasi (statine) nella diminuzione dei livelli di colesterolo LDL. Lo studio randomizzato, in doppio cieco Scandinavian Simvastatin Survival Study (4S) è stato effettuato per valutare gli effetti della simvastatina sulla morbilità e la mortalità nei pazienti con preesistente coronaropatia30. Il rischio di eventi coronarici gravi si riduceva nettamente in tutti i soggetti di sesso maschile e femminile di età superiore a 60 anni. Il rischio di essere sottoposti a procedure di rivascolarizzazione del miocardio diminuiva del 37%. Nei diabetici, la simvastatina riduceva la mortalità complessiva e dipendente da coronaropatia, gli eventi coronarici, il bypass aortocoronarico, l’angioplastica coronarica transluminale percutanea e gli eventi aterosclerotici30.
Lo studio Cholesterol and Recurrent Events (CARE) ha messo a confronto la pravastatina e il placebo nei pazienti con storia pregressa di infarto del miocardio31. I livelli medi di colesterolo totale erano pari a 209 mg/dl (valori normali 120 - 220 mg/dL) e il valore medio di colesterolo LDL a 139 mg/dl. Nel gruppo della pravastatina si è osservata una riduzione del 24% delle morti coronariche o dell’infarto miocardico recidivante.
I benefici della terapia ipolipemizzante non riguardano solo i livelli di colesterolo LDL. Il gemfibrozil, un farmaco che agisce principalmente riducendo il livello dei trigliceridi e che appartiene alla classe dei fibrati, è stato utilizzato nella sperimentazione Department of Veterans Affairs High-Density Lipoprotein Intervention Trial (VA-HIT). La terapia con il gemfibrozil nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare affetti da DMT2 non modificava i valori di colesterolo LDL, ma aumentava leggermente i livelli di colesterolo HDL (6%) e diminuiva i trigliceridi (31%). Le variazioni nei valori di colesterolo HDL e di trigliceridi si associavano a una riduzione del 22% dell’infarto del miocardio non fatale e delle coronaropatie32. L’analisi era focalizzata sugli esiti clinici a 5 anni, limitatamente ai soggetti di sesso maschile con coronaropatia32. Questo studio si aggiunge al crescente numero di ricerche che sostengono l’importanza dell’aumento dei livelli di colesterolo HDL e della riduzione dei trigliceridi nei diabetici.
Keywords: terapia ipolipemizzante, statine, fibrati, simvastatina, pracastatina, gemfibrozil
La terapia con acido acetilsalicilico
L’American Diabetes Association raccomanda la terapia con acido acetilsalicilico (nel range posologico 75-162 mg/die) come prevenzione primaria nelle donne e negli uomini con DMT2 che presentano un maggior rischio di eventi cardiovascolari, oltre che nei soggetti di età superiore a 40 anni con anamnesi familiare positiva per malattie cardiovascolari, ipertensione, fumo, dislipidemia o albuminuria33. L’acido acetilsalicilico è raccomandato come prevenzione secondaria nei pazienti con storia clinica di infarto del miocardio, angina, by-pass coronarico, ictus, attacchi ischemici transitori, vasculopatia periferica o claudicatio33.
Le complicanze del diabete
Il diabete mellito di tipo 2 ha un impatto negativo su tutti gli organi del corpo umano, con complicanze che danneggiano gli occhi, il sistema nervoso, la funzione erettile, i reni, il sistema cardiovascolare e gli arti.
Il diabete ha conseguenze particolarmente gravi sul sistema cardiovascolare, con complicanze che interessano sia i grandi che i piccoli vasi dell’organismo. In particolare, la microvasculopatia colpisce i piccoli vasi degli occhi, dei reni e dei nervi. La macrovasculopatia interessa i grandi vasi dell’organismo, come le coronarie, le carotidi, le arterie renali, poplitee e femorali. Le patologie micro e macrovascolari sono le cause principali di morbilità e mortalità associata al diabete34.
Al momento della prima diagnosi di DMT2 almeno il 20% dei pazienti presenta forme più o meno avanzate di retinopatia. La retinopatia diabetica è la principale causa di cecità negli Stati Uniti negli adulti in età produttiva: ogni anno circa 24.000 persone diventano cieche a causa del diabete35. I diabetici sono predisposti sia alla forma proliferativa che a quella non proliferativa della retinopatia. (vedi Figura 2)A 25 anni dalla diagnosi di diabete, il 70% dei pazienti soffre di retinopatia. A quel punto, la prevalenza della forma proliferativa, la malattia acuta che porta alla cecità e che è trattata farmacologicamente o chirurgicamente, è approssimativamente del 20%35.
Keywords: complicanze del diabete, microvasculopatia, macrovasculopatia
La nefropatia
I diabetici hanno maggiori probabilità di sviluppare forme di nefropatia rispetto ai non-diabetici. La nefropatia diabetica è la principale causa di insufficienza renale terminale nei paesi occidentali36. Nel diabete mellito di tipo 1 e 2 il primo segno di deterioramento della funzione renale è la presenza di piccole quantità di albumina nelle urine, una condizione definita microalbuminuria. Con il progressivo peggioramento della funzione renale, la percentuale di albumina nelle urine tende a crescere e la microalbuminuria si trasforma in macroalbuminuria37. È già stato spiegato che un rigido controllo della pressione arteriosa e della glicemia è necessario per ridurre, e se possibile prevenire, i cambiamenti patologici indotti dal diabete mellito di tipo 2. La proteinuria è un importante elemento predittivo di insufficienza renale e di malattia cardiovascolare. Le percentuali di sopravvivenza a 5 e 7 anni nei pazienti con diabete e proteinuria sono inferiori del 50% rispetto a quelle associate a molte neoplasie. L’associazione tra la proteinuria e il maggior rischio di mortalità e morbilità da insufficienza renale rendono cruciale l’adozione di trattamenti aggressivi.
Molti farmaci antipertensivi sono stati studiati per verificare la loro capacità di prevenire e trattare la nefropatia diabetica: gli ACE inibitori e gli ARB sembrano essere i più efficaci per contrastare la proteinuria diabetica e rallentare la riduzione della clearance della creatinina39. In effetti, molti medici hanno ormai l’abitudine di prescrivere gli ACE inibitori o gli ARB ai diabetici con proteinuria, indipendentemente dalla presenza di ipertensione, nel tentativo di rallentare la progressione verso la nefropatia.
La neuropatia
La neuropatia diabetica è spesso difficile da diagnosticare perché i suoi sintomi, come il formicolio ai piedi, sono molto comuni. È quindi essenziale un attento esame podologico a ogni visita di controllo. La maggior parte dei diabetici con DMT2 che subisce un’amputazione è affetta da neuropatia e da vasculopatia periferica. La prevalenza della neuropatia periferica negli uomini e nelle donne non diabetici sottoposti ad amputazioni degli arti inferiori è, rispettivamente, del 10% e 12%, mentre nei diabetici queste percentuali si innalzano al 38% e al 40%39. Il tasso di amputazione nei pazienti affetti da diabete è dieci volte superiore a quello degli individui non diabetici. Inoltre, va sottolineato che oltre il 60% delle amputazioni non traumatiche delle estremità inferiori si registra nei soggetti affetti da diabete. Nel 2002, negli USA, le amputazioni non traumatiche degli arti inferiori nei diabetici sono state 82.00040. L’aspetto sconfortante è che il 40%-50% di tutte le amputazioni diabete-dipendenti sarebbero prevenibili, secondo quanto riferiscono l’ADA e i Centers for Disease Control. La neuropatia diabetica periferica risponde al miglioramento del controllo glicemico e a terapie approvate dalla FDA, come il pregabalin e la duloxetina, rimborsati in Italia in caso di neuropatia diabetica documentata (nota 4 AIFA).
Le malattie cardiovascolari
L’iperglicemia, l’ipertensione, la dislipidemia e le anomalie funzionali vascolari e endoteliali contribuiscono massivamente all’insorgenza delle malattie cardiovascolari, la prima causa di morbilità e mortalità nei diabetici. Il rischio di infarto del miocardio fatale e non fatale nei pazienti affetti da DMT2 senza storia clinica di infarto miocardico è uguale a quello che si registra nei soggetti non diabetici con storia pregressa di coronaropatia. Le malattie cardiache e l’ictus sono responsabili del 65% dei decessi nei diabetici, con percentuali di morti cardiache 2-4 volte superiori a quelle che si osservano negli adulti non diabetici40.
Altre forme di malattie cardiovascolari e cerebrovascolari sono più frequenti nei diabetici: tra queste, la disfunzione miocardica, l’insufficienza cardiaca e l’ictus. Il diabete in sé è solo la terza causa di morte nei diabetici.
L’impatto cardiovascolare del diabete è particolarmente grave nel sesso femminile. Una volta sviluppato il diabete, le donne non solo perdono il vantaggio di genere, ma fanno registrare percentuali di coronaropatia simili a quelle degli uomini41. È dunque fondamentale che i medici si occupino costantemente della salute delle donne a rischio o con diagnosi di diabete per diffondere la consapevolezza di questi rischi tipicamente femminili.
GLI APPROCCI TERAPEUTICI
Le terapie non farmacologiche
Il controllo del diabete inizia con lo stile di vita. Fondamentali per il raggiungimento della normoglicemia sono la perdita di peso, l’esercizio fisico e la terapia dietetica. Una sperimentazione clinica controllata randomizzata ha dimostrato che il calo ponderale associato all’attività fisica riduce del 41% l’incidenza della sindrome metabolica negli individui con anomala tolleranza al glucosio42. Considerando però che la maggior parte dei pazienti con DMT2 è incapace di raggiungere i valori ottimali di emoglobina glicata con le sole modifiche dello stile di vita, è spesso necessario un giudizioso ricorso alle terapie farmacologiche.
I trattamenti farmacologici
Vi sono quattro classi di farmaci orali per il trattamento del diabete mellito di tipo 2: i secretagoghi (farmaci ipoglicemizzanti orali -quali sulfoniluree e secretagoghi ad azione rapida - che stimolano la produzione di insulina da parte del pancreas), le biguanidi, gli inibitori dell’alfa-glucosidasi e i tiazolidinedioni.
I secretagoghi
Le sulfoniluree sono il pilastro della terapia del DMT2 dalla fine degli anni ’50. Questa classe di farmaci ha una lunga storia di comprovata efficacia e continua ad essere molto utilizzata per trattare il diabete, ma con il miglioramento delle conoscenze sulla fisiopatologia dell’insulino-resistenza e dei difetti di secrezione dell’insulina un ruolo sempre più importante verrà assunto dai farmaci di nuova generazione, caratterizzati da meccanismi d’azione mirati.
I secretagoghi ad azione rapida come la repaglinide e la nateglinide (attualmente non in commercio in Italia) non sono correlati alle sulfoniluree, sebbene abbiano tutti gli stessi effetti clinici e provochino un aumento della secrezione dell’insulina dal pancreas e necessitino quindi di cellule beta funzionanti per agire. Le reazioni avverse associate alla repaglinide e alla nateglinide sono aumento di peso e ipoglicemia, effetti non sorprendenti considerato il loro meccanismo d’azione. L’ipoglicemia sembra più diffusa nei pazienti naive al trattamento con sulfonilurea che hanno valori di HbA1c inferiori all’8%. L’incidenza dell’ipoglicemia è minore con la nateglinide (2,4%) rispetto alla repaglinide (fino al 31%)43. Entrambi i farmaci vanno somministrati nell’arco dei 30 minuti che precedono i pasti principali: in caso il paziente debba restare a digiuno, neppure il medicinale va assunto. Analogamente a quanto accade con le sulfoniluree, l’associazione della repaglinide e della nateglinide con altri farmaci ipoglicemizzanti aumenta il rischio di ipoglicemia e richiede un attento monitoraggio.
Keywords: sulfoniluree, repaglinide, nateglinide
Le biguanidi
La metformina è una biguanide che esplica il suo effetto ipoglicemizzante riducendo la produzione epatica di glucosio e aumentando l'uptake insulino-dipendente del glucosio da parte della muscolatura scheletrica. La metformina si associa ad una bassa incidenza di acidosi lattica, condizione estremamente rara quando ci si attiene alle modalità raccomandate per la prescrizione. La maggior parte dei casi di acidosi lattica metformina-correlati dipende da condizioni sottostanti, come l’insufficienza renale, e non dal farmaco in sé44. Le reazioni avverse che spesso compaiono all’inizio della terapia con la metformina sono gonfiore addominale, nausea, crampi intestinali e diarrea. Questi effetti, che tendono a diminuire o a scomparire con la prosecuzione della terapia, vengono spesso contrastati assumendo il farmaco a stomaco pieno, iniziando la cura a basse dosi e aumentando progressivamente la posologia. In una sperimentazione clinica dose-risposta si è osservato che il maggior effetto ipoglicemizzante si otteneva con una dose da 2.000 mg/die45.
La metformina non viene metabolizzata ed è escreta principalmente dai tubuli renali: è dunque controindicata nei soggetti con disfunzione renale (livelli di creatinina sierica >1,5 mg/dl negli uomini o >1,4 mg/dl nelle donne), evidenza di laboratorio di disfunzione epatica, acidosi lattica acuta o cronica, storia di alcolismo o di consumo compulsivo di alcol o nei pazienti in trattamento farmacologico per insufficienza cardiaca.
La monoterapia con la metformina riduce la glicemia a digiuno in media di 58 mg/dl e i livelli di HbA1c dell’1,8%. La molecola induce anche una riduzione delle concentrazioni di trigliceridi (16%) e dei livelli di colesterolo LDL (8%) e di colesterolo totale (5%) e un leggero aumento dei valori di colesterolo HDL (2%) 46. La metformina può essere utilizzata in associazione ai secretagoghi, ai TZD e agli inibitori dell’alfa-glucosidasi nei pazienti affetti da DMT2. Analogamente a quanto accade con gli altri ipoglicemizzanti orali, il rischio di ipoglicemia aumenta somministrando la metformina in associazione all’insulina o ai secretagoghi. Il farmaco è disponibile in associazioni a dose predefinita con la clorpropamide, la glibenclamide, il pioglitazone e il rosiglitazone.
Lo studio UKPDS ha evidenziato una significativa riduzione degli infarti del miocardio, delle morti cardiovascolari e della mortalità complessiva nei diabetici obesi trattati con la metformina rispetto a quelli nel gruppo del trattamento convenzionale. In base ai risultati dello studio UKPDS, molti diabetologi ritengono che la metformina sia la terapia di prima scelta nei diabetici in sovrappeso che non controllano la malattia con la terapia dietetica, eccezion fatta per i casi con controindicazioni assolute a questo farmaco47.
Keywords: Biguanidi, metformina
Gli inibitori dell’alfa-glucosidasi
Gli enzimi dell’alfa-glucosidasi nell’orletto a spazzola dell’intestino tenue, unitamente all’alfa-amilasi del pancreas, sono responsabili dell’idrolisi degli amidi complessi, degli oligosaccaridi, dei disaccaridi e dei trisaccaridi. L’acarbosio, un inibitore dell’alfa-glucosidasi e dell’alfa-amilasi, agisce riducendo il tasso di digestione dei carboidrati complessi e il conseguente assorbimento di glucosio, con il risultato di limitare le oscillazioni postprandiali della glicemia nei diabetici48. Il miglitolo (non in commercio in Italia) è un altro inibitore dell’alfa-glucosidasi con meccanismo d’azione simile a quello dell’acarbosio: entrambe le molecole sono efficaci per controllare l’iperglicemia postprandiale. In caso il paziente debba restare a digiuno, vanno temporaneamente sospesi anche gli inibitori dell’alfa-glucosidasi.
I farmaci di questa classe hanno effetti collaterali dose-dipendenti prevalentemente a livello gastrointestinale: fra questi si annoverano flatulenza, diarrea e fastidio gastrointestinale. Per questo motivo è raccomandato di aumentare il dosaggio del farmaco con gradualità. Gli inibitori dell’alfa-glucosidasi inducono riduzioni dei livelli di HbA1c approssimativamente dello 0,5%.
Keywords: inibitori dell’alfa-glucosidasi, acarbosio, miglitolo
I tiazolidinedioni (TZD) o glitazoni
Il pioglitazone e il rosiglitazone sono TZD che agiscono sul recettore PPAR-gamma. I TZD abbassano la glicemia potenziando l’azione dell’insulina e riducendo l’insulino-resistenza. Esplicano il loro effetto soprattutto sul tessuto muscolare, dove stimolano l’accumulo insulino-dipendente del glucosio. Agiscono anche nel fegato, organo in cui contrastano l’eccessiva produzione di glucosio. Questi farmaci abbassano la glicemia, riducono i valori pressori e la microalbuminuria e aumentano le concentrazioni di colesterolo HDL49. Si sono osservate riduzioni nelle concentrazioni di proteina-C reattiva ad alta sensibilità e di altri marker infiammatori, il che suggerisce la possibilità che i benefici dei tiazolidinedioni si estendano oltre l’azione ipoglicemizzante49. Numerose sperimentazioni cliniche randomizzate di ampie dimensioni stanno testando gli effetti dei TZD sugli esiti clinici di pazienti con diabete e pre-diabete associati a malattie cardiovascolari.
Il PROspective PioglitAzone Clinical Trial In MacroVascular Events (PROactive) è il primo studio che ha dimostrato come un principio attivo ipoglicemizzante sia in grado di ridurre eventi macrovascolari maggiori nei soggetti affetti da DMT249. Questa sperimentazione clinica controllata è stata condotta in 30 centri Europei su 5.000 pazienti. Tutti i partecipanti avevano una storia clinica pregressa di problemi macrovascolari gravi, fra cui infarto del miocardio, ictus, interventi coronarici percutanei, bypass aortocoronarico, sindrome coronarica acuta e arteriopatie periferiche sintomatiche. I soggetti studiati sono stati randomizzati a ricevere 45 mg di pioglitazone o placebo per un periodo minimo di 2,5 anni. Circa la metà dei partecipanti allo studio era in terapia con farmaci ipolipemizzanti, prevalentemente statine. Inoltre, il 95% dei soggetti arruolati assumeva farmaci cardiovascolari e l’83% di tutti i partecipanti era in terapia antiaggregante piastrinica. Nel gruppo in trattamento con il pioglitazone il rischio di mortalità complessiva, di ictus e di infarto del miocardio fatale o non fatale si riduceva in modo significativo.
La funzionalità epatica va testata prima di iniziare il trattamento con i TZD ed è necessario effettuare controlli periodici in corso di terapia. In caso compaiano segni o sintomi di insufficienza epatica (fra cui nausea o ittero), i TZD vanno sospesi e l’origine del problema deve essere identificata. I TZD spesso causano ritenzione idrica, edema e aumento di peso e, quindi, potrebbero favorire l’insorgenza o il peggioramento di una cardiopatia50. Considerando questo possibile effetto dei TZD, i pazienti con anamnesi positiva per malattie cardiovascolari vanno monitorati attentamente per i segni/sintomi clinici di insufficienza cardiaca. I TZD sono controindicati nei soggetti che appartengono alle classi III o IV della New York Heart Association per l’insufficienza cardiaca (i due livelli massimi indicati dalla scala della gravità dell’insufficienza cardiaca, basata su criteri funzionali e strettamente collegata alla prognosi, utile sia a scopo diagnostico, sia per valutare l’efficacia della terapia).
I TZD sono approvati per la terapia combinata nei pazienti in trattamento con l’insulina, una sulfonilurea o la metformina e come triplice terapia in quelli che assumono metformina + una sulfonilurea. Nelle monoterapie con TZD si osservano riduzioni dei livelli di HbA1c che oscillano tra lo 0,5% e l’1,0%, mentre queste percentuali salgono, rispettivamente, all’1,4% e all’1,8% nei trattamenti combinati con insulina o sulfoniluree.
Keywords: Tiazolidinedioni, TZD, glitazoni, pioglitazone, rosiglitazone
La terapia combinata
Considerando che il controllo del diabete mellito di tipo 2 con una monoterapia tende a complicarsi col tempo, i trattamenti combinati stanno diventando sempre più frequenti. Nello studio UKPDS, dopo tre anni di monoterapia meno del 50% dei partecipanti aveva un livello di HbA1c inferiore al 7%; dopo nove anni solo il 25% dei soggetti studiati presentava valori di emoglobina glicata inferiori al 7%51. Nei pazienti in monoterapia orale con controllo insufficiente del diabete è possibile prescrivere un farmaco aggiuntivo, con un meccanismo d’azione diverso dal primo. A volte, è necessario utilizzare anche un terzo principio attivo, sempre con meccanismo d’azione differente, per raggiungere il valore ottimale di HbA1c. In genere si evita la sostituzione dei farmaci e si preferisce aggiungere uno o due ipoglicemizzanti allo schema terapeutico. Gli studi clinici dimostrano che la semplice sostituzione degli ipoglicemizzanti non garantisce il potenziamento dell’effetto terapeutico e, spesso, compromette il controllo della glicemia. Al contrario, per ogni principio attivo associato in molti casi si osserva una riduzione aggiuntiva dell’1%-1,5% dei valori di emoglobina glicata. In uno studio su pazienti in terapia combinata con gliburide + metformina per 16 mesi è stata rilevata una diminuzione dell’1,8% dei livelli di HbA1c vs. i soggetti in monoterapia con la gliburide o la metformina52.
Una sperimentazione clinica ha evidenziato cambiamenti statisticamente significativi nei livelli di emoglobina glicata, sensibilità all’insulina e funzionalità delle cellule beta nei pazienti in terapia con l’associazione farmacologica rosiglitazone + metformina vs. quelli in monoterapia con la metformina53. Va ricordato che il fabbisogno di insulina può diminuire con l’aggiunta di ipoglicemizzanti orali allo schema terapeutico, ma anche che la necessità di ipoglicemizzanti orali può ridursi associando l’insulina. L’insulina è adatta a trattamenti combinati con le sulfoniluree, i secretagoghi ad azione rapida, gli inibitori dell’alfa-glucosidasi, la metformina, i TZD, la repaglinide, la nateglinide, la pramlintide (non in commercio in Italia) e l’exenatide (non in commercio in Italia) in pazienti affetti da DMT2.
Si sta diffondendo l’abitudine a commercializzare associazioni di ipoglicemizzanti orali con dosi prefissate. Questi prodotti tendono a migliorare la compliance dei pazienti alla terapia e a favorire la transizione verso i trattamenti combinati. Uno studio ha esaminato i pazienti proprio nel momento di transizione dalla monoterapia al trattamento combinato con due compresse (una di metformina, l’altra di rosiglitazone) o con una singola compressa di metformina + rosiglitazone. I diabetici che assumevano la compressa singola facevano registrare percentuali di compliance decisamente più elevate rispetto a quelle osservate nel gruppo delle due compresse (86% vs. 61%) 53.
Conclusioni
Le complicanze cardiovascolari associate al DMT2 sono le principali responsabili della morbilità e della mortalità nei pazienti affetti da questa malattia.
- La sindrome metabolica spesso precede e aumenta il rischio di sviluppare il pre-diabete, il DMT2 e le malattie cardiovascolari.
- I pazienti con pre-diabete che adottano opportune modifiche dello stile di vita possono ridurre il rischio di diabete mellito di tipo 2.
- Nel DMT2 conclamato è fondamentale il controllo aggressivo della glicemia, dei valori pressori e dei livelli lipidici per limitare il rischio di complicanze macro e microvascolari.
- I diabetici spesso assumono farmacoterapie multiple per trattare l’ipertensione, la dislipidemia e l’iperglicemia.
- Esistono terapie ipoglicemizzanti specifiche per l’insulino-resistenza e il controllo della secrezione di insulina che hanno effetti metabolici positivi non solo sull’iperglicemia.
La terapia antidiabetica combinata è spesso necessaria e alcuni dati suggeriscono che gli schemi terapeutici con compresse singole contenenti diversi principi attivi migliorano la compliance dei pazienti.
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QUESTIONARIO DI VALUTAZIONE APPRENDIMENTO
Il miglioramento degli esiti terapeutici del diabete di tipo 2
- In Italia la prevalenza del diabete è di circa:
- 1-1,5%
- 2-2,5%
- 3-3,5%
- 4-4,5%
- Indicate quale fra le seguenti patologie non si associa all’insulino-resistenza:
- la cardiopatia aterosclerotica
- l’ipertensione
- l’obesità
- la pancreatite
- Indicate quale fra le seguenti affermazioni sul Diabetes Prevention Program (DPP) è veritiera:
- la farmacoterapia riduce il rischio più efficacemente delle modifiche dello stile di vita nei gruppi a rischio di diabete
- la metformina diminuisce del 50% il rischio di sviluppare il diabete
- le modifiche dello stile di vita riducono del 58% il rischio di sviluppare il diabete
- nello studio era necessario un calo ponderale del 20% per osservare una riduzione del rischio di diabete
- Indicate quale fra le seguenti condizioni è responsabile di almeno due terzi dei decessi nei diabetici:
- il carcinoma del pancreas
- le cardiopatie e l’ictus
- l’insufficienza renale terminale
- l’insufficienza epatica
- Indicate quale affermazione sulle basi per il trattamento del diabete risponde a verità:
- ogni incremento dei valori pressori di 10 mmHg corrisponde nei diabetici a un aumento del 15% delle probabilità che sopravvenga un primo evento coronarico
- l’HbA1c può essere utilizzata per diagnosticare il diabete
- i benefici delle terapie ipoglicemizzanti sono esclusivamente dovuti alla loro capacità di ridurre i livelli di colesterolo LDL
- risposte a, b e c
- Indicate quale affermazione sul diabete e sul danno vascolare è veritiera:
- la dislipidemia, l’ipertensione, l’iperglicemia e l’infiammazione contribuiscono al danno vascolare
- la maggior parte dei pazienti affetti da DMT2 presenta valori eccessivamente elevati di colesterolo LDL
- l’ipertensione cronica è responsabile della maggior parte delle arteriopatie periferiche nei pazienti con diabete e i calcio-antagonisti rappresentano la terapia di prima scelta
- risposte a, b e c
- Il target ottimale di emoglobina glicata per un’efficace gestione del diabete, secondo l’ADA, è:
- inferiore al 5%
- inferiore al 6%
- inferiore al 7%
- inferiore allo 8%
- Indicate quale affermazione sulle macrovasculopatie diabete-dipendenti risponde a verità:
- vi sono numerosi studi sugli esiti a lungo termine che documentano gli effetti benefici del controllo glicemico sugli esiti clinici delle macrovasculopatie
- la terapia con acido acetilsalicilico può prevenire la maggior parte delle macrovasculopatie associate al diabete
- il controllo dell’HbA1c, della pressione arteriosa e dei profili lipidici è importante per ridurre gli eventi macrovascolari gravi nei pazienti affetti da DMT2
- risposte b e c
- La proteinuria è caratterizzata dalla presenza di anomale quantità di proteine nelle urine. La proteinuria segnala il deterioramento della funzione di quale organo?:
- fegato
b. rene
c. risposte a e b
d. né a, né b
- Le seguenti raccomandazioni sono state emanate dall’ADA, eccezion fatta per:
- livelli di HbA1c inferiori a 5
- valori di HbA1c inferiori a 7 e in alcuni pazienti a 6
- terapia con acido acetilsalicilico come prevenzione primaria in entrambi i sessi
- livelli di colesterolo LDL inferiori a 100 mg/dl
- Indicate qual è il profilo lipidico tipico in un diabetico:
- valori di colesterolo LDL nella norma, livelli elevati di colesterolo HDL e di trigliceridi
- livelli di colesterolo LDL elevati, alti valori di colesterolo HDL e trigliceridi nella norma
- valori di colesterolo LDL leggermente elevati o nella norma, bassi valori di colesterolo HDL e trigliceridi elevati
- valori elevati dei tre lipidi
- Indicate l’obiettivo pressorio nei pazienti con DMT2 secondo le raccomandazioni dell’ADA:
- < 130/80 mmHg
- < 140/90 mmHg
- < 130/85 mmHg
- né a, né b, né c
- Numerosi interventi influiscono sull’età d’insorgenza del primo evento coronarico nei diabetici. Indicate quale fra questi interventi si è rivelato più importante:
- la riduzione della glicemia
- l’abbassamento dei livelli di colesterolo LDL
- la riduzione dei valori di colesterolo HDL
- smettere di fumare
- Indicate qual è il rischio relativo di amputazione nei diabetici:
- 1,5 volte
- 2 volte
- 5 volte
- 10 volte
- Gli acidi grassi liberi:
- sono responsabili della distruzione immune del pancreas nei pazienti affetti da DMT2
- alterano l’azione dell’insulina e contribuiscono allo sviluppo dell’insulino-resistenza
- contribuiscono alla disfunzione endoteliale
- risposte b e c
- Indicate quale fra le seguenti farmacoterapie è considerata da molti diabetologi il trattamento di prima scelta per i pazienti obesi affetti da DMT2:
- gli inibitori dell’alfa-glucosidasi
- le sulfoniluree
- i secretagoghi a breve durata d’azione
- la metformina
- Indicate quale classe di farmaci agisce legandosi al recettore PPAR-gamma:
- le sulfoniluree
- i tiazolidinedioni
- le biguanidi
- gli inibitori dell’alfa-glucosidasi
- Indicate quale classe di farmaci può essere utilizzata per controllare l’ipertensione nei soggetti con DMT2:
- i calcio-antagonisti
- i diuretici
- gli ACE inibitori
- risposte a, b e c
- Indicate quale strategia terapeutica è più importante nei pazienti con pre-diabete:
- la perdita di peso e l’esercizio fisico
- la vigile attesa
- la farmacoterapia
- l’associazione di terapia non farmacologia e farmacoterapia
- Indicate quale fra le seguenti affermazioni sulle terapie ipoglicemizzanti orali risponde a verità:
- la maggior parte dei pazienti può essere trattata con una monoterapia per un decennio e oltre
- nello studio UKPDS, dopo 3 anni di monoterapia meno del 25% dei partecipanti manteneva un controllo ottimale (HbA1c < 7%)
- l’uso di farmacoterapie orali con meccanismi d’azione simili è da incoraggiare perché riduce la probabilità d’insorgenza di reazioni avverse
- la maggior parte dei pazienti necessita di terapie ipoglicemizzanti orali combinate. È meglio aggiungere una terapia all’altra anziché sostituirla